Dal 15 luglio 2016, giorno del tentato golpe, il presidente ha aumentato sempre più i suoi poteri, a discapito della libertà di stampa e d’espressione
«Tornare ora nel mio Paese dove vige lo stato di emergenza sarebbe come mettere la testa nella ghigliottina». Queste le parole di Can Dündar in un’intervista a l’Espresso. Lui, giornalista e saggista turco, che ora vive in Germania, due anni fa venne tenuto in carcerazione preventiva per tre mesi, con l’accusa di spionaggio. Aveva scritto che i servizi segreti turchi avevano fornito armi agli estremisti islamici in Siria. Sempre nella stessa intervista afferma: «La società civile ha paura a esporsi perché scattano subito le manette, anche solo per un tweet».
Nella notte del 15 luglio 2016, l’esercito si è mosso per fermare la tendenza autoritaria del Governo di Recep Tayyip Erdoğan. I “golpisti” avevano messo in serio pericolo, per almeno cinque ore, il “regno” del presidente. Il golpe, avvenuto intorno alle 21, sarebbe fallito per la scarsa partecipazione delle forze armate e perché a quell’ora quasi tutti erano ancora svegli (vedi anche Colpo di Stato in Turchia: le ragioni di un fallimento). Il resort dove si trovava Erdoğan, nella città meridionale di Marmaris, era stato effettivamente attaccato, ma lui era già fuggito. Alle 23,30 il presidente si era collegato con Cnn Turkey, per chiedere alla popolazione di scendere in piazza a sostenere il suo Governo. In poco tempo, le strade si erano riempite di suoi sostenitori, e questi, con l’aiuto delle forze di Polizia, avevano disarmato moltissimi militari.
Nella mattinata seguente, dopo essere atterrato con il proprio aereo all’aeroporto di Istanbul, Erdoğan aveva affermato che i responsabili “l’avrebbero pagata a caro prezzo”. Durante gli scontri, sarebbero morte almeno 265 persone, di queste, 161 erano civili e 104 i “golpisti”. Il presidente aveva accusato Fethullah Gülen di avere complottato contro di lui. Il religioso, che vive da anni in Pennsylvania, appare spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia.
Erdoğan, dopo il tentato e fallito colpo di stato di luglio, ha accelerato un processo già in atto: condurre il Paese verso un sistema politico sempre più autoritario. Così, il 16 aprile 2017, si è tenuto in Turchia il referendum costituzionale promosso dal suo partito. Ha vinto il SÌ, con il 51,3%, contro il NO (48,7%). Nonostante la vittoria del regime, i risultati ci restituiscono un’immagine della Turchia profondamente spaccata. Il principale partito di opposizione ha sostenuto che molti voti non erano validi, perché un alto numero di certificati elettorali non presentava il timbro ufficiale. Nonostante ciò, i cambiamenti previsti dal referendum entreranno in vigore dalla prossima legislatura, vale a dire, dal 3 novembre 2019.
La Repubblica passerà da parlamentare a presidenziale, ed Erdoğan acquisirà i poteri esecutivo, giudiziario e legislativo, senza più controlli da parte dell’Assemblea di Ankara. Il presidente potrà essere rieletto per due mandati consecutivi e, grazie a ulteriori norme, allungherebbe il suo incarico politico addirittura fino al 2034. Sicché oggi in Turchia sono minacciate ogni giorno di più le libertà democratiche basilari, come il diritto d’espressione, di manifestazione del dissenso e la libertà di stampa. Nell’ultimo anno sono stati incarcerati più di 150 giornalisti; infatti, rischia la prigione chiunque non segua le direttive del Governo. Il 29 aprile Wikipedia è stata censurata nel Paese in tutte le lingue. Questo perché i gestori del sito non avevano rimosso due articoli all’interno dei quali veniva evidenziato il legame tra la Turchia e alcune organizzazioni terroristiche.
Il leader turco ha anche annunciato di essere pronto a un altro voto referendario sulla reintroduzione della pena di morte. Inoltre, aspetto fondamentale, la religione islamica diventa sempre di più una cosa sola con lo Stato. Si delinea, così, un Paese molto diverso da quello laico pensato da Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica ed eroe nazionale. La Turchia di oggi sembra sempre più simile a un “Sultanato”. Nonostante ciò, Burhan Sönmez, romanziere, ha ancora fiducia nell’avvenire. In un’intervista a il Tascabile ha sostenuto: «Erdoğan sostiene che la metà del popolo turco è con lui. Sarà anche vero, ma ce n’è un’altra metà che gli è contro. Non si può annientare la metà di un popolo uccidendo tutte le persone che ne fanno parte. Per questo sono convinto che la Turchia abbia davanti a sé un futuro lungo e luminoso».
Le immagini: Erdoğan e logo di Wikipedia per il blocco in Turchia.
Leonardo Pavan
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)