“Io piangio a Brescia-Auschwitz. Dieci milioni per finire su un marciapiede” è il libro di Sandro Biffi, edito da La vita felice, che narra la vera storia d’amore tra una giovane escort e un professore bresciano
Una storia di amore e tenacia, cui fanno da sfondo le decine di altre storie legate al racket della prostituzione nella Brescia dei primi anni Duemila. Un romanzo-documentario di denuncia scritto da Sandro Biffi (pseudonimo letterario di un docente delle scuole medie superiori) che trascina il lettore nello squallore di un mondo di violenza e soprusi, al quale si sfugge solo attraverso la dolcezza dei sentimenti di Alexandra e Alberto. Il titolo è Io piangio a Brescia-Auschwitz. Dieci milioni per finire su un marciapiede (La vita felice Editore, pp. 224, € 16,50; il libro fa parte della scuderia dell’agenzia letteraria Bottega editoriale diretta da Fulvio Mazza).
Le sigarette spente sul ventre, la testa infilata in un lavandino quando i soldi racimolati sono troppo pochi, il vento freddo di un inverno bresciano passato su un marciapiede fino alle cinque del mattino: è solo una piccola parte di ciò che Alexandra deve sopportare nella sua vita da prostituta. Trascinata in Italia dalla Nigeria con una finta promessa di lavoro in fabbrica, vincolata dalla credenza in un rito vudù al quale è stata sottoposta prima di partire, viene gettata ancora vergine nell’auto del cliente di turno, con lo scopo di ripagare un debito di oltre ottanta milioni al racket che la tiene prigioniera. Invisibile agli occhi dei più, è notata unicamente da coloro che accostano presso il tratto di strada da lei presidiato con la volontà di soddisfare le proprie perversioni: masturbarsi una mezz’ora con il suo corpo o compiere uno «stupro a pagamento» da poche centinaia di lire (vedi anche Dal Brasile senza passione…, ma pure, altri articoli di LucidaMente, che mostrano un diverso volto del fenomeno prostituzione; ad esempio, “Professoressa? Meglio prostituta!”; Prostituzione senza moralismi bigotti; Dialogo tra una escort e il suo cliente).
Non saranno tuttavia gli stivaloni neri e le gambe slanciate da diciannovenne ad attrarre Alberto Pantani – professore bresciano che conoscerà Alexandra del tutto casualmente una sera – ma i suoi grandi occhi scuri, la sua risata solare, la sua radiosa voglia di vivere.Alberto si legherà alla ragazza fino a scoprirsi, quasi senza accorgersene, indivisibile da lei, affascinato e impaurito dal tenero sentimento d’amore che prova, tanto forte quanto la sua tenacia nel tentare di riscattare la tragica sorte di Alexandra. La vicenda vera di una delle milioni di ragazze straniere (nigeriane, albanesi, moldave, romene) strappate ai loro Paesi con l’ingannevole promessa di una vita migliore e poi costrette a vendersi per soddisfare le esigenze di un giro di miliardi di euro in mano alla malavita europea ed extracomunitaria (leggi anche La tratta delle nigeriane gestita in Italia).
Un intreccio di vite rovinate dalla malvagità di chi, guardando un essere umano, vede solo il guadagno che ne potrà trarre, storie di soprusi e violenze inimmaginabili. E, poi, ancora di paura, d’indifferenza, di rabbia: la paura di chi sa che potrebbe non vivere un altro giorno; l’indifferenza di chi, al calduccio nella propria comoda poltrona, non accorre alle grida di aiuto di una ragazza pestata a sangue sotto la propria finestra; la rabbia di Alberto, impotente di fronte a un sistema più grande di lui e che tenterà di scalfire fino alla fine, coinvolgendo Forze dell’Ordine e giornali (vedi il reportage del 2001 Dieci milioni per un marciapiede). Il libro nasce dal dattiloscritto, a opera dello stesso Alberto, del periodo da lui trascorso con Alexandra, in seguito rielaborato in racconto da Biffi, ed è un omaggio dovuto alla giovane nigeriana e alle innumerevoli vite spezzate dal racket della prostituzione. Proprio per la realtà dei fatti narrati risulta essere un testo forte, struggente nell’umanità delle emozioni e nel contrasto evidente fra la tenerezza e l’ingenuità di una ragazza che ride felice anche solo perché può mangiare delle patatine fritte e la crudeltà e il cinismo del mondo in cui è stata scaraventata.
È un libro che indigna e fa riflettere sulla capacità di ognuno di restare umano a prescindere dalla levatura sociale e culturale di chi si trova di fronte, di provare empatia per ciò che l’altro realmente è, in base al suo vissuto, a ciò che sente, e non in base a come appare. «Riusciamo davvero a scorgere l’umanità del nostro prossimo, anche quando si tratta di una prostituta?» è la domanda iniziale che si legge nella prefazione al libro a cura di Bottega editoriale; ed è questa la domanda cui ognuno, in propria coscienza, arrivato all’ultima pagina, tenterà di dare risposta.
Le immagini: la copertina del libro Io piangio a Brescia-Auschwitz e vite da strada.
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 147, marzo 2018)
A prescindere dai riti woodoo, in ambito di prostituzione tra soggetti maggiorenni, mi domando il motivo per il quale a cadere vittime della tratta di persone a sfondo sessuale debbano essere sempre le donne straniere, mentre quelle italiane ne debbano essere quasi esenti, sia in Italia, sia all’estero ed il motivo per il quale i marciapiedi del sesso a pagamento si svuotano durante le vacanze natalizie e pasquali ed ad una certa tarda ora di notte, per non dire di osservare le stesse professioniste con uno smartphone in mano ed anche un’autovettura a disposizione. La risposta a tutto questo è quella che la schiavitù del sesso a pagamento non è molto diffusa.
Gentilissimo lettore, grazie per averci scritto.
L’articolo in questione è la recensione di un romanzo, con la sua rispettabilissima “poesia”. Ma, se ha letto, bene, all’interno della stessa recensione, trova i link ad articoli della nostra rivista molto vicini alla sua posizione:
Cito: ad esempio, “Professoressa? Meglio prostituta!”; Prostituzione senza moralismi bigotti; Dialogo tra una escort e il suo cliente.