La storia di una donna che torna ragazzina, con le sue ferite sempre aperte, il rapporto con il padre e quello con il corpo sofferente sono al centro del romanzo “Matilda con la ‘a’” di Cecilia Mazzeo (Cicogna Editore)
Nata a Bologna nel 1976, a soli diciannove anni le viene diagnostica una patologia invalidante e ancora troppo poco conosciuta, l’endometriosi. Nonostante questa possa provocare sterilità, Cecilia Mazzeo è ora madre di due bambini, oltre che di numerose poesie, racconti, articoli e recensioni. A partire dal titolo del suo primo romanzo, Matilda con la “a” (Cicogna Editore, pp. 288, € 15,90), l’autrice invita i lettori all’attenzione e all’ascolto, alla corretta pronuncia dei nomi, anche quelli più scomodi, al rispetto delle emozioni e alla tenerezza nei confronti della malattia. Scopriamo allora, in questa intervista, che cosa la scrittrice rivela di sé e di Matilda.

«Matilda con la “a” è una matrioska: è la vita con dentro Bologna, una donna, un trasloco, e poi l’adolescenza, la scuola, una famiglia, un padre difficile, una bambina e una malattia. La matrioska più interna, la più piccola, l’inizio di tutto, il nocciolo, è però l’amore paziente. In quella “a” finale si nasconde l’intero percorso della narrazione. Viviamo in un mondo che corre, bruciando gli istanti. Un mondo frettoloso e superficiale di mode e velleità leggere, che non ha tempo né voglia di intendere e capire. In Matilda c’è quindi una richiesta, una specie di urgenza emotiva: ascoltami, siediti, stai qui con me. Ma purtroppo, come si può notare, cinque righe per me non possono bastare».
Anche se Matilda è un personaggio chiaramente autobiografico, c’è qualcosa in cui siete diverse?«Lei è un germoglio fresco e tenero; Cecilia non è tanto diversa, ma tiene sulle gambe un cesto pieno di frutti. Matilda è l’idea, Cecilia l’azione. Matilda è lo zucchero, Cecilia il pepe. Matilda è il sogno, Cecilia è la consapevolezza. Matilda è Avvento, Cecilia è Pasqua. Matilda è il freno, Cecilia è l’acceleratore».

«Non so se si tratti di un condizionamento assoluto. Nel mio caso, la sofferenza mi ha aiutato a percepire ancor di più di quello che già sento, a spostare i confini pur rimanendo seduta sul divano, a trasformare ogni solletico e ogni “urlo” del mio corpo e del mio animo, oltre a permettermi di avere più tempo per riflettere, analizzare, scontrarmi con l’“io” più profondo. Il tutto grazie anche ai frammenti dell’esplosione che proprio il dolore genera: ognuno di essi parla ed è un ologramma. Attraverso il mio male è più facile raccontare, immaginare, descrivere quello altrui. Nella storia personale c’è sempre una matrice universale».
Quando hai iniziato a scrivere? C’è chi lo considera un fatto “terapeutico”… per te è così?«Non ho memoria di un inizio. Per me scrivere è sempre stato un qualcosa di fluido: acqua che scorre senza fatica,naturale come respirare, un po’ come nascere con gli occhi verdi. Datemi una biro, un foglio bianco, dei pennelli e delle tempere e vedrete il mio sorriso spalancarsi e divorare il cielo. Cos’è per me la scrittura? Il progetto del mio seme, creare distillati di parole, liquori di pensieri da regalare. Marmellate di emozioni da impilare in cantina e prendere quando si ha fame di vita buona. È una scintilla, un raggio laser che collega le cose e le illumina, le porta in superficie e le rende visibili a chi non guarda. Non so se la scrittura sia terapeutica, dipende molto da ciò che si scrive. Spesso è un’implosione, un ferirsi. Altre volte un’esplosione, un liberarsi».

«Per adesso sono a conoscenza solo di quelli contenti e grati, che hanno sorriso e che mi hanno abbracciata… fatta eccezione del ramo paterno della famiglia, che ha scalpitato con ottusità di fronte al ritratto di mio padre. Se ci sono altri offesi o adirati, si facciano pure avanti. Io ho solo raccontato la mia verità di figlia, che è alquanto insindacabile. Poi, vedere puntato il dito con sdegno e rabbia mi fa capire che ci sono persone che non sanno leggere: scorrono le parole ma non lo spessore d’amore e di perdono, la sofferenza di bimba che le ha generate».
Guardiamo ora al futuro: scaramanzia a parte, puoi dirci qualcosa sui tuoi prossimi lavori?«Lo scorso ottobre è uscito un mio racconto su Nuovi Argomenti, la rivista letteraria trimestrale edita da Mondadori, che è un po’ l’anticamera di un progetto più ampio su cui mi sto concentrando; ma ce ne sono altri due che riposano nel cassetto, in attesa che la voce giusta si sciolga e che la primavera delle idee fiorisca dopo il gelo».
Le immagini: la copertina del libro Matilda con la “a” e una foto della scrittrice.
(a.c.)
(LucidaMente, anno IX, n. 98, febbraio 2014)