“Ci fu, nel corso dell’età classica, tutta una scoperta del corpo come oggetto e bersaglio del potere. Si troverebbero facilmente i segni della grande attenzione dedicata al corpo – al corpo che si manipola, che si allena, che obbedisce, che risponde, che diviene abile o le cui forze si moltiplicano. Il grande libro dell’Uomo-macchina venne scritto simultaneamente su due registri: quello anatomo-metafisico […] e quello tecnico-metafisico, costituito da tutto un insieme di regolamenti militari, scolastici, ospedalieri e da processi empirici e ponderati per controllare o correggere le operazioni del corpo. […] La nozione di docilità congiunge al corpo analizzabile il corpo manipolabile. È docile un corpo che può essere sottomesso, che può essere utilizzato, che può essere trasformato e perfezionato”.
(da Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, traduzione di Alcesti Tarchetti, Torino, Einaudi, 1993)
Michel Foucault
LA RILETTURA
Michel Foucault (Poitiers, 1926-Parigi, 1984), filosofo, storico e saggista, fornisce una chiave di lettura fondamentale per comprendere i meccanismi psichici alla base della trasformazione dell’identità dell’uomo in ciò che egli definisce “corpo docile”. Dopo aver ricostruito l’iter della profonda trasformazione del sistema giuridico e dell’organizzazione penale avvenuta tra XVIIII e XIX secolo, l’autore spiega come, proprio in tale contesto, abbia avuto luogo la ridistribuzione dell'”economia del castigo”.
Da questo momento in poi, infatti, l’inflizione delle pene fu trasferita dalla corporeità del reo alla sua psiche e ciò divenne il principio fondante dell’organizzazione del moderno sistema carcerario.
L’affermazione della nuova tecnologia di punizione segnò, così, la fine delle torture corporali e l’inizio dell’uso della reclusione del colpevole – qualunque fosse la natura del suo crimine – per un lasso di tempo direttamente proporzionale alla gravità del misfatto.
Centenari teatri di assoggettamento – Il saggista si chiede da dove il sistema correzionale della segregazione sia stato ereditato. Certo le segrete medievali dovevano aver fornito un buon campo di sperimentazione, ma non si può non tener conto di tutta la lunga tradizione di disciplinamento avvenuta in luoghi di clausura ormai pienamente inseriti nella società e ad essa funzionali, quali ospedali e conventi. Questi centenari teatri di assoggettamento avevano esercitato le loro coercizioni direttamente sui corpi degli uomini, costringendoli in luoghi chiusi, capaci – per la loro stessa natura architettonica – di governare il modo di agire degli individui. Inoltre, la costrizione della struttura comportava, inevitabilmente, l’instaurazione di un rapporto di dominio tra controllore e controllato.
Unità minime spaziali – Il punto di forza di questo sistema di disciplinamento era l’assoluta invisibilità del controllo, alla quale faceva da contrappeso l’estrema visibilità dei corpi. Tutto ciò era reso possibile dalla complessa organizzazione delle strutture architettoniche, che garantiva l’obbedienza degli individui, ma anche una migliore economia del tempo e dei gesti. Si trattava di spazi reali, perché determinavano la disposizione delle costruzioni, delle sale, dell’arredamento, ma, allo stesso tempo, ideali, poiché su queste sistemazioni si proiettavano stime e gerarchie. Ad ogni corpo veniva, poi, destinato uno spazio minimo, il cui modello era, appunto, fornito dalle celle dei conventi. In tale unità spaziale l’uomo era costantemente sottoposto a controllo, perciò sempre rintracciabile; in più, egli era costretto allo svolgimento del ruolo attribuitogli. Da qui si comprende il valore funzionale dell’ubicazione. Non a caso, gli spazi erano suddivisi per ranghi e ad ognuno di essi era preposto un compito, al cui adempimento veniva destinato un certo numero di celle. Qualsiasi elemento di una data cella era, dunque, intercambiabile con un altro che appartenesse ad una cella dello stesso rango. I corpi erano tra di loro separati, ma uniti dalle funzioni e dalla costante condizione di visibilità.
Controllori come controllati e coercizione dei luoghi – Preposti alla loro osservazione erano i controllori, che si differenziavano dai controllati per la loro condizione di invisibilità, ma accomunati ad essi dalla complessa organizzazione gerarchica e dall’obbligo di svolgere nel miglior modo possibile il proprio compito. I controllori, infatti, credendo di occupare un ruolo privilegiato, non avevano nessuna intenzione di metterlo a rischio. Dunque, poiché estremamente ligi al dovere, diventavano anch’essi schiavi, sebbene di ciò che consideravano generato da una loro scelta individuale, scambiando l’obbligo per un privilegio. Foucault appare quasi ossessionato dall’idea del potere che i luoghi hanno di governare il modo di agire dell’uomo, tanto da arrivare a definirsi “geografo” nell’ultima parte della sua vita. Egli spiega come la coercizione esercitata dalle strutture, per quanto continua, non sia mai evidente: il controllo è costante e coadiuvato dalla scansione del tempo, che – favorita dalla chiusura – costringe l’individuo a rispettare la successione dei propri compiti. E’ così che il corpo dell’uomo cessa di essere strumento di scelte personali, per farsi “docile” cioè pronto a svolgere doveri che gli vengono imposti e che prescindono dalla sua volontà.
La menzogna della contemporaneità – Lo storico avanza addirittura l’ipotesi secondo la quale il processo di rieducazione del colpevole mediante la segregazione sia stato il banco di prova di un superiore sistema carcerario: quello della società liberale, dove tutti gli uomini – colpevoli o non colpevoli – si trovano imprigionati in una fitta rete di regole che ne condizionano il modo di agire. Quella che si muove entro queste strutture disciplinanti – proprie del sistema liberale – è la cosiddetta “società del controllo invisibile”, la quale, affermandosi, ha sostituito la precedente “società dello spettacolo”, in cui l’esercizio del controllo era, invece, sempre manifesto. Il filosofo sostiene che proprio all’interno della società liberale ciascuno venga indotto a credere di poter esercitare autonomamente la propria libertà, attraverso la creazione di una personale individualità. In realtà, però, il fine dell’autorealizzazione dei soggetti è la menzogna sulla quale si fonda la società contemporanea, che dà all’uomo quel tanto necessario a donargli l’illusione della felicità per renderlo, invece, schiavo. Qui, a giudizio di Foucault, risiede la contraddizione del sistema liberale, ovvero produrre l’idea di libertà e, nello stesso tempo, distruggerla.
Dimensioni autonome – Il controllo costante è lo strumento più efficace di cui dispone la società per regolare il comportamento dei suoi componenti, e questo si esercita tanto meglio, quanto più ci si concentra sull’osservazione di un solo individuo. E’, infatti, molto più facile intervenire sulla coscienza di un unico uomo, piuttosto che su un intero insieme di persone. Manovrare le masse diviene, dunque, possibile solo dopo aver omologato le coscienze di tutti i loro componenti.
Nella contemporaneità ciascuno trova una sua dimensione, nel senso che ad ognuno è destinata un’unità minima spaziale, che ne contraddistingue il ruolo e che assicura il perfetto funzionamento della società. L’uomo, che in essa è incanalato, accetta di buon grado tale costrizione, perché la interpreta come una propria forma di autonomia, da dover difendere gelosamente; inoltre egli è terrorizzato dalla minaccia di perdere quella libertà di cui dispone, per essere gettato in un carcere che lo spaventa di più di quello in cui – a parere di Foucault – già si trova.
Processi di reificazione – Sintetizzando il pensiero dello storico francese, si può, dunque, affermare che, nei luoghi in cui si esercita il vivere sociale, è il posto che un corpo occupa a determinare l’individualità dell’uomo. È proprio tale processo di reificazione (per cui ognuno è ciò che fa) che Foucault contrasta aspramente. Il potere si esercita prima sui luoghi civili, per estendersi, poi, alla sfera privata della famiglia. La società è vista come il carcere perfetto, in cui il potere sovrasta tutto, trasformando silenziosamente lo spazio reale in quello ideale del “non-luogo”. I corpi che agiscono al suo interno sono tutti “corpi docili”, perché perfettamente disciplinati.
Salvaguardia dell’interesse collettivo – La libertà dell’uomo – è convinto Foucault – dipende da ciò che egli può chiedere, ma l’individuo, immerso nella contemporaneità, si sente di chiedere solo ciò che gli è concesso di ottenere e l’inganno peggiore consiste nella gratificazione che gliene deriva. E’ così che nella società moderna il libero arbitrio viene asservito all’ideologia liberale, la quale, imponendo all’uomo di essere libero, lo rende schiavo della salvaguardia dell’interesse collettivo. Sostenendo tale tesi, Foucault lancia un ultimo, destabilizzante, monito: tutti noi, che viviamo in quest’epoca fatta non tanto di “spazi reali”, quanto di “non-luoghi ideali”, non siamo altro che “corpi docili”, perché il nostro comportamento è continuamente regolato dalle strutture nelle quali ci raccogliamo.
L’immagine: la copertina dell’opera di Michel Foucault.
Claudia Mancuso
(LucidaMente, anno I, n. 5, giugno 2006)