Tra piacere, libertà e moralismi: lo psichiatria Alfonso Troisi, spiega in un’intervista quando alcuni comportamenti erotici “eccentrici” possono rappresentare vere e proprie ossessioni compulsive
Due tra i volumi più importanti nello studio dei disturbi mentali e dei relativi trattamenti terapeutici sono il Dsm-IV-Tr. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Elsevier Masson), a cura di Vittorino Andreoli, Giovanni Cassano e Romolo Rossi, e il Manuale di psicopatologia generale (Cleup) di Giovanni Colombo. Ambedue parlano espressamente delle parafilie come disturbi sessuali in cui gli oggetti e/o le situazioni che determinano l’eccitamento si discostano da quelli comunemente riscontrati nella maggioranza dei casi. La scelta dell’oggetto del desiderio e la trasgressione dall’atto si manifestano con caratteri di esclusività, ripetitività e ossessione compulsiva (cfr. www.sessuologia-psicoterapia.it). Per capire le implicazioni psichiatriche profonde connesse a questi disturbi, abbiamo rivolto alcune domande ad Alfonso Troisi, psichiatra del Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico Tor Vergata di Roma.
Le parafilie possono essere descritte quali disturbi sessuali in cui le situazioni e i comportamenti che inducono eccitazione si discostano da quelli riscontrati nella normalità (con vari livelli, per così dire, di scarto). Per quanto ne sappiamo oggi, quanto influiscono i geni e quanto la cultura e l’ambiente?
«Con poche eccezioni, tutti i disturbi psichiatrici sono il risultato di una complicata combinazione di fattori genetici e ambientali. È certamente così anche per le parafilie, considerate nel loro complesso. In singoli casi sono state descritte delle varianti genetiche responsabili di comportamenti parafilici, che si associano a patologie neuropsichiatriche di altra natura. Comunque, nella maggior parte dei casi, l’eventuale componente genetica non è stata individuata. Il ricordo di esperienze infantili traumatiche, come per esempio l’abuso sessuale, è peraltro un dato di riscontro relativamente comune tra le persone affette da parafilie gravi».
Dentro certi limiti il feticismo, l’esibizionismo, il comportamento “sadomaso” e la scopofilia (altrimenti detta voyeurismo, ovvero il piacere di spiare l’intimità e il corpo di una o più persone che diventano oggetto del desiderio) non rappresentano forme patologiche. Quand’è che la psichiatria inizia a studiare questi comportamenti con attenzione clinica? Quando si può parlare di allarme rosso?
«La definizione di quello che è normale e di quello che è patologico nel comportamento sessuale è un problema irrisolto. L’analisi delle pratiche sessuali, nelle diverse culture e nelle differenti epoche storiche, ci insegna che la disparità di giudizio è molto ampia. È bene sapere che la psichiatria non ha dei criteri scientificamente validi per decidere dove finisce la normalità e dove comincia la patologia. Per esempio, di recente si è aperto un dibattito tra gli psichiatri americani riguardo all’interesse sessuale per gli adolescenti da parte di una persona adulta. Alcuni hanno sostenuto che è una parafilia (la cosiddetta “ebefilia”). Altri hanno ribattuto che la creazione di questa categoria diagnostica sarebbe un errore grave di medicalizzazione, perché si etichetterebbe come patologico qualcosa che è del tutto normale. Il criterio a cui ci affidiamo noi psichiatri per prendere una decisione nella pratica clinica di tutti i giorni riguarda soprattutto l’incapacità di vivere la relazione sessuale nella sua globalità affettiva. Se l’interesse sessuale si concentra in modo ossessivo su una pratica, su una parte del corpo, su una situazione, allora questa scomposizione, che fa perdere di vista il partner nella sua interezza di persona, riflette quasi sempre una parafilia».
Oltre alla pedofilia, esistono altri casi di parafilie gravi e, se vogliamo, aberranti, come la necrofilia e la zoofilia, per esempio. Le persone affette da questi disturbi particolari del comportamento sessuale possono essere guarite da farmaci specifici e/o aiutate con una psicoterapia mirata?
«I risultati terapeutici nelle parafilie sono deludenti, per vari motivi. Innanzi tutto, sono poche le persone affette da parafilie che chiedono di essere aiutate. Se arrivano dallo psichiatra, spesso è a causa di problemi legali. I farmaci che vengono usati non hanno un’azione specifica, ma più che altro migliorano aspetti parziali del disturbo, come, per esempio, la ruminazione sui temi sessuali legati alla parafilia o l’impulso a mettere in atto le fantasie parafiliche. La psicoterapia può essere utile, ma anche in questo caso gli obiettivi terapeutici sono meno ambiziosi della completa guarigione».
Esistono collegamenti neurofisiologici tra l’organo vomero nasale e alcune aree del cervello, come il sistema limbico e il nucleo della stria terminale. Dentro certi termini, l’eccitazione sessuale legata ai canali olfattivi e gustativi (come il sesso orale, per esempio) è del tutto normale, perché è dovuta, in larga parte, ai feromoni escreti dal nostro corpo. Da cosa può dipendere, invece, un comportamento fortemente squilibrato e pericolosamente “patologico”?
«Il comportamento sessuale umano è il frutto di una complessa integrazione tra le componenti biologicamente primitive e quelle culturali, del tutto nuove, che condizionano le preferenze e le abitudini, indirizzando le persone verso condotte che potrebbero sembrare lontane dall’originario scopo riproduttivo. D’altronde, questo accade anche per altri comportamenti, che però non suscitano lo stesso livello di vigilanza sociale e di scrutinio morale. Per esempio, siamo molto più tolleranti nei riguardi delle preferenze alimentari, anche se ormai la cultura del cibo è lontana dallo scopo originario di assicurare solo una sufficiente nutrizione. In campo sessuale, invece, la condanna delle altrui preferenze e, per reazione, la celebrazione delle proprie sono molto frequenti. Ma qui la psichiatria c’entra poco».
Grazie, professore Troisi!
Le immagini: Alfonso Troisi; la copertina del Dsm-IV-Tr; sottomissione/masochismo/feticismo.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 89, maggio 2013)