Nel mondo odierno si sta lentamente eclissando il gusto del bello e, quindi, il piacere estetico. L’odio verso l’arte e lo straziante esempio di Camille Claudel
La morte della poesia. La morte della critica letteraria. La morte del romanzo. La morte della musica. La morte della natura. A periodiche scadenze si annunciano tali de profundis e sembra un ridicolo ritornello, un allarmismo giustificato per épater les bourgeois. Invece…
Sulle bancarelle di periferia troviamo Beethoven e Tolstoj, Verdi e Pirandello a un euro. Le loro opere complete a € 5,00… venghino, signori. Al contrario, costano 30-40 euro autentiche castronerie, i cosiddetti best seller, scritti male, illeggibili, in mattoni rilegati (cfr. Silvia Lodini, Letteratura in svendita), o cd di “musica” più simile a femminili guaiti sentimentali o ai rumori di un motociclo manomesso. Poiché nel mondo capitalistico è il denaro a fornire il reale valore di merci, e persone, e arte… Scompare la bellezza, scompare il buon gusto, tutto è indifferenziato, in una cultura dell’in-differenza, definizione da intendersi in entrambi i sensi.
Non esistono più canoni antologici che costituiscano una vulgata comune. Per secoli generazioni di giovani e uomini sono state accomunate dalla lettura, dalla visione, dall’ascolto di poeti, narratori, pittori, musicisti, il che creava una sorta di “Repubblica delle Lettere”, come si diceva un tempo, o, comunque di identico milieu culturale che affratellava persone di diversa nazionalità. E, almeno, nel passato imperatori, papi, signorotti vari, ogni tanto lasciavano capolavori, sebbene eretti sul sangue. Ma cosa resterà di bello della civiltà odierna? Oggi, in nome di un fuorviante stravolgimento del significato di “libertà” o di “democrazia”, ogni gusto è valido, non esiste l’alto e il basso: è la morte del discernimento, del discrimine, di ogni valore.
Un mondo-pollaio sovraffollato, a uso e consumo della superficialità, della stupidità, della bruttezza, dello spietato sfruttamento. Persone brutte, insensibili alla bellezza, città brutte, niente urbanistica, architettura, natura, animali. E fa specie che uno spot governativo contro la fame del mondo affermi che sulla Terra potrebbe essere sfamato il doppio degli abitanti. Certo, anche dieci volte di più. Purché si decida di vivere gli uni sugli altri, come polli d’allevamento, senza prati e foreste, senza animali liberi e selvaggi, in un mondo ultra inquinato. Si prevede che entro pochi decenni gli abitanti della Terra saranno 11 miliardi. Uno scenario apocalittico, alla Blade Runner (vedi il pensiero di Albert Caraco in «Gli uomini sono come una lebbra»).
Bellezza, piacere, libertà sono strettamente connessi. La bellezza dà piacere. Non esiste arte senza libertà interiore. La bellezza stimola il desiderio del piacere e della libertà. Lo spirito libero cerca una vita più degna di essere vissuta, quindi il piacere e la bellezza. Il bello – dell’arte o della natura –, essendo in stridente e scandaloso contrasto con la bruttezza della società, le sue costrizioni, il suo conformismo, la sua ipocrisia, è aborrito dalle dittature, dai totalitarismi politici, dai fanatismi religiosi. Bellezza piacere libertà forniscono energie positive e quindi formano esseri umani coscienti, sensibili, tolleranti, aperti, responsabili, in grado di dire no. L’assenza dell’estetica rende invece gli esseri umani depressi, insensibili, intolleranti, meschini, violenti, ipocriti, proni al potere, incapaci di opporsi. Non a caso le tirannidi e gli integralismi religiosi perseguitano sempre, insieme, la libertà, la bellezza, il piacere. E, quindi, l’erotismo (vedi La felicità, pura, dell’eros).
Dunque, non si tratta solo di insensibilità verso la bellezza, ma di ostilità, quando non di odio. Ciò che non si sa apprezzare, va distrutto. L’artista diventa un “diverso” da perseguitare, allontanare, zittire, escludere. Rinchiudere. Come, appena qualche settimana fa, il “poeta dei gelsomini”, il qatariota Mohammed Rashid al-Ajami, condannato per un suo testo a 15 anni di carcere. Nulla di nuovo sotto il sole. Molteplici gli esempi anche nel passato. Uno per tutti, il caso della scultrice francese Camille Claudel (1864-1943, sorella maggiore del celebre scrittore cattolico Paul Claudel), riproposto da un recentissimo film del regista francese Bruno Dumont, con l’interpretazione di Juliette Binoche: Camille Claudel 1915 (un’altra pellicola le era stata dedicata nel 1988 da Bruno Nuytten, interprete Isabelle Adjani).
Camille aveva tutto per essere “odiata”: valida artista, bella, donna libera, quindi “indecente” amante del grandissimo scultore Auguste Rodin (e, per un periodo più breve, anche del musicista Claude Debussy) e… dei gatti (anche questo segno di “follia” per i benpensanti). La famiglia, cattolica conservatrice, la fa rinchiudere dal 1913, prima nel manicomio di Ville-Evrard (Neully-sur-Mame) e poi in quello di Montdevergues, presso Montfavet (vicino Avignone), persino contro il parere degli stessi medici, e lì l’abbandonerà. Completamente: non l’andrà a trovare neanche una volta. Camille vi morirà dopo trent’anni di orribile detenzione, senza mai esserne uscita: sottratta all’amore, alla società, all’arte (non potrà più creare alcuna opera). Neanche ai funerali sarà accompagnata da qualche parente.
Le immagini: Sakountala (nota anche come L’abandon, bronzo, 1886-1905) di Camille Claudel; all’interno dell’articolo: La valse (bronzo, 1891) della stessa artista; sua foto; al lavoro; locandine dei film ispirati alla sua triste vicenda.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 95, novembre 2013)
É instigante e me encanta conhecer mais sobre Camille Claudel! Gostei muito do artigo, e da paixão com que fala sobre Arte…