L’originale arte pop di Luca De March: il ri-uso delle fiabe per la dissacrazione e la critica della società occidentale
La satira dei nostri giorni è spesso stantia e ripetitiva: prende di mira i soliti bersagli e ci offre un desolante “déjà vu”; anche nei mezzi espressivi. In tale bigio panorama Luca De March, giovane artista autodidatta, rappresenta una felice eccezione, perché sceglie i personaggi delle favole, nella loro versione cinematografica, e li usa, in originale stile pop, come armi affilate, stravolgendo il loro ruolo per urtare e ferire volutamente la nostra sensibilità.
Riprendendo l’immaginario collettivo della nostra infanzia, De March lo destruttura e lo dissacra aprendo spazi nuovi d’interpretazione sulla nostra contemporaneità. L’irriverenza di questo artista è vitale e pulsa d’energia anche nell’uso sapiente dei colori, ma soprattutto il sorriso che ci strappa ci punge, ci fa bene e ci fa male, ci inietta nei pensieri un’inquietudine tormentosa che suscita in noi uno stupore poco rassicurante. La principessa cade e decade, la regina si dà all’alcol (in un’immagine che farebbe sorridere il “maledetto” Charles Bukowski), la strega si svende con ogni tipo di spot pubblicitario, il principe azzurro è in astinenza da Viagra, e Biancaneve vaga in un mondo di allucinazioni e deliri.
Le certezze crollano: restano solo i dubbi tra il fumo delle macerie. Attraverso lo specchio della favola De March ci offre la sua lettura critica della società occidentale, suscitando un sorriso amaro che ci induce a riflettere sulla crisi morale e sociale che scuote l’uomo del nostro secolo. I sogni e le illusioni delle favole, simboleggiate dai personaggi disneyani, si frantumano nell’azzurro prosaico del Viagra, sintomo e simbolo della volontà di ottenere a qualunque costo ciò che la natura ci nega, nella misera consolazione di un hamburger o di un kebab che placano il ventre soffocando nell’anima ogni anelito di poesia.
Maria Sofia Gallotta
(LucidaMente, anno IX, n. 98, febbraio 2014)
Questa interessante riflessione su un artista pop-art contemporaneo, che prende le mosse da Lichtenstein e Wesselmann, e che si affratella al linguaggio più recente di Gary Baseman, è lo specchio di una società superficiale, kitsch, che ha perso di vista i valori più importanti per dar spazio alla televisione, all’apparire.
Sofia Gallotta individua molto bene la profondità del problema, e ne chiarisce – creativa com’è ella stessa – la criticità.
Stefano Z.