Cinque racconti del 1939 di Jean-Paul Sartre su follia, ipocrisia e vizi che affliggono la realtà
«Nel corridoio Tom e Juan aspettavano fra due guardie. Ci mettemmo in cammino. Tom chiese a una delle guardie: “E allora?”. “Cosa?” disse la guardia. “Ebbene? Che ci faranno?” La guardia rispose seccamente: “Vi comunicheranno la sentenza nelle vostre celle”. […] In quella cantina, nel cuore dell’inverno, in piena corrente d’aria, io sudavo. Mi passai le dita nei capelli che il sudore aveva resi come feltro; e al tempo stesso mi accorsi che la mia camicia era umida e mi s’incollava alla pelle: grondavo da un’ora almeno e non avevo sentito nulla. […] Volevo alzarmi per andare a rompergli la faccia ma appena ne avevo accennato il gesto che già la mia vergogna e la mia collera svanirono; ricaddi sul banco con indifferenza. […] Li guardavo curiosamente, come insetti d’una specie rarissima. Gli dissi: “So dov’è. Sta nascosto nel cimitero. In un sepolcro o nella capanna dei becchini”. Era per far loro uno scherzo. Volevo vederli alzarsi, affibbiarsi i cinturoni e mettersi a dare ordini con aria affaccendata. […] Verso sera cacciarono nel cortile una decina di prigionieri nuovi. Riconobbi Garcia, il panettiere. Mi disse: “Ne hai della fortuna! Non pensavo di rivederti vivo”. “Mi avevano condannato a morte,” dissi “e poi hanno cambiato idea. Non so perché”. […] Abbassò la voce. “Hanno preso Gris”. Mi misi a tremare. “Quando?”. “Stamattina. È stato un coglione. Ha lasciato la casa del cugino martedì perché avevano avuto a che dire. […] Ha detto: ‘Mi sarei nascosto da Ibbieta, ma dal momento che l’han preso andrò a nascondermi al cimitero’”. […] Tutto si mise a girare e mi ritrovai seduto in terra: ridevo così forte che mi vennero le lagrime agli occhi».
Jean-Paul Sartre
(da Il muro, traduzione di Elena Giolitti, Einaudi, 1995)
Nel 1939 Jean-Paul Sartre (1905-1980) pubblicò, presso la casa editrice Gallimard, una raccolta di racconti intitolata Le mur (poi tradotta in italiano nel 1947 da Einaudi col titolo Il muro), che contiene i motivi portanti della prima fase della sua attività filosofica e letteraria.
Nei cinque racconti che compongono il libro (Il muro, La camera, Erostrato, Intimità, Infanzia di un capo) Sartre si è soffermato soprattutto a descrivere l’assurdità dell’esistenza umana, intrisa di follia, inettitudine, ipocrisia e vizi, sviluppando gli argomenti già affrontati nel romanzo del 1938 La nausea e poi meglio sistematizzati sul piano teorico nel saggio del 1943 L’essere e il nulla.
“Morire pulitamente” – Il primo dei cinque racconti, che dà il titolo al libro e da cui abbiamo tratto le citazioni sopra riportate, si svolge in Spagna, durante la guerra civile tra falangisti e repubblicani. Un anarchico, Pablo Ibbieta, viene catturato dai franchisti e rinchiuso dapprima in isolamento dentro una segreta dell’arcivescovato, poi insieme ad altri due prigionieri – Juan Mirbal e Tom Steinbock – in una buia e angusta cantina di un ospedale. I tre personaggi attendono di sapere quale sarà la sorte loro riservata e, nell’attesa, cercano di sostenersi reciprocamente, finché non apprendono che sono stati condannati alla fucilazione. Un medico è mandato nella cella per assisterli prima dell’esecuzione, ma in realtà egli è soltanto interessato a studiarne i comportamenti e le reazioni emotive. Tom, militante di origine irlandese della Brigata Internazionale, parla molto e cerca di trovare una ragione che dia senso al suo sacrificio, interrogandosi su cosa lo attenda dopo la morte. Pedro, un giovane arrestato solo perché fratello di un anarchico, non resiste allo stress e a un tratto comincia a piangere e a implorare vanamente clemenza. Pablo, che funge da io narrante, si mantiene invece freddo e impassibile, deciso a “morire pulitamente”, mostrandosi assolutamente indifferente alla propria sorte. Anche se è diventato apatico e medita con distacco sull’insensatezza della vita, Pablo non riesce comunque a controllare il suo corpo, che sembra ribellarsi al destino che lo aspetta, cominciando a sudare copiosamente e diventando persino incontinente: la vita non lo attira più e non ha rimpianti, tuttavia continua istintivamente ad aggrapparsi a essa. Nei tre prigionieri, man mano che si avvicina il momento in cui gli aguzzini verranno a prenderli, aumenta lo smarrimento e l’incubo della morte.
Una falsa delazione… che si rivela esatta! – Quando però i carcerieri entrano per prelevarli, accade un fatto imprevisto: mentre Juan e Tom sono condotti al supplizio, Pablo viene portato al cospetto di due ufficiali franchisti che, in cambio della vita, lo invitano a rivelare il luogo dove si nasconde Ramon Gris, uno dei capi anarchici. Egli, pur sapendolo, si rifiuta di dirlo, non per eroismo ma per semplice ostinazione. Successivamente, però, cambia atteggiamento e decide di schernire i falangisti, anche per dimostrare il proprio assoluto disprezzo della morte: s’inventa che Gris è nascosto nel cimitero, convinto che i suoi persecutori, dopo essersi affannati a cercarlo inutilmente, affretteranno i tempi dell’esecuzione. Tuttavia, con sua enorme sorpresa, dopo qualche ora gli viene comunicato che non sarà giustiziato: le guardie lo conducono in cortile, unendolo ad altri detenuti. A questo punto, parlando con un prigioniero, Pablo scopre, con sgomento misto a ilarità, che la falsa delazione si è rivelata esatta: Gris, che in un primo tempo si nascondeva in casa di un cugino, ha deciso di spostarsi proprio al camposanto ed è andato a rifugiarsi nella baracca dei becchini, dove i falangisti lo hanno catturato! Al protagonista, resosi conto di essersi salvato grazie a un assurdo equivoco e a una beffarda serie di coincidenze, non resta altro da fare che mettersi a ridere fino alle lacrime.
Il nichilismo del primo Sartre – L’io narrante di Le mur è un uomo che ha lottato per un ideale ma che è incorso, infine, in una sorta di “disincanto” weberiano, avendo acquisito la consapevolezza, di fronte all’evento supremo rappresentato dalla morte, che ciò che ha compiuto fino ad allora è privo di senso e che niente ha valore in sé, perché ogni cosa è gratuita e senza fondamento. Decide perciò di giocare con i suoi carcerieri, facendosi beffe di loro: l’epilogo inatteso e grottesco conferma le sue convinzioni intorno all’assoluta contingenza e casualità delle vicende umane. Più che una denuncia della guerra, della violenza e del pericolo rappresentato dal totalitarismo (temi che saranno fortemente presenti nell’opera di Sartre dopo la Seconda guerra mondiale) Il muro s’inserisce pienamente nella dimensione individualistica e nichilistica del primo Sartre, lasciando poco spazio a quel senso di umanità e di solidarietà tra gli uomini che il filosofo francese farà proprio in seguito all’esperienza della lotta contro il nazismo, che lo spinse a teorizzare l’engagement, ovvero l’impegno politico, e lo avvicinò al marxismo, sia pure da lui riletto in chiave antidogmatica e soggettivistica. I muri dei quali si parla nei cinque racconti – che materialmente tengono rinchiusi i vari personaggi – simboleggiano l’esistenza umana, che appare pietrificata e fossilizzata, resa inutile dallo scacco a cui tutti sono destinati e vanificata dalla mancanza di senso delle cose. Il pessimismo antropologico del primo Sartre è pressoché totale: non a caso ancora nel 1945, nella tragedia A porte chiuse, farà dire a uno dei protagonisti, Garcin, la famosa frase: “L’inferno sono gli altri”.
L’umanismo del secondo Sartre – Nel Secondo dopoguerra Sartre attenuò il suo nichilismo, aderendo a una visione del mondo sostanzialmente umanistica, anche se mantenne alcuni dei tratti pessimistici presenti nella prima fase della sua produzione letteraria. Sulla rivista Les Temps Modernes, da lui fondata nel 1944, e in opere come L’esistenzialismo è un umanismo (1946), Materialismo e rivoluzione (1947), Critica della ragione dialettica (1960) egli ribadì il rifiuto di ogni giustificazione che potesse spiegare deterministicamente l’agire umano (Dio, la dialettica, la storia, l’inconscio, ecc.) e, pur aderendo al materialismo storico, criticò il materialismo dialettico allora imperante in Urss, confermando le sue convinzioni intorno al valore della libertà come condizione originaria del “per-sé”, cioè del singolo che è “condannato ad essere libero” per il fatto stesso di trovarsi “gettato” in un mondo senza senso (l'”in-sé”), al quale tenta disperatamente di attribuire dei significati. Sartre diventò negli anni Sessanta e Settanta uno dei paladini della libertà individuale e dei diritti umani, fornì il pieno sostegno alla rivolta degli studenti parigini nel maggio 1968, si batté contro l’intervento militare degli Usa in Vietnam, la persecuzione dei dissidenti sovietici e i maltrattamenti subiti in carcere dai terroristi rossi tedeschi. La sua misantropia si attenuò ed egli, nella Critica della ragione dialettica, giunse a sostenere che si possono realizzare con gli altri, almeno in certi frangenti, rapporti costruttivi, mettendo in piedi un “gruppo”, i cui membri vivono in condizioni di uguaglianza e cooperano tra loro, anche se la tendenza umana a istituire gerarchie e disparità (cioè a creare una “serie”) ne minaccia sempre la stabilità e spesso ne determina la crisi.
Le immagini: icona di Jean-Paul Sartre e due copertine di edizioni italiane de Il muro.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno V, n. 58, ottobre 2010)