Come nuovo direttore della nostra collana di poesia Le costellazioni sonore, Luca Viglialoro esordisce curando la raccolta Incognito (pp. 96, € 10,00) di Massimiliano Rossi. Leggiamo di seguito la sua Prefazione (La vita in incognito. Sulla poesia di Massimiliano Rossi) alla silloge.
Chi è in incognito? O, meglio, cos’è in incognito?
A questa domanda Massimiliano Rossi risponde che l’incognito è qualcosa che “accade”, “si manifesta” (come vuole la sua radice, ghìgnomai), qualcosa che ha una presenza qui, di fronte a noi, ma che, allo stesso tempo, si nasconde nel non-conosciuto. Vivere in incognito significa, perciò, essere costantemente in bilico tra due dimensioni: tra il visibile e l’invisibile, tra il noto e l’ignoto.
Ora, se dell’ignoto, in linea di principio, è impossibile dire alcunché, che cosa possiamo, anzi, dobbiamo poter dire del noto? Cosa deve essere detto di ciò che, per sua stessa natura, non è precluso ad alcuna predicazione? Rossi ci risponderebbe che del noto, così come dell’ignoto, non possiamo dire nulla, proprio perché, paradossalmente, possiamo dire proprio qualsiasi cosa. Nel cercare di parlare di quel che ci circonda – il noto, per l’appunto – ci troviamo nella condizione paralizzante di poter dire veramente tutto, e di non riuscire, pertanto, a trovare un solo attributo che dia unità alla nostra esperienza.
Il riconoscimento che nell’evidenza si dà una sfera ineffabile che si sottrae ad ogni tentativo di tematizzazione è frutto della vita che, nella sua ricchezza e varietà, spodesta di ogni dominio tutti i nostri segni. E’ la vita quell’incognito che ci catapulta nel caos, nella più totale indistinzione da cui non si solleva alcun tratto privilegiato: “L’incognito domina l’esistenza, / proliferazione di anarchia. / Pura gioia / e pura frustrazione. / Libertà totale”. Quella descritta da Rossi, in questi versi tratti da Incognito, è l'”allegria di un naufragio” annunciato. Il nostro poeta sembra far propria la dialettica tragica, immanente al mutamento e alle sue forme, adoperando alcuni motivi di chiaro sapore nietzschiano (si pensi anche al contrasto tra “giorno apollineo / e notte dionisiaca”, in Nuove verità), improntati ad un vitalismo dalla traccia fluida: “Un salto nel vuoto, / giovane respiro di sensazioni, / emozioni celate ed ibernate / nel mentre ridestate. / Libero / finalmente / solo libero”.
Il livello dei versi di Rossi diventa, però, decisamente più alto nel momento in cui il chiaroscuro esistenziale si raddensa in un misticismo dalle cadenze e le terminologie vagamente luziane, come avviene nella poesia Oltre: “Cosa sta mirando? / Sta forse vagando nell’orizzonte? / O è già al di là dell’universo? / Oggetto della somma visione: / l’infinito è la mente” In molti punti delle sue opere, il poeta arriva persino ad invocare il sentimento vitale da cui è pervaso, chiedendogli di guidarlo per le plaghe più aspre della realtà. Nei passi che sto per riportare, questa volta da L’ultima porta, è facile riconoscere di nuovo il filone lirico-filosofico di un Nietzsche piuttosto tipizzato, ma anche un accento romantico nell’idea del viaggio come introspezione ed una nota blakiana nel timbro declamatorio: “Sii vinta, Esistenza, / non riesco a trattenermi, / sii la mia ultima / e fedele compagna di viaggio”.
Nell’impiego di versi alquanto irregolari (episodico è l’uso del senario), di assonanze, rime e doppie che rimandano ad una lettura orale, mi sembra che l’autore voglia suggerirci, ancora una volta, un parco di esperienze che eccedono la presa della parola poetica. A questo proposito, alcuni versi rivelano un sapiente uso di un ritmo, incastonato tra dentali e sibilanti: “Estasiante esistenza, / spossante nel viverti, / drammatico nel lasciarti. Sazia esistenza, / allettante e costruttiva esperienza”.
Alla luce di un bilancio provvisorio e forse prematuro, credo che il connubio tecnico-espressivo, cui abbiamo appena assistito, sia forse il nucleo cui Rossi dovrebbe dare più sostanza. Affinché questa poesia dall’indubbio fascino sensistico non rimanga troppo aerea (rischio, questo, che minaccia indistintamente tutta la poesia post simbolista), un impegno di compattamento intorno a moduli sillabici tradizionali potrebbe dare una pasta più resistente ai sentimenti che vi sono descritti.
Rimanendo in argomento, chiudo questa mia introduzione con i versi finali della silloge, tratti ancora da L’ultima porta, nei quali il divenire ci viene dipinto come un processo di inarrestabile estinzione, che non risparmia nessuno dei suoi ostaggi. Lo scenario raccontato è la traduzione poetica dell’esplosione palingenetica con cui termina La coscienza di Zeno: “[…] di Noi, / o mia Esistenza, / o mio Corpo, / un leggero pugno di polvere / volteggerà nel vento e nello spazio / fino allo spegnimento dell’Universo, / per divenire inconsciamente tutti / vittime del nobile ed ignoto Nulla. / La fine di ogni cosa… giungerà”.
(Luca Viglialoro, La vita in incognito. Sulla poesia di Massimiliano Rossi, Prefazione a Incognito di Massimiliano Rossi, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della raccolta poetica di Massimiliano Rossi.
Luca Viglialoro
(LucidaMente, anno III, n. 30, giugno 2008)