Il desiderio di una giustizia sommaria sembra spesso prevalere sull’oggettività del procedimento giudiziario e sul fine rieducativo della pena
La gente comune e, addirittura, buona parte degli addetti ai lavori hanno rifiutato l’idea di un Diritto penale strettamente tecnico ed hanno preferito l’idea di un “fare giustizia” atecnico e ansiogeno. Domina, dunque, l’emotività anziché la procedura penale.
Il Diritto penale, in epoca odierna, sta diventando uno strumento populista per reprimere ogni dissenso collettivo. La maggioranza utilizza la pena detentiva e il carcere per levare di torno chi non ubbidisce a quella che, negli Stati uniti, viene chiamata la politica della Law and Order (“Legge e Ordine”).
Punizione senza finalità rieducative?
I cittadini si sono abituati, anche nel contesto italiano, a pretendere un intervento immediato e risolutivo delle Forze dell’ordine e dell’Autorità giudiziaria. Anzi, persino parecchi magistrati sembrano voler dimenticare la funzione pedagogica della reclusione e sottolineano, invece, la necessità di “pene esemplari” che abbiano un effetto dissuasivo. Ma questo approccio giustizialista non aumenta la deterrenza e crea soltanto rabbia repressa nelle classi sociali emarginate ed escluse dai privilegi economici.
D’altra parte, nell’Ordinamento italiano, è proibito pensare a una sentenza di condanna cosiddetta “esemplare”, poiché il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione recita che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Spesso oggi, persino nelle progredite Europa e Nordamerica, si è rigettata la finalità rieducativa del trattamento carcerario, anche quando il detenuto è un minorenne bisognoso di umanità e punti di riferimento. Il Diritto penale occidentale contemporaneo tende a cavalcare spavaldamente i malumori popolari e propone la sanzione detentiva di lunga durata come una medicina sociale in grado di contenere la delinquenza violenta. Ammesso e non concesso che questa violenza non sia solo l’innocua manifestazione di un’antisocialità bizzarra, ma, in definitiva, non veramente pericolosa.
Il fastidio verso gli emarginati
Nel modo di pensare dei più, lo Stato non deve riabilitare, bensì annichilire emarginati e devianti, perché essi costituirebbero un pericolo per il benessere della collettività “onesta”
Per esempio, l’immigrato straniero, anche quando egli non delinque, è percepito come un “danno” al decoro urbano, un “disturbo” alla pace collettiva, un elemento che “stona” con i lustrini delle vetrine dei negozi o con l’igiene delle strade e delle piazze (leggi anche I reati “culturalmente motivati” dello straniero). Ecco, poi, che la paura dell’altro viene astutamente ingigantita dai mass media al servizio di gruppi politici demagogici in cerca di facili consensi elettorali.
Si crea, così, un Diritto penale in cui il carcere non è più chiamato a riabilitare gli “scarti” della società. Il detenuto non è una “persona perbene” e va “neutralizzato” con farmaci e forme espiative dure e di lunga durata, come già accade nei penitenziari statunitensi.
Il nuovo sistema penale degli Anni Duemila sembra quasi cancellare trecento anni di umanizzazione illuministica della sanzione criminale.
Percezione e dati statistici
Si vorrebbe quasi togliere di mezzo anche chi infrange le regole in misura non grave, senza quel rispetto per la persona umana sancito dalle Regole penitenziarie europee e, soprattutto, dall’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo («Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti»). Questo è il carcere realizzato dalla destra statunitense, ossia un luogo di contenimento, di dolore fine a sé stesso e di spersonalizzazione.
Nella Criminologia populista contemporanea si vorrebbero sanzionare, attraverso un Diritto penale oltranzista, anche quelle condotte borderline non eterolesive che il Codice di Diritto processuale penale italiano definisce «atti non costituenti reato».
Nella Giuspenalistica degli Anni Duemila tutto viene ricondotto sotto la severità e la tassatività del campo penale. In effetti, la cronaca nera televisiva abbonda di stereotipi giustizialisti come quello dello straniero ladro e dell’arabo o dello slavo stupratore. Il giornalismo politicizzato dimentica volutamente che la criminalità degli autoctoni è analoga o, fors’anche, maggiore di quella degli immigrati.
Ad esempio, in epoca odierna, l’incidenza statistica dell’omicidio volontario, in Italia, è diminuita rispetto a quanto accadeva negli Anni Novanta del Novecento. Altrettanto sottaciuto è che il femminicidio viene agito, prevalentemente, da uomini bianchi ben integrati e muniti di cittadinanza italiana. Oppure, ancora, è altrettanto vero che i minorenni italiani delinquono nella stessa misura di quelli stranieri.
L’allarmismo dei mass media
Il giornalismo televisivo crea procurati allarmi ingigantendo episodi di devianza che, in ultima analisi, sono marginali e scarsamente violenti. Esistono e sono sempre esistite intemperanze giovanili non gravi e non allarmanti (leggi pure La violenza minorile tra giustificazionismi e allarmismi). Eppure, la cronaca quotidiana amplifica a dismisura infrazioni non certo assolutamente antinormative.
Per esempio, il fenomeno dei graffiti o gli schiamazzi notturni nulla hanno a che fare con le cosiddette baby gangs che, in altri Ordinamenti, mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza dei luoghi pubblici. La verità è che i minorenni, i poveri e i devianti vengono trasformati in potenziali delinquenti indegni di far parte della realtà urbana
Sino al boom economico degli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, la quieta vita agricola era completamente avulsa dal securitarismo ansiogeno venutosi a creare nei decenni successivi. Nella società preindustriale, i piccoli borghi contadini non necessitavano di un ricorso ossessivo al Diritto penale, né, tantomeno, si idolatrava il carcere come se fosse una soluzione a tutti i problemi. Il mondo rurale era munito di valvole di sfogo in grado di contenere le devianze meno allarmanti attraverso strumenti riabilitativi non normativi e soprattutto extragiuridici. Viceversa, in epoca attuale, ogni minimo disturbo della pace sociale è subito giuridificato e penalmente sanzionato.
Una Giustizia di classe
Il Diritto penale dei nostri giorni non tutela le minoranze, anzi aggrava la loro marginalità. Tutto ciò che rovina il quieto vivere lussuoso di chi detiene il potere e di chi reca un reddito medio-elevato viene “tolto di mezzo” affinché non infastidisca le gentili signore intente a fare shopping o le persone cosiddette “perbene”. I ceti elevati ricorrono con facilità alla polizia ed alla “penalizzazione” di qualsivoglia pur minimo disturbo.
La televisione, Internet e, più latamente, la cronaca giornalistica hanno il potere di veicolare messaggi xenofobi o, più semplicemente, violenti, con la conseguente invocazione di un Diritto penale duramente quanto inutilmente severo e repressivo. I mezzi di comunicazione in malafede amplificano a dismisura episodi pur minimi di microcriminalità, per creare un “nemico” da neutralizzare grazie a un utilizzo smodato della sanzione criminale e della detenzione intra-muraria.
Per tal via, la Giuspenalistica si trasforma in un mezzo similsovietico di imposizione di pensieri sociopolitici dittatoriali e fortemente repressivi.
Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Rosemary Ketchum, Ron Lach, Tim Mossholder e Clem Onojeghuo).
Andrea Baiguera Altieri
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)