“Mi ha preso per i capelli, davanti ai bambini, e ha cominciato a dire: la mamma è una puttana, la mamma è stata con un suo collega, la mamma sta con tutti gli uomini”. […] “Lui mi ha dato uno schiaffo, poi un calcio, mi ha tirato i capelli, con il sangue nella testa, mi ha picchiato, e c’erano mia figlia e gli altri ragazzi…”.
LA RILETTURA
Sono due donne, quelle che parlano, una italiana e una magrebina: le chiameremo Maria e Sonia, due donne che hanno cercato il modo di uscire da un’escalation, quella della violenza domestica… Due persone che hanno trovato conforto nella “Casa delle Donne”, un’associazione antiviolenza che ha la sua sede a Bologna e si occupa da quasi vent’anni di trovare soluzioni concrete ai tanti casi di maltrattamento subiti da donne a opera dei propri partner. E’ appunto con questo intento che tale organizzazione fornisce loro tutte le informazioni relative a un eventuale iter giuridico da percorrere e, se necessario, offre la possibilità di un periodo di permanenza nelle case rifugio. In altri casi ancora, inoltre, a chi si rivolge alla “Casa delle Donne” è offerto anche il supporto e l’aiuto di veri e propri gruppi di sostegno alla decisione.
Una donna in prima linea – Caterina Righi, laureata in Pedagogia e con un Master in Counseling, è la responsabile dell’accoglienza e di storie di violenza ne ha sentite tantissime. Solo nel 2007 si sono rivolte all’associazione 550 donne residenti a Bologna e provincia, di cui il 63% italiane e il restante 37% straniere, in media tra i 30 e i 40 anni e con bambini. “Le donne che subiscono violenza” osserva la dottoressa Righi “si rivolgono a noi solo dopo averle provate tutte, non arrivano dopo un solo episodio di violenza: di solito passano diversi anni prima che una donna cerchi aiuti all’esterno, e in quegli anni le violenze crescono non solo in frequenza, ma anche in pericolosità”.
Il ciclo della violenza – Esiste un vero e proprio ciclo della violenza che si presenta uguale per tutte. L’uomo non ha comportamenti brutali dall’inizio della relazione, i primi episodi arrivano quando si è già acquisita una profonda fiducia da parte della propria partner, di solito quando si convive già da un po’ di tempo, o dopo il matrimonio. La violenza si innesca con l’arrivo di situazioni di maggiore stress, come una gravidanza, un lutto, problemi economici. Al primo schiaffo o spintone seguono le scuse, le promesse, e un periodo di relativa calma, detto “luna di miele”. Dopo di che ecco un altro schiaffo, spintone, o calcio. Col passare del tempo le pause sono più brevi e le percosse più pesanti, finché non si arriva al rischio vero e proprio. La donna intanto vive divisa tra la paura della persona che ama e l’incredulità rispetto a ciò che sta succedendo. Prima incolpa se stessa delle aggressioni, poi, dopo aver tentato qualsiasi cambiamento, arriva la coscienza della realtà: non c’è niente che possa fare per evitare le aggressioni, le percosse, le violenze fisiche e psicologiche, perché non dipendono da lei.
Storie di vita – Chiara e Francesca hanno entrambe 35 anni, sono nate e cresciute in Emilia-Romagna, hanno figli e hanno convissuto per anni con il controllo e la rabbia che il marito scaricava loro addosso… Chiara: “Scoprire che era a volte anche molto diverso da quello che mi ero immaginata è stato scioccante. Infatti all’inizio non volevo crederci. E davo la colpa a me stessa… dicevo, “mi sono sbagliata io. Non era così. Non può essere così…””. Francesca: “Se volavano delle botte era perché noi eravamo le persone che l’avevano fatto incazzare, era perché noi gli mettevamo nervosismo. E’ chiaro che quando senti in continuazione quelle cose lì per buona parte pensi veramente di dover cambiare, di non andare bene, di non dare fiducia”.
Tante “violenze” – Ci sono diversi tipi di violenza, quella fisica, sessuale, psicologica e economica. La violenza fisica è sempre accompagnata da violenza psicologica. L’uomo accusa la donna di essere incapace, di non valere niente, di essere una cattiva madre, una cattiva moglie. La dottoressa Righi ci spiega che a questo punto comincia un momento di forte confusione per la donna che si ritrova ad essere accusata da un uomo che comunque ama: “Il tradimento della fiducia in questi casi per le donne è dolorosissimo, soprattutto perché inaspettato”. Inizia dunque uno squilibrio di potere all’interno della coppia, e il controllo sempre più violento dell’uomo sulla donna, che viene così isolata, o tende comunque all’autoisolamento, a causa di una forte vergogna per il comportamento del suo partner e, di conseguenza, nei confronti di se stessa.
Diverse le culture, ma medesime le storie – Torniamo a Maria e Sonia, donne che appartengono a dimensioni culturali diverse, anche se vivono entrambe a Bologna. Mettendo a confronto le cose che dicono non sembra ci sia tanta differenza tra le loro storie… Sonia: “Lui non era neanche violento, però io mi sentivo prigioniera. Non potevo uscire, non potevo parlare con i vicini, non potevo ricevere lettere. Se mi scriveva un’amica, lui comunque le leggeva, poi me le buttava o mi picchiava…”. Maria: “Lui decideva tutto ciò che dovevi fare e come dovevi muoverti. Andavi al bagno, ci andavi troppo spesso. Andavi a letto presto, non si poteva. Niente. La tua libertà di decisione non esisteva”.
Vittime e straniere – Che la donna venga da Bologna o da Casablanca, la situazione quindi non cambia. In Marocco è la famiglia a intervenire nel caso in cui l’uomo assuma un comportamento violento, diventa un cuscinetto protettivo per la donna, ma quando la coppia si trapianta in Italia, per la donna non c’è più nessuna membrana che la protegga dal partner. E per di più l’isolamento e le condizioni spesso precarie non fanno che inasprire la violenza dell’uomo. E’ per questo motivo che, in proporzione a tutte le donne che si rivolgono alla “Casa delle Donne”, sono preponderanti le straniere che decidono di recarsi nelle case rifugio (il 48% rispetto al totale). Sono più svantaggiate, di solito senza lavoro, dipendono economicamente dal marito e si trovano in maggiore pericolo di violenza. La gran parte di loro viene da Marocco, Nigeria e Romania.
Vittime italiane – Dalle coppie italiane non ci si aspetterebbero uomini violenti che sottopongano la partner a un regime di controllo e violenza psicologica, fisica, sessuale ed economica. Eppure i casi sono tantissimi, e da quando se ne tratta pubblicamente, non fanno che aumentare. L’uomo italiano si vergogna generalmente del suo comportamento, perciò non ne parla. Se arriva a dichiararlo senza indugi, significa che è estremamente violento e pericoloso perché ha perso completamente anche il minimo senso di empatia verso la donna che brutalizza.
La realtà delle case rifugio – Per i casi di serio pericolo la “Casa delle donne” dispone di case rifugio che possono dare asilo fino a 16 donne, con o senza bambini, per la durata di 5 mesi. Ogni anno sono 20 o 25 le donne che vi transitano. Durante questo periodo di “pausa” la donna ha il tempo per decidere cosa fare della propria relazione, se continuare o separarsi. “Spesso la separazione non è la soluzione o comunque è l’ultima chance” afferma la dottoressa Righi. “La richiesta di separazione può diventare molto pericolosa: difficilmente l’uomo violento, che non tollera sbilanciamenti di potere, la accetta di buon grado. Si arriva così a episodi di persecuzione, oggi si parla di stalking, anche molto gravi”.
La denuncia non sempre è la soluzione efficace – Allo stesso modo nemmeno la denuncia, spesso, è una soluzione efficace, nonostante i luoghi comuni: “Ma perché non è corsa a denunciarlo?” è la domanda ricorrente quando si parla di donne che subiscono violenza. In realtà la denuncia può diventare più un rischio che altro, non è una soluzione protettiva, mentre ciò di cui una donna maltrattata ha bisogno è proprio una tutela immediata. Soltanto dal 2001, con la legge n. 154, è previsto l’allontanamento dall’abitazione del convivente violento, il divieto di frequentazione di determinati luoghi abitualmente frequentati dalla parte offesa e l’ordine di pagamento di un assegno familiare in caso di bisogno per la durata di almeno 6 mesi. Tuttavia, si tratta di una legge poco conosciuta e poco attuata. Altrimenti possono trascorrere mesi, anni addirittura, prima che la denuncia arrivi alla magistratura, a meno che non ci siano già stati episodi estremamente gravi, come il tentato omicidio o la violenza sessuale. In questo caso il tempo di attesa può ridursi a un mese soltanto. Un’altra alternativa è che la donna faccia un esposto per l’intervento dell’Autorità di pubblica sicurezza nel qual caso la polizia convoca l’aggressore per fargli sapere che è al corrente della situazione. In alcune situazioni può funzionare, soprattutto quando l’uomo prova vergogna per quello che ha fatto e diventa consapevole del fatto che la donna è disposta a raccontare l’accaduto a estranei. Ma più spesso l’esposto diventa una miccia per scagliarsi contro la partner che ha osato tentare di capovolgere la situazione rivolgendosi alla polizia.
Le riconciliazioni – Ci sono anche molti casi di riconciliazione: la donna decide di tornare col partner per i propri figli, per paura di restare sola, perché ormai si è convinta di non potercela fare o perché continua a sperare che l’uomo di cui si era innamorata possa cambiare. “Non ho mai sentito” continua la Righi “che dopo una riconciliazione la donna dica: ora è tutto a posto, le cose vanno benissimo”. Le violenze, quindi, ricominciano o si attutiscono finché non si stabilizzano su “livelli tollerabili”, in cui può cessare la violenza fisica mentre permane quella psicologica. “Quando ho visto che lui faceva capire, perché poi è un attore in gamba, che voleva cambiare,” racconta Maria “io sono tornata, cercando di ricominciare da capo, senza rancori. Però dopo pochi giorni lui ha ricominciato da capo, mi picchiava come prima”. La separazione, comunque, rimane in ogni caso la soluzione cui arrivano la maggior parte delle donne che subiscono violenza, siano esse italiane o straniere…
Le proposte in altre nazioni – Il problema della violenza domestica in Italia è ancora sottovalutato, nonostante se ne parli sempre di più. Ad esempio, al contrario di quanto accade in Norvegia o negli Stati Uniti, non esistono gruppi di recupero per uomini violenti a cui si possano rivolgere coloro che perdono il controllo, ma vogliono provare a contenere la propria rabbia. In tal senso è importante sottolineare la nascita di un’organizzazione fondata nel 1991 in Canada e approdata in Italia da pochi anni attraverso l’Associazione Artemisia di Firenze, che vuole contribuire a sensibilizzare la società circa il problema della violenza sulle donne, mediante la “Campagna del Fiocco bianco”. E’ un segnale che manifesta, da parte degli uomini estranei alla violenza, la volontà di mobilitarsi per dimostrare che si può essere sensibili verso una educazione civica nei confronti di ragazzi e adulti.
L’immagine: un ambiente della “Casa delle Donne”: l’accoglienza contro la violenza.
Eva Brugnettini
(LM Magazine n. 1, 15 marzo 2008 supplemento a LucidaMente, anno III, n. 27, marzo 2008)