Restaurare l’esperienza attraverso la poesia è il titolo della Prefazione di Luca Viglialoro a Restauratrice d’anime (pp. 40, € 8,00) della giovane poetessa marchigiana Daniela Giorgi, decima uscita della collana di poesia Le costellazioni sonore delle nostre edizioni. Vediamo come il direttore della collana analizza la silloge pubblicata.
Nel leggere le poesie di Daniela Giorgi, confesso di essere rimasto piacevolmente sorpreso da alcune immagini estremamente intense. Si tratta, mi pare di capire, di fotogrammi in cui si condensa una disarmonia, una sorta di vibrazione interna alle cose: “Sciolgo le stringhe delle mie scarpe / le butto sulla terra / e la sigaretta trema” (da Stupida tazza da tè).
Il punto di partenza è, molto spesso, la realtà di oggetti all’apparenza insignificanti che, a contatto con le emozioni, subiscono una sorta di metamorfosi. “Il ritmo delle stagioni”, così la nostra autrice denomina il modo in cui tutto ciò che ci circonda assume nuove forme. Non siamo, dunque, alle prese con un minimalismo alla Ponge o con una “metafisica domestica” alla Zeichen (benché proprio da loro la Giorgi riprenda l’uso del calembour: “Cronica Cronologia crudele in un’allitterante sintesi”, citando il titolo di uno dei suoi componimenti).
Come in un autentico restauro, queste poesie sembrano voler togliere la patina del peso degli anni, per descrivere un mondo fatto di ascese e ricadute, affanni e rincorse: “Mondo questo / che boccheggia / in un traffico danneggiante / nella notte” (sempre da Cronica Cronologia crudele in un’allitterante sintesi). Non si può adeguare alcun universo simbolico a tutta la creazione che, in base alla propria legge di autoproduzione, non si lascia nominare da artifici o da clichè: “Arde il sole / fra costellazioni / senza nomi propri. / Arde senza bisogno di nomi” (da Untitled).
La Giorgi è perfettamente consapevole della distanza tra i suoi versi e la vita. Sa che il palpito della realtà è unico e irripetibile, quasi intangibile perché celato nelle ombre d’una vitalità sconnessa, senza soluzione di continuità: “Streccio la notte / dei nodi del tempo / e conservo un sogno grande / che non conosce ombra e / per questo / non può essere Vita” (ancora da Cronica Cronologia crudele in un’allitterante sintesi). In alcuni snodi decisivi, queste poesie sembrano strizzare l’occhio alla tumultuosa retorica di Sylvia Plath, quando al lato del verso si crea una frastornante incrinatura, di cui il lettore si sente del tutto in balìa.
Lo definirei un processo entropico che invischia e risucchia le distanze dei corpi, persino quelli avvinghiati nella fugacità dell’atto sessuale che, qui, viene rappresentato come un congegno bulimico in cui non vi sono (s)oggetti per soggetti (e viceversa), ma solo zone d’attrito nelle quali i corpi scaricano energia. Ciò che fa persona la persona viene divorato, per essere messo alla mercé del prossimo “pasto nudo”: “La tua testa / fra le mie mani / le tue unghie / nella mia carne / questo amore che va via… / […] Giorni che intimidiscono / sorrisi e ricordi / della nostra / canzone stonata, / quante bocche ha / la voracità / del tempo?” (da Marmellata senza perle).
A quest’ultima domanda credo sia molto difficile rispondere. Posso solo dire, però, che chi – sia esso un poeta o un qualsiasi cittadino del mondo – trova il coraggio (e la fiducia) di restaurare la propria esperienza con la passione per la ricerca del senso, per quel tanto che riuscirà a dare a se stesso e agli altri degli scopi – quindi: desideri, emozioni, privazioni – sarà in grado di stare, come scrive Benjamin nella poesia Der Dichter, “zwischen schwarzer Nacht und buntem Leben” (“tra la notte più nera e la vita variopinta”).
(Luca Viglialoro, Restaurare l’esperienza attraverso la poesia, Prefazione a Restauratrice d’anime di Daniela Giorgi, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della silloge di Daniela Giorgi.
Luca Viglialoro