Un’estrema critica al mondo femminile in “Post mortem” (Adelphi) di Albert Caraco
Una sorta di lettera alla madre dopo la sua morte, sulla falsariga della Lettera al padre di Franz Kafka: così si può semplicisticamente riassumere Post mortem di Albert Caraco (Con una nota di Vladimir Dimitrijevi, traduzione di Tea Turolla, Milano, Adelphi, 2009). Donna bella, viziata, sensuale, denominata costantemente nel libro come «Signora Madre», lo scrittore ebbe con lei un rapporto di estremo amore e attaccamento, eppure connotato da molteplici complessi psicologici e dolorose difficoltà. Una relazione dunque ambivalente, con passioni, disamori, addirittura odio e disprezzo, occasioni per studiare il genere femminile, coglierne e mascherarne limiti, debolezze, ipocrisie, meschinità. Per saperne di più sulla figura di Caraco (1912-1971), sulle sue tematiche estreme, sulla sua ideologia, sul suo stile aforistico particolare, sulle traduzioni in italiano delle sue opere, rimandiamo a due precedenti articoli pubblicati dalla nostra rivista (Rino Tripodi, “Gli uomini sono come una lebbra” e Viviana Viviani, Religioni? Il cancro del genere umano). In questo numero, ecco di seguito alcuni brani misogini tratti da Post mortem.
Il mondo della donna non è il mondo dello Spirito, ma da questo la maggior parte degli uomini resta lontana, e attribuir loro lo Spirito perché non sono donne mi sembra una presunzione che non si regge, come regola generale gli uomini si collocano in basso quanto le donne, se non più giù. Io mi sento lontano dagli uomini e dalle donne, la loro unione mi sembra piuttosto ridicola e preferisco la solitudine al matrimonio e il nulla alla paternità, le donne sono per noi più un peso che un sollievo, malgrado l’opposta illusione, ma per rompere il loro incantesimo bisogna ridursi alla continenza.
Le mestruazioni, la gravidanza e il parto, e l’allattamento, come possiamo render gloria a simili schiavitù, sono disgustose e molti uomini fremono solo a pensarci, anche se non palesano il loro orrore per paura di passare per mostri. Gli uomini innamorati fingono di dimenticarle, gli altri tacciono, è un argomento che viene eluso ed è penoso per tutti, i musulmani assicurano che le donne non avranno più di queste afflizioni quando saranno con noi in Paradiso, il che significa disperare della guarigione, gli ebrei ringraziano Dio ogni mattina di averli fatti nascere maschi.
Quindi le prevenzioni nei confronti delle donne sono naturali, noi cerchiamo di consolarle della miseria insita nel loro sesso, le nostre leggi di solito servono a raddoppiarla, prime tra tutte quelle morali e religiose, le donne ne appaiono le vittime, e tanto più da compiangere in quanto noi le rendiamo consenzienti. Da secoli le obblighiamo alla gravidanza permanente e inculchiamo in loro le idee più disumane: e che cosa c’è di più atroce del nostro ideale della fecondità? Noi abbassiamo la donna al livello di uno strumento impersonale e la costringiamo a produrre coloro che vengono immolati e per necessità.
L’uomo fa a meno della donna, la donna no, la donna si aggrappa all’uomo e l’uomo si illude a torto di inseguirla, mentre è lei che lo chiama. I conventi di uomini sono infinitamente meglio di quelli di donne, gli uomini non hanno bisogno d’amore, la carne non li tormenta con lo stesso accanimento, l’uomo non soffre di essere uomo, ma di non avere denaro o potere, la donna soffre di essere donna, e poi di non essere amata. Le belle sembianze, le risate, i giochetti, le frivolezze e le moine, la schiuma del mare profondo, e sotto la schiuma un mondo nero dove noi non apparteniamo più a noi stessi ma alla specie.
L’uomo si è premunito contro la donna e, se non avesse resistito, il mondo sarebbe fermo alle origini.
Il nostro banco di prova è la maturità, è qui che troppe donne si smentiscono e rivelano la loro ombra: queste madri di famiglia tanto decantate perché furono feconde, laboriose e pie, a guardarle da vicino non hanno nulla che ispiri affetto, sono dei poveri esseri sfioriti che la stupidità salva dalla malizia, senza fascino né grazia né luce, e che io chiamo le rovine lasciate strada facendo dall’ordine, dalla morale e dalla fede.
Le donne sono da compiangere, si sentono più minacciate degli uomini, ma dato che ragionano di meno non sanno ben spiegarsi il terrore che le divora, la loro incostanza è un sostegno approntato dalla natura, e questo bisogno di credere senza discernimento non è mai stato altro che l’espressione della loro debolezza.
La donna in quanto tale è incostante e non vale l’uomo, le sue qualità profonde sono impersonali, le sue più alte virtù sono archetipiche, l’opera delle femministe la fa progredire solo per quanto riguarda i diritti manifesti e, pur non osteggiandola, la riteniamo insufficiente, al massimo può fare della donna un uomo subalterno, appena l’aborto di una virilità per definizione dubbia.
(da Albert Caraco, Post mortem, con una nota di Vladimir Dimitrijevi, traduzione di Tea Turolla, Milano, Adelphi, 2009, pp. 18, 19, 20, 37, 38, 52, 56, 100)
L’immagine: la copertina di Post mortem e di Obéissance ou servitude (Adelphi).
Jessica Ingrami
(Lucidamente, anno VI, n. 61, gennaio 2011)
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gli uomini non hanno bisogno d’amore, la carne non li tormenta con lo stesso accanimento,
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Falso, perché in realtà il sesso tormenta l’uomo per tutta la vita, ed è al tempo stesso la sua rovina.
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l’uomo non soffre di essere uomo, ma di non avere denaro o potere
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Ovvio che l’uomo soffra per non avere denaro e/o potere, perché è solo attraverso quegli strumenti che può sperare di soddisfare le sue esigenze sessuali.
Ergo, il potere sessuale è femmina, non maschio.
E lo è proprio in virtù della minor pulsione sessuale femminile.
(Benché nella nostra società si sostenga l’esatto contrario.)