Perché è facile e “naturale” credere all’incredibile, all’irrazionale, al contraddittorio
Sui meccanismi che stanno alla base delle credenze religiose, per gentile concessione della rivista che lo ha ospitato, pubblichiamo uno scritto del nostro direttore Rino Tripodi, apparso, col titolo Le “logiche” illogiche delle religioni, sull’ultimo numero (23, maggio-giugno 2013, pp. 240-242) del bimestrale cartaceo NonCredo. La cultura della ragione.
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La maggior parte delle credenze religiose è costituita da un’enorme congerie e accumulo di sciocchezze, fantasie, narrazioni, tutte lontanissime dal buon senso e dal senso comune, assolutamente non in grado di reggere a qualunque prova sperimentale o logica, e addirittura contraddittorie tra di loro. È pertanto sempre interessante e “utile” chiedersi come sia possibile che esse possano costituire un “sistema di pensiero”, una forma mentis, che impregna (o, meglio, di cui sono succubi) miliardi di persone sul nostro “strano” pianeta. In via preliminare si può dire che proprio la confusione e le contraddizioni interne alle credenze delle religioni, più che indebolirle, paradossalmente le rafforzano… È infatti facile provare l’assurdità di un’affermazione logica razionalmente infondata. Ma se le asserzioni sono tante, tutte irrazionali, illogiche, ed esse si intrecciano e si sostengono le une con le altre, ecco che è resa impossibile qualsiasi dialettica. I concetti religiosi si fondano su idee che non sono sottoponibili a verifica. Una stupidaggine non regge, un sistema costruito su assurdità sì. Inoltre, la maggior parte delle idee religiose sono dogmatiche, basandosi su un “ragionamento” chiuso e autoritario: “È vero perché l’ha detto Dio: l’ha detto Dio perché è vero”. Il cerchio si congiunge subito e qualunque dubbio diventa blasfemo: Anatema sit!Le menzogne ripetute per secoli alla fine diventano verità assolute. E perché le persone dovrebbero compiere uno sforzo intellettuale per metterle in discussione e, infine, non credervi?
Una vita difficile
Ma partiamo ab ovo. Tutto ha origine dalla paura, dal terrore, dall’ignoto. L’essere umano nasce in una realtà che, per quanto esteriormente possa apparire accattivante, in ultima analisi si presenta come disumana e spietata: il mondo, il pianeta Terra. Soltanto degli ingenui possono scorgervi i soli aspetti positivi e quindi farsi interamente affascinare dallo splendore del sole, dalla bellezza del cielo azzurro, dalla maestosità serena di un mare tranquillo, dalla visione rilassante di prati verdi, ecc. Se approfondiamo un po’ tale “incantevole realtà” – e basterebbe anche osservare un documentario sulla lotta degli animali per la propria sopravvivenza – ci accorgiamo che si tratta di un mondo violento, dove vige la legge dal “pesce grande mangia pesce piccolo”, nel quale la Natura mira al proprio eterno perpetuarsi, senza badare nella maniera più assoluta agli individui (evitiamo di inoltrarci ulteriormente nel percorso filosofico già ampiamente esplorato da Arthur Schopenhauer, Giacomo Leopardi e tanti altri). Uniche certezze: la nascita, il doversi procurare da mangiare per sopravvivere, il dolore, la sofferenza, la morte. In questo drammatico scenario l’umanità ha sempre atavicamente provato soprattutto un sentimento, il più forte: la paura. Per poi subito cercare di annullare, rimuovere, allontanare tale emozione primigenia, che – se continua – sarebbe paralizzante per la vita dei singoli e delle specie. Nondimeno è poco efficace cercare di allontanare da sé un’esperienza o un pensiero sgradevoli senza aver fatto i conti con essi. L’emozione iniziale resta e, quanto più si cerca di dimenticare il fatto che l’ha provocata, tanto più quella opera nell’inconscio, individuale e collettivo. Alla spontanea richiesta di illusioni-rassicurazioni risponde il pensiero religioso, proprio perché in netto contrasto con quello che i nostri occhi, i nostri cuori, la nostra esperienza di vita, la nostra ragione, ci palesano chiaramente. Vale a dire: l’esistenza sulla Terra è estremamente precaria e legata alla materia; siamo indifesi rispetto al caso, alla violenza, alle malattie, alle catastrofi naturali; non vi è una logica in ciò che ci circonda; siamo soli di fronte alla vita e alle sue insidie; non sfuggiremo alla morte. La religione, dinanzi a tali evidenze, si pone pertanto su un piano del tutto irrazionale (che è quello stesso della rimozione e dell’inconscio), dal quale nasce l’esigenza di credere in “qualcosa d’altro”, che allontani dalla dura realtà.D’altro canto, paradossalmente, la religione finisce poi per creare più ansie e conflitti (interiori ed esteriori) di quante ne allevii o neutralizzi.
Tuttavia, per essere accettato, a un sistema di pensiero non basta negare l’evidenza. Certamente, siamo ben più propensi a credere a chi ci prospetta un futuro di gioia e positività che ai “pessimisti”. Occorre, però, ancora qualcosa. “Mitologie” come il Padre-Dio, la Madre (Madonna), la colpa, la punizione, la salvezza, la vita dopo la morte, la reincarnazione, la resurrezione, che ritroviamo in quasi tutti gli apparati religiosi, rientrano nella sfera dell’inconscio di tutti gli esseri umani. Chi è che non introietta la figura di un padre che ci mette al mondo (la “Creazione”), buono, potente, comprensivo, ma anche severo, vendicativo, quindi di cui aver paura? E di una mamma dolce, comprensiva, “pura”? E molteplici altri sono i meccanismi psicologici che, ad esempio, scambiando i procedimenti di causa-effetto, rendono le superstizioni e le credenze religiose molto, molto accattivanti e, in ultima istanza, “efficaci”.Ancora: le profezie (mai realizzate). Spostando in un altrove (“l’aldilà”, “nel cielo”) e in un altro tempo (“la fine del mondo”) e, comunque in realtà sempre indeterminate, le proprie anticipazioni degli eventi, le religioni (in particolare quelle monoteiste) – al contrario di altre “ideologie” totali e caratterizzate anch’esse da predizioni (vedi il marxismo) – non offrono la possibilità di essere contraddette dai fatti. Mentre l’idea “comunista” e tante altre sono fallite miseramente alla prova del tempo e della Storia perché le loro previsioni non si sono realizzate e, quindi, tutto l’apparato ideologico collegato a esse è miseramente crollato, le credenze religiose continuano all’infinito a rimandare la “resa dei conti” con la realtà: a dopo la morte, all’arrivo di un “nuovo salvatore”, alla “fine dei tempi”, ecc. Da qui la loro resistenza e persistenza nella Storia.
Regole sociali e morale
Non trascuriamo un’altra “ragione” delle religioni: la regolamentazione sociale e morale. Tali norme dettate dal clero, regole che potevano avere un senso nel passato (fedeltà monogamica per la tutela dei figli; divieto di aborto e omosessualità per evitare il rischio del crollo demografico di una comunità in un mondo poco popolato; norme igieniche – anche sessuali – e alimentari da rispettare per tutelare la salute, specie in mancanza di cure mediche e in presenza di carenze di ogni tipo), oggi, soprattutto nel mondo occidentale, non hanno alcun senso, essendo anzi – unite, come diremo tra breve, al senso di colpa e della condanna e altro – foriere di infelicità, nevrosi, persino psicosi. Ma, essendo l’umanità conservatrice, pigra e abitudinaria, essa continua a rimanere attaccata a idee, usi, costumi, pregiudizi del passato, imposti dalla morale religiosa.Inoltre, erano e sono pochi gli uomini che agiscono spontaneamente per il benessere collettivo della comunità cui appartengono e del genere umano nel suo insieme. Basterebbe cercare, più che fare il bene, di non procurare troppo male e dolore agli altri, avere un po’ di rispetto e solidarietà. E la Storia insegna che occorrerebbe ben guardarsi dai profeti, dai “massimalisti” e da chi promette paradisi, in Terra o in cielo. Ma l’umanità va sempre alla ricerca di utopie che si trasformano in distopie e l’individuo non è in grado di superare il proprio egoismo. Per evitare che rubi, violenti, uccida, occorre lo “stimolo” della paura, della punizione, della vendetta. Ecco, allora, la “trovata” religiosa del senso di colpa, del peccato, della punizione, del premio finale, ancorché invisibile.
“Naturalità” del pensiero religioso
Non sappiamo se il cambiamento potrà avvenire e quando.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 90, giugno 2013)
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Lucida ed esaustiva esposizione della genesi religiosa, che è la medesima sia a livello psicologico che storico. Peccato che la credulità mummifichi letteralmente il pensiero, mentre basterebbe soffermarsi a pensare a quanto possa l’Uomo anche (e soprattutto) senza dio, per capire che la religione è sempre un furto, una chelazione chimica di umanità. Doppia, come sempre, la fatica dell’incredulo, il quale, oltre a reggere su di sé il peso della propria esistenza affrontando il famoso abisso senza farsi prendere da vertigine, deve anche fare a meno dell’unica arma contro le brutture dela vita, cioè del suo fratello tutto intero, degli altri uomini che anziché stringersi insieme attorno al fuoco per scaldarsi scansano via il ribelle in attesa di un calore ultraterreno.