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Home IL PIACERE DELLA CULTURA

Le riflessioni di Giovanni Nebuloni sulla scrittura conoscitiva 1

Il fondatore della corrente letteraria “Fact-Finding Writing” parla ai lettori di “LucidaMente” di questa speciale forma narrativa, dell’evoluzione dell’uomo e dell’arte del linguaggio. Pubblichiamo la prima parte dell’intervista

Maria Daniela Zavaroni by Maria Daniela Zavaroni
5 Febbraio 2015
in IL PIACERE DELLA CULTURA, LIBRI, SCIENZA-AMBIENTE-ECOLOGIA-CAMBIAMENTI CLIMATICI-INQUINAMENTO
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Il fondatore della corrente letteraria “Fact-Finding Writing” parla ai lettori di “LucidaMente” di questa speciale forma narrativa, dell’evoluzione dell’uomo e dell’arte del linguaggio. Pubblichiamo la prima parte dell’intervista

Una scrittura che apre le porte alla conoscenza e si prefigge di chiarire le “zone buie” dell’esistenza. Il suo motore? La voglia di avere risposte, seguendo l’esigenza comune di sapere, con quel pizzico di sfida che si configura come il sale di un’impresa effettivamente impossibile. L’essenza della Fact-Finding Writing si inquadra nel desiderio di dare tanti responsi ad altrettanti “perché?”. Ce ne parla in esclusiva Giovanni Nebuloni, traduttore, autore di sette romanzi e ideatore, anzi “scopritore”, nel 2010, di questa corrente letteraria.

13-NebuloniBenvenuto, e grazie per essere ospite di LucidaMente. Partiamo subito da una panoramica generale della “Fact-Finding Writing”. Di cosa si tratta esattamente?

«Parto da un esempio concreto: una volta appagato il bisogno del nutrimento, la principale occupazione di un bambino, o anche di un cucciolo di tigre o gazzella, è apprendere. I piccoli non possono sapere che nelle sue variegate espressioni la cultura è potere e da nessuno vengono informati che più impareranno e meglio vivranno. Guardano, toccano, annusano inconsapevolmente, d’istinto, perché ciò è “scritto” nei loro geni. Scoprire è un piacere e non c’è un giovane che, crescendo, non abbia provato il desiderio di andare a dissotterrare il tesoro nascosto o esplorare territori sconosciuti, come non esiste ragazza che non abbia sognato il principe azzurro. In quest’ottica, la Fact-Finding Writing può essere definita come una scrittura conoscitiva o uno scrivere per conoscere mediante la narrazione. Dall’infanzia in poi, è stato detto, “siamo tutti spie”. Con l’età adulta la necessità di comprendere non s’attenua e non c’è chi non aspiri a saperne di più, anche soltanto per migliorare se stesso o coloro che gli sono vicini. Ciò implica di non stare mai fermi con la mente o con il corpo. L’immobilità, se non deleteria, è inutile».

Dunque il cardine è il bisogno di capire e questo avviene grazie a un “movimento”?

«Il movimento significa evoluzione, un’estensione di sé e, pertanto, anche vita: si pensi alle erbe che, partendo dal seme, attecchiscono nel cemento. Come ogni cosa che ci sta attorno, tutto ciò che fa parte di noi si sposta in continuazione. Se fossimo “della stessa materia di cui sono fatti i sogni” (William Shakespeare), “unsogno dentro un sogno” (Edgar Allan Poe) o “il sogno d’un sogno”, si potrebbe sempre asserire che non siamo immobili, perché le visioni non sono fisse ma consistono in scene che scorrono, come in un film. In generale, non esiste persona che non voglia fare almeno un passo in avanti. Questa è un’esigenza comune; anche l’universo ora dovrebbe essere in espansione, lo dovrebbe fare dal Big Bang».

Quali sono le finalità della “Fact-Finding Writing”?

«Analogamente al lettore che, quando acquista un libro, ha il desiderio di apprendere la storia, così un autore può scrivere allo scopo di conoscere. Con l’umile spirito dell’artista artigiano– che ama il proprio lavoro e opera per realizzare se stesso e offrire qualcosa agli altri –, l’obiettivo della Fact-Finding Writing è di comprendere sempre di più e non arrestare mai i suoi ingranaggi. Questa, che si è configurata come una corrente letteraria, è pertanto consciamente coerente con l’universo ed è uno specchio del lato curioso e speculativo della natura umana. Gli obiettivi sono la trasposizione e la trasformazione dell’impulso naturale, congenito nell’individuo, che tende alla conoscenza, mediante la parola scritta. Si può asserire che, dalla scuola materna in poi, tutti hanno convertito su un supporto, carta o video, un proprio pensiero, un’osservazione, la lista della spesa. In letteratura – che amo definire un mostro bellissimo e insaziabile – c’è chi riporta in veste più o meno elegante, o con distacco, eventi reali. C’è poi chi soffre versando sulle pagine i propri sentimenti, chi intende intrattenere, chi esperimenta nuove soluzioni stilistiche o chi offre una produzione fine a se stessa».

In un simile contesto come si pone la “Fact-Finding Writing”?

«In contrapposizione. Essa è un approccio alla narrazione, un criterio che implica “semplicemente” il mettersi al computer o il prendere una stilo e, come se la tastiera o il pennino fossero carta vetrata e scalpello, modellare, sfrondare, elaborare cercando di scoprire cose nuove. Non è detto che si riesca a farlo, ma il proposito è di esprimere ciò che prima non c’era. Per qualcun altro, scrivere può significare nascondere qualcosa in modo che poi venga trovato. Per la nostra corrente letteraria, la conquista si deve ottenere prima, mentre si ordinano e si rendono fluide le parole, si sistemano le frasi e viene realizzato il discorso narrativo. Questo metodo non rappresenta un fatto nuovo in assoluto, la Fact-Finding Writing non è un’invenzione, ma una scoperta: ha formalizzato quanto era già presente in diversi autori».

Qualche esempio?

«Essa era già stata praticata da Omero, che con i versi organizzava le conoscenze del suo tempo per cercare di trascenderle: cosa sono i miti se non un’interpretazione del mondo, una ricerca della verità? La Divina commedia è un esempio sublime di un cercare ansioso di lasciarsi alle spalle le apparenze; con ogni opera, Shakespeare si è sforzato di allargare e approfondire gli orizzonti; Giacomo Leopardi, con composizioni quali L’infinito, ha sfiorato la teoria della relatività generale; Jules Verne ha precorso la scienza e la tecnica con i suoi noti romanzi di fantascienza, o “romanzi della scienza”, come venivano definiti all’epoca; e ancora Edgar Allan Poe, con Eureka, ha spiazzato fior di scienziati; poi Fëdor Michajlovič Dostoevskij, o Lawrence Durrell con I quartetti di Alessandria e Il quintetto di Avignone… In fondo, molti scrittori, senza averlo delineato, inconsapevolmente componevano con la finalità di imparare cose nuove».

Quali sono i tratti salienti, e magari anche le novità, che un movimento come questo, da lei dunque “svelato”, può arrecare nel panorama culturale odierno?

«Le novità sono aver constatato, come mai avvenuto in precedenza, che si è scritto e si può scrivere per apprendere; avere definito una corrente letteraria che tenta di scoprire il più possibile tramite il racconto; non da ultimo, aver compreso che la narrazione – e non la scienza, la filosofia, la religione – può essere lo strumento, il mezzo più potente posseduto dall’umanità per conoscere. Il componimento in prosa è un contenitore in grado di incorporare ogni scienza, dalla matematica all’astrofisica, e qualsiasi teoria non solo odierna, ma anche futura. Esso può argomentare lucidamente le Sacre Scritture di tutte le confessioni religiose. Può disquisire di filosofia. Può parlare di esoterismo, di astrologia e di arte, dal cinema alla scultura. Tuttavia, il contrario non è mai vero, ossia le altre discipline non possono comprendere la letteratura, che sola possiede la capacità di acquisire in sé ogni cosa».

In fondo, nel corso dell’evoluzione molto ha contato il ruolo della scrittura…

«Essa è all’apice dell’uomo e, d’altro canto, l’uomo è diventato ciò che è grazie alla scrittura: non si sarebbe differenziato tanto da ogni altra specie vivente se, contemporaneamente all’hardware, cioè l’encefalo e il resto del sistema nervoso, non avesse sviluppato il software della comunicazione, ovvero il linguaggio. Ciò che dapprima era soltanto un gesto o un verso puramente animale successivamente è divenuto uno scambio e un’acquisizione di dati sempre più raffinata, consentendo all’umanità di comporre informazioni articolate, di crescere e imparare. Fino a poter superare l’effimero della voce, “congelando” e “scongelando” la parola e fissandola con la scrittura. Così, non è stato più necessario vivere un’esperienza per esserne al corrente. Con una rappresentazione mista di hardware e software, e paragonando la persona all’albero, la scrittura è il tronco, le radici sono i cromosomi, le fronde sono le espressioni. Ebbene, la Fact-Finding Writing è una “scienza artistica”, un’attività conoscitiva senza le pastoie delle formule e delle convenzioni».

Su questo parallelismo, che definisce i contorni dell’evoluzione umana e letteraria affiancando alla terminologia informatica elementi naturalistici, chiudiamo la prima parte dell’intervista a Giovanni Nebuloni, che ha da poco realizzato il Manifesto della corrente letteraria Fact-Finding Writing, scrittura conoscitiva o scrivere per conoscere: nel moto perpetuo dell’imprescindibile scrittura. Molto resta ancora da scoprire e, nel prossimo numero, l’autore svelerà altre curiosità, oltre a raccontare come è nato e da dove prende il nome il movimento da lui ideato.

Le immagini: in apertura, il logo della Fact-Finding Writing.

Maria Daniela Zavaroni

(LucidaMente, anno X, n. 110, febbraio 2015)

viaggi inattesi.nebuloniLa nostra rivista si è spesso occupata della produzione narrativa di Giovanni Nebuloni. Ecco un elenco degli articoli già pubblicati, a firma di vari redattori:
Un romanzo che indaga su una scienza e una religione folli
La Fact-Finding Writing come forma conoscitiva
«…i luoghi dove più si addensava l’energia dell’universo»
«La testa era collegata a fili che pendevano dall’alto»
Realtà e finzione nel “fact-finding writing”
Una tela di mistero tessuta da religioni, servizi segreti e amore
Nel ventre profondo della divinità
Dalla metropolitana alla steppa mongola
Un oscuro enigma di 3500 anni fa
Un rapido succedersi di abili e sorprendenti colpi di scena
«Il “doppio” può essere la morte»
La polvere eterna di Giovanni Nebuloni

«È una ”kippot”, non devi toccarla!»

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Tags: attualitàconoscenzafact-finding writinggiovanni nebuloniletteratura
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