Una riflessione sulla severità del TU 309/90, il Testo unico sugli stupefacenti: tutti i reati riconducibili a questo campo sono ugualmente gravi? E cosa sappiamo del concetto di “ingente quantità” punibile per legge?
Nella dottrina penalistica molti autori hanno criticato l’eccessiva severità del comma 2 dell’articolo 80 del Testo unico sugli stupefacenti (TU 309/90). Vi è infatti stabilito che «se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi; la pena è di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 73 TU 309/90 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l’aggravante di cui alla lettera e) del comma 1 [che punisce più gravemente lo spaccio di sostanze tagliate male, dunque sanitariamente pericolose]».
In merito alla severità del Testo, tuttavia, anche a parere di chi redige, lo smercio aggravato di stupefacenti non rientra per esempio tra i reati socialmente più gravi.
Il comma 2 articolo 80 TU 309/90 è troppo generico e per molti la ratio della “ingente quantità” è incostituzionale
Nella realtà concreta, la nozione di “ingente quantità” non è stata esplicitata dal Parlamento in maniera sufficientemente chiara, cosicché i magistrati di primo e secondo grado hanno dovuto interpellare più e più volte la Corte di Cassazione per avere dei criteri che precisino, a livello pratico, che cosa si debba intendere con l’attributo “ingente”. Ne è nata una giurisprudenza che va ben oltre le proprie prerogative e che finisce per sostituirsi al legislatore italiano che, come noto, è assai lento nel modificare le norme e lascia ai giudici il compito di sanare le proprie lacune e le proprie frequenti antinomie.
Paradossalmente, nell’interpretazione del comma 2 articolo 80 TU 309/90, conta più quello che hanno detto i magistrati che non quanto statuito da chi deve o dovrebbe produrre e aggiornare le norme giuridiche.
Giustamente, molti addetti ai lavori hanno fatto notare che l’aggravante di cui stiamo parlando viola il principio fondamentale della “certezza del diritto”, poiché non specificare ulteriormente se, come e quando la quantità sia “ingente” lede la precisione, la determinatezza e la prevedibilità delle norme penali, che debbono essere esposte con la massima chiarezza. Viceversa, si rischia di non poter applicare con coerenza la regola, perché essa è troppo generica, imprecisa, illogica, dunque non idonea alla luce del principio di legalità di cui all’articolo 25 della Costituzione.
Così com’è oggi formulato, il comma 2 articolo 80 TU 309/90 si pone in contrasto con la certezza della pena e con la conoscibilità del diritto penale, con la conseguenza di vanificare il diritto alla difesa (articolo 24 della Costituzione) e quello a un giusto ed equilibrato processo (articolo 111 della Costituzione).
Gli orientamenti giurisprudenziali dei primi anni Novanta del secolo scorso
Appena entrato in vigore il testo unico sugli stupefacenti nel 1990, la Cassazione utilizzava un concetto “mercantilistico” dell’ingente quantità, ovverosia era “aggravato” commerciare, coltivare, passare, importare smerciare, spacciare un quantitativo di droghe in grado di “saturare” il mercato.
Ora, questa interpretazione non è accettabile perché nessun magistrato è tenuto a indagare la “saturazione” delle piazze di spaccio di stupefacenti. Il giudice di primo e di secondo grado non può vagare nelle periferie intervistando i tossicodipendenti e gli spacciatori al fine di conoscere l’esatto quantitativo di sostanze circolanti e vendute o vendibili. Oltretutto, il mondo degli stupefacenti è un ambito “in nero” che sfugge completamente a una precisazione statistica attendibile.
Le varie sentenze dal 2000 al 2020 delle Sezioni unite
Dopo una decina d’anni di tentennamenti ermeneutici la Cassazione, con le Sezioni unite Primavera del 2000, modificò leggermente il tiro, specificando che al giudice del merito spetta di indagare la “gravità” del quantitativo sequestrato alla luce dell’analisi del mercato delle droghe situato nel proprio distretto di competenza. Di nuovo predomina il criterio mercantilistico, ma stavolta si richiede alla magistratura, il che non ha senso, di allestire una mappa criminologica della vendita di stupefacenti per ogni determinato territorio di giurisdizione e torna l’immagine ridicola di un giudice chiamato a svolgere la mansione di un istituto di statistica pronto a reprimere l’eccessiva “saturazione” del commercio di droghe.
Finalmente, dopo ben ventidue anni di contrasti giurisprudenziali, le Sezioni unite Biondi della Cassazione, grazie al Decreto ministeriale dell’11 aprile 2006 e attraverso un complesso utilizzo dei cosiddetti “moltiplicatori” indicati dal ministero della salute, qualificò come “ingenti” le seguenti quantità: 750 milligrammi per la cocaina, 250 milligrammi per l’eroina e 1.000 milligrammi per la cannabis.
Come si nota, le Sezioni unite Biondi del 2012 hanno risolto ogni aporia esegetica, perché i limiti numerici non lasciano più spazio alle interpretazioni eccessivamente libere dei magistrati di primo e secondo grado. Possedere una cifra aritmetica significa annullare ogni parere personale troppo generico.
La Cassazione, nelle Sezioni unite Polito del 2020, ha corretto il limite “ingente” di canapa, portato a 2.000 milligrammi, giacché le Sezioni unite Biondi avevano erroneamente applicato un moltiplicatore più basso di quello contemplato nel decreto ministeriale dell’11 aprile 2006. Tuttavia, si tratta di un dettaglio marginale.
Ciò che più conta è che anche le Sezioni unite Polito hanno confermato la bontà, la validità e, soprattutto, l’utilità del criterio ponderale che, ontologicamente parlando, è in grado di risolvere qualunque dubbio, ripristinando la certezza, l’oggettività e la determinatezza del diritto all’interno del comma 2 articolo 80 TU 309/90.
L’utilizzo di una ratio matematico-numerica fa cessare, necessariamente e provvidenzialmente, ogni contrasto interpretativo e ogni potenziale soggettivizzazione.
Sono necessari dei correttivi in materia
Le Sezioni unite Biondi del 2012 e le Sezioni unite Polito del 2020 non tolgono, tuttavia, al magistrato il dovere di contestualizzare ogni singolo caso processuale. Per esempio, rimane imprescindibile fare uso dell’articolo 133 del Codice penale per giudicare con equità tutte le circostanze personali e materiali del reato.
Inoltre, molto dipende dal “tenore drogante” della sostanza dal momento che spesso, specialmente con afferenza alla cannabis, gli operatori si trovano di fronte a quantità ingenti ancorché prive o quasi di principio attivo. Oppure, all’opposto, pochi grammi di cocaina o di eroina troppo pure possono integrare egualmente gli estremi del reato di spaccio “aggravato” perché pericoloso per la salute dei tossicomani che ne fanno uso.
Dunque, il giudice deve tener conto del binomio quantità/qualità e dell’Articolo 133 del Codice penale, ossia il criterio ponderale non trasforma il magistrato del merito in un doganiere munito del solo bilancino di precisione (leggi anche Tossicodipendenza e capacità d’intendere e di volere).
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Andrea Baiguera Altieri
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)