Esperienze di didattica innovativa per fornire agli studenti competenze e capacità per diventare attivi e consapevoli
Alzi la mano chi non ha mai ricevuto, tornando a casa da ragazzino, la fatidica domanda: cosa hai fatto oggi a scuola? E la risposta, che tutti noi almeno una volta abbiamo dato, era sempre la stessa: niente.
Al di là dell’ironia, quale genitore sa davvero che cosa fanno i propri figli in classe? Cosa imparano, oltre alle tradizionali materie, che può esser loro utile per diventare cittadini attivi e consapevoli? Per gli antichi la parola scuola indicava il «libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico» [Treccani]; solo dopo è venuta a indicare l’istituzione dedicata alla formazione. Ma è davvero ancora il luogo dove si educano i futuri cittadini? Quanto i programmi didattici sono adatti a sviluppare le competenze che la società odierna richiede?
L’impressione generale è che le scuole siano sempre più distanti dalla comunità in cui sono inserite e che sempre meno questa istituzione dialoghi con il contesto che la circonda. In realtà, pochi sanno che in Italia – da Nord a Sud, dalle elementari alle superiori – esistono molte esperienze innovative e che spesso queste vengono dal basso, dalla volontà di quei docenti, dirigenti e, a volte, di genitori e cittadini, che hanno voglia di mettersi in gioco e che provano a trasformare le difficoltà in opportunità di crescita e miglioramento.
Tanto per dirne alcune, il crowdfunding scolastico, il design thinking, il coding. Si tratta di approcci concreti che provano a rinnovare il nostro sistema formativo e ad aprire la scuola alla società e, spesso, richiedono il coinvolgimento dell’intera comunità. L’applicazione di questi strumenti consente di trasformare un bisogno (mancanza di fondi, necessità di sviluppare nuove competenze) in occasioni di collaborazione. Inoltre, fa emergere anche un aspetto che, spesso, è dato per scontato: la scuola è un bene comune e come tale deve essere il più possibile connessa con la realtà circostante. Perciò nel crowdfunding scolastico – crowd «folla» e funding «finanziamento» – docenti, studenti, genitori, ma anche cittadini, collaborano, apprendendo anche nuovi strumenti, per realizzare un obiettivo comune, spesso di pubblica utilità.
Oppure, attraverso l’utilizzo del design thinking nella didattica e nei percorsi di Alternanza scuola-lavoro, o con l’introduzione del pensiero computazionale e del coding nei programmi scolastici, gli studenti apprendono competenze logiche e la capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, importanti non solo per lo studio, ma per partecipare attivamente alla vita nella società.
La stessa Alternanza scuola-lavoro potrebbe (dovrebbe!) approfittare di questi nuovi metodi e uscire dalla tradizionale – e a volte inutile – visione del tirocinio aziendale per esplorare nuove strade. Ad esempio, proporre viaggi all’estero (sul modello dei Social Innovation Tour) che siano di stimolo ai ragazzi per ampliare la loro visione, per inserirli in un mondo sempre più globalizzato, digitalizzato, connesso e in un mercato del lavoro sempre più flessibile e che richiede sempre più competenze (come le cosiddette soft skills: la capacità di lavorare in gruppo e di risolvere problemi, la creatività, la comunicazione ecc.).
Le opportunità, insomma, sono tante. La vera sfida è quella di integrare queste nuove esperienze con la didattica tradizionale e capire come possano essere, l’una e l’altra, aspetti dello stesso percorso formativo, per far sì che gli studenti possano contare su un bagaglio culturale a 360 gradi, che sia loro utile per affrontare non solo lo studio, ma, in generale, il loro futuro.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIII, n. 149, maggio 2018)