La “riforma Giannini” stravolge il sistema d’istruzione nazionale, ampliando i poteri dei presidi e introducendo dubbi criteri di valutazione del rendimento dei docenti
Il 9 luglio scorso la Camera ha approvato la legge n. 107 del 13 luglio 2015, dal titolo Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, meglio nota come “La buona scuola”. Vediamo nel dettaglio i contenuti di questa controversa riforma che, stravolgendo il sistema d’istruzione nazionale, ha esteso l’autonomia degli istituti scolastici, ha attribuito ampi poteri ai presidi e ha introdotto discutibili criteri di valutazione del rendimento dei docenti.
A decorrere dall’anno scolastico 2016-2017, ogni scuola dovrà creare il proprio “organico dell’autonomia”, che definirà i posti d’insegnamento ordinario e quelli di sostegno e potenziamento, tenendo conto del numero degli alunni iscritti e dei disabili presenti. L’attenzione prioritaria di ogni istituto si focalizzerà sulla stesura del Piano triennale dell’offerta formativa, che indicherà tutte le attività didattiche e formative proposte agli utenti. Il Ptof dovrà essere approntato entro il mese di ottobre dell’anno precedente al triennio di riferimento, sarà elaborato dal Collegio dei docenti sulla base delle indicazioni generali fornite dal dirigente scolastico e verrà approvato dal Consiglio d’istituto. L’elaborazione di questo megadocumento, in verità, prevederà una complicata programmazione pluriennale che impegnerà i professori in estenuanti riunioni e velleitari progetti educativi, con enorme dispendio di tempo e di energie.
Nei percorsi formativi delle scuole superiori potranno essere inseriti alcuni insegnamenti opzionali, con l’obbligo di dedicare una parte della didattica (400 ore triennali negli istituti tecnici e professionali, 200 nei licei) all’“alternanza scuola-lavoro”, cioè a stages presso aziende private o enti pubblici. A dire il vero, le ore previste per queste attività ci appaiono eccessive: toglieranno certamente spazio alle lezioni ordinarie, favorendo l’acquisizione di competenze tecniche a discapito della formazione civile e intellettuale degli studenti. Inoltre, la legge stabilisce l’adozione del Piano nazionale della scuola digitale, volto a diffondere l’uso delle tecnologie più avanzate nell’insegnamento, investendo risorse nella formazione dei docenti affinché imparino a usarle. Pur ritenendo i mezzi digitali un utile supporto didattico, riteniamo tuttavia che sul piano pedagogico rimanga centrale il rapporto educativo tra docenti e allievi che si realizza durante la lezione di tipo frontale o dialogata, le libere discussioni, ecc.
La legge 107 aumenta a dismisura i poteri dei dirigenti scolastici, i quali potranno reclutare gli insegnanti necessari al completamento dell’organico scolastico conferendo incarichi triennali a professori di ruolo in mobilità e a docenti non di ruolo (purché in possesso di titoli di studio coerenti con le discipline insegnate), assegnare gli incarichi temporanei per le supplenze brevi (fino a 10 giorni), scegliere fino al 10% di docenti che li supportino nella gestione della scuola, ridurre il numero di alunni per classe in base alle esigenze scolastiche. Scompariranno le nomine dei supplenti annuali da parte dell’Ufficio scolastico provinciale, mentre spetterà all’Ufficio scolastico regionale conferire gli incarichi ai docenti in mobilità che non abbiano ricevuto offerte di lavoro da alcuna scuola. Per scoraggiare il “nepotismo”, i presidi non potranno assegnare incarichi a professori con i quali abbiano «rapporti di parentela o affinità entro il secondo grado». Questa disposizione ci sembra, francamente, ipocrita oltre che piena d’incognite: anche se non sarà possibile assumere i parenti, nulla impedirà ai dirigenti scolastici di reclutare il personale sulla base delle amicizie e non del merito…
Sarà poi istituito un fondo di 200 milioni annui per assegnare ai docenti più meritevoli un premio in denaro. I criteri saranno stabiliti dal Comitato per la valutazione dei docenti, formato da tre professori, due rappresentanti dei genitori (per la scuola d’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione), un rappresentante dei genitori e uno degli studenti (per il secondo ciclo d’istruzione), ai quali si aggiungerà un membro esterno, nominato dall’Ufficio scolastico regionale. Alla fine, però, saranno i presidi a decidere a chi attribuire il bonus: è probabile, dunque, che il premio sia erogato secondo criteri opinabili (l’inclusione nello staff dirigenziale, il numero di alunni promossi, la stesura del Ptof, ecc.). I professori, inoltre, avranno in dotazione una carta elettronica di 500 euro annui per l’aggiornamento, anche se per il 2015 i soldi saranno erogati tramite un versamento ad hoc (le spese sostenute saranno poi oggetto di un rendiconto alla fine dell’anno scolastico, previa consegna di scontrini e fatture presso gli uffici amministrativi della scuola di appartenenza). Non era però più sensato aumentare gli stipendi, fermi dal 2009, tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti?
La riforma stabilisce che anche i presidi debbano essere giudicati, secondo i seguenti criteri: «a) competenze gestionali ed organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell’incarico triennale; b) valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali; c) apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale; d) contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale; e) direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole». Le modalità di giudizio, tuttavia, sono rimaste invariate e – ai sensi dell’articolo 25, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 – spetteranno a «un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa».
Nella legge 107 è stato incluso anche il Piano straordinario di assunzioni, che prevede l’immissione in ruolo di 102.734 insegnanti precari, ripartita in quattro fasi. I docenti esclusi dal piano delle assunzioni potranno comunque presentare domande ai presidi per ottenere un incarico a tempo determinato. Per loro, dal prossimo anno scolastico, saranno introdotti i nuovi contratti di lavoro, in base ai quali i supplenti non potranno lavorare per un periodo superiore a 36 mesi. Le prossime immissioni in ruolo potranno avvenire solo tramite il superamento di un concorso nazionale. Sarebbe stato meglio, tuttavia, scorporare dalla riforma scolastica il Piano straordinario di assunzioni e inserirlo in un provvedimento legislativo ad hoc. La legge 107, del resto, accoglie solo in parte la sentenza della Corte europea del 2014, la quale ha imposto l’assunzione di tutti i precari con almeno tre anni di servizio (in Italia circa 250 mila). Si prevedono, quindi, molti ricorsi da parte dei docenti con contratto a termine che, dopo 36 mesi di lavoro, saranno licenziati in tronco.
È prevista poi l’introduzione del credito d’imposta per le erogazioni di denaro alle scuole statali e paritarie (pari al 65% della somma versata per i primi due anni e al 50 % per quelli successivi, con un tetto massimo di 100 mila euro): sarà perciò possibile per chiunque finanziare le scuole pubbliche e private. Le donazioni affluiranno in un fondo gestito dal Miur, il quale provvederà a distribuire il denaro tra le varie scuole, facendo in modo che una quota pari al 10% delle somme complessivamente erogate sia concessa agli istituti che ricevano donazioni inferiori alla media nazionale. Per di più sarà possibile detrarre dalla dichiarazione dei redditi le spese sostenute per la frequenza di scuole statali e paritarie fino a 400 euro l’anno per ogni studente. Siamo così di fronte alla privatizzazione surrettizia delle scuole pubbliche e all’esplicito finanziamento statale degli istituti paritari, perché una parte degli oneri delle rette scolastiche ricadrà sulla fiscalità generale, in barba all’articolo 33 della Costituzione italiana che recita espressamente: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». C’è il rischio, dunque, che le donazioni producano scuole di serie A e di serie B.
“La buona scuola” istituisce, tra l’altro, gli “Ambiti territoriali”, promossi dagli Uffici scolastici regionali e formati da “reti di scuole”, nei quali saranno inseriti i docenti neoassunti, il personale soprannumerario e quello in mobilità volontaria (il personale docente di ruolo a tempo indeterminato, invece, conserverà la titolarità presso la scuola di appartenenza). Queste strutture territoriali serviranno ai presidi per completare “l’organico dell’autonomia” tramite le chiamate dirette. Chi entrerà a far parte degli “Ambiti territoriali” potrebbe essere proiettato dentro un “circuito infernale” dagli esiti imprevedibili, rischiando cioè il trasferimento dalla provincia di residenza a un’altra, oppure l’assegnazione su più scuole molto distanti tra loro o, peggio ancora, la nomina per insegnare discipline nelle quali è poco competente, con un deterioramento delle condizioni di lavoro e della qualità della didattica.
La legge 107, infine, ha attribuito varie deleghe al governo concernenti i seguenti ambiti: «Riordino normativo in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione; riordino della formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria; promozione e inclusione scolastica degli studenti con disabilità; revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale; sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni; effettività del diritto allo studio, potenziamento della carta dello studente; promozione e diffusione della cultura umanistica, valorizzazione del patrimonio artistico-culturale; revisione e riordino della normativa in materia di istituzioni e iniziative scolastiche italiane all’estero; adeguamento in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato». Si tratta di un generoso regalo che il parlamento ha fatto all’esecutivo guidato da Matteo Renzi, permettendogli di legiferare su una molteplicità di questioni senza consultare i sindacati, col pericolo di un’ulteriore involuzione in senso autoritario e neoliberista della scuola italiana.
Le reazioni degli insegnanti sono state veementi e, nonostante la riforma scolastica sia stata già approvata, non si sono ancora placate. Allo sciopero nazionale, indetto lo scorso 5 giugno da tutte le sigle sindacali presenti nella scuola, hanno aderito oltre il 90% degli insegnanti, mentre le proteste sono riprese all’inizio del nuovo anno scolastico. Una prima tegola si è già abbattuta sulla legge 107: i governatori di Puglia e Veneto hanno presentato due ricorsi alla Corte costituzionale per alcune norme in essa contenute che lederebbero le competenze delle Regioni nell’ambito della formazione professionale.
Il 30 settembre è terminata la raccolta di firme per indire due referendum abrogativi: uno – proposto da Possibile, il gruppo politico fondato da Pippo Civati – vuole sopprimere gli articoli della legge 107 relativi ai “superpoteri” dei “presidi-sceriffi”; l’altro – presentato da Leadership alla scuola, un’associazione di docenti campani – mira all’eliminazione dell’intera normativa. Un terzo referendum abrogativo potrebbe essere presentato nella primavera del 2016 dal Comitato nazionale per il sostegno alla Lipscuola, il quale da anni si batte affinché si discuta in parlamento la Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica, che prevede una riforma complessiva dell’istruzione senza stravolgerne i valori democratici (vedi Marina Boscaino, L’autunno caldo della scuola, in http://temi.repubblica.it/micromega-online). Ci auguriamo che queste iniziative riescano a impedire la definitiva distruzione della scuola pubblica italiana, ostinatamente perseguito dai governi – sia di centrodestra, sia di centrosinistra – fin dal 1994.
Le immagini: Stefania Giannini, ministro della Pubblica istruzione (fonte: Presidenza della Repubblica); flash-mob di insegnanti a Reggio Calabria contro la legge 107 (foto dell’autore); protesta di un gruppo di precari della scuola (foto dell’autore); logo della Lipscuola (fonte: http://lipscuola.it/blog).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno X, n. 118, ottobre 2015)