L’orbiter si è tuffato nei cieli di Saturno, il pianeta che studiava da tredici anni. Rivoluzionarie le sue scoperte sui satelliti Encelado e Titano
Dopo tredici anni di onorato servizio, la sonda Cassini si è polverizzata contro l’atmosfera di Saturno. Il “Grand finale”, come lo ha chiamato la Nasa, si è verificato il 15 settembre scorso alle 12,32 ora italiana. L’ultima comunicazione è giunta alle 13,55, quando il satellite non esisteva già più, ovvero a distanza di 83 minuti, il tempo che il segnale ha impiegato per raggiungere la Terra a 1 miliardo e 400 milioni di chilometri di lontananza.
La sonda è rimasta operativa fino all’istante conclusivo, inviando immagini e dati sulla composizione chimica dei gas atmosferici del pianeta. Gli scienziati avevano programmato l’epilogo di Cassini già nel 2010, dal momento che le scorte di carburante erano ormai ridotte. La scelta di distruggerla è di natura soprattutto ecologica: infatti, se abbandonata nello spazio, essa avrebbe contaminato l’ambiente con materiali radioattivi, dato che portava a bordo 32,7 chili di plutonio-238. L’orbiter Cassini – che prende il nome dall’astronomo italiano Gian Domenico Cassini, il quale studiò Saturno alla fine del XVII secolo – venne lanciato in orbita il 15 ottobre 1997 e impiegò sette anni per raggiungere il gigante gassoso. Il progetto è stato messo in atto grazie alla cooperazione tra l’Agenzia spaziale europea e la Nasa, con il contributo dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), che ha realizzato alcune componenti, tra cui la potente antenna.
Costato oltre tre miliardi di dollari, Cassini è il veicolo spaziale più grande mai costruito. Ha percorso circa otto miliardi di chilometri e compiuto 292 rotazioni intorno al sesto pianeta del sistema solare, senza riuscire a concludere la 293esima, bruciando come una meteora a circa 113.000 chilometri orari. L’orbiter ha svolto un’indagine rivoluzionaria sul sistema planetario di Saturno: ha scoperto dodici dei suoi satelliti e studiato la composizione dei celebri anelli.
Grazie al lander Huygens, partito insieme alla sonda, è stato possibile esplorare Titano, una delle lune del pianeta, che ospita mari di metano liquido e ha una natura chimica molto simile a quella della Terra prima della comparsa della vita. Durante la missione, inoltre, sono stati raccolti numerosi dati su Encelado, un satellite con superficie ghiacciata dalla quale salgono getti di vapore, tanto che gli studiosi ipotizzano possa contenere acqua allo stato liquido. Per questi e altri motivi Encelado e Titano sono considerati potenzialmente adatti a ospitare forme di vita e gli scienziati contano di analizzarli in futuro in maniera più approfondita. L’esperienza maturata grazie alla sonda Cassini sarà utile alla Nasa anche in vista della spedizione Europa Clipper, che si presume verrà lanciata nel 2022. L’obiettivo sarà quello di studiare Europa, una luna di Giove con caratteristiche simili a Encelado: una crosta gelata ricca di geyser, che lascia supporre la presenza di un oceano sotto la sua superficie.
La missione Cassini-Huygens si inserisce tra i viaggi interplanetari più prolifici dal punto di vista astronomico e ha permesso agli studiosi di comprendere anche alcuni aspetti dell’evoluzione del nostro sistema solare. La preziosa sonda si è ormai tuffata nei cieli saturnini, ma lascia dietro di sé una scia di dati sui quali gli addetti ai lavori opereranno ancora per anni: un’eredità scientifica senza precedenti.
Alessia Giorgi
(LucidaMente, anno XII, n. 142, ottobre 2017)