Il racconto struggente di una madre nell’anno di vita successivo alla morte della figlia Federica, investita di fronte a casa da un pirata della strada. L’autrice, Morena Fanti (Orfana di mia figlia, Il pozzo di Giacobbe editore, pp. 196,€ 16,00), fa rivivere la propria Federica attraverso le persone, gli oggetti e la quotidianità. Nel libro si raccontano i cambiamenti forzati di una famiglia che perde una persona cara e la sua sofferenza, che la scrittrice tenta di “sospendere” e imprigionare nella scrittura.
Mai più come prima
«Il dolore […] diventerà, con il passare del tempo, un compagno di vita scomodo ed inevitabile, un fardello da trascinare con noi dovunque andremo. Non viaggeremo più liberi e leggeri come prima. Non sarà più possibile prendere decisioni facili e improvvise. Tutto dovrà essere ponderato, vagliato e, anche dopo aver deciso una cosa, non la vivremo più con lo stesso spirito».
Quando si apprende della morte di un figlio, se ne desidera la stessa sorte. Alla terribile notizia la Fanti ha provato che cosa significa cessare all’improvviso di essere madri e perdere la propria identità. Da spettatori di fatti di cronaca si diventa attori; ci si accorge che certi eventi possono capitare a tutti.
Nonostante cerchi di rendere le giornate “normali”, il pensiero dell’autrice torna sempre a Federica, ripercorre i momenti trascorsi in sua compagnia, ogni situazione riporta il genitore ai vissuti con la figlia. Gli eventi perdono di significato: si evince che sono speciali solo in compagnia di persone speciali.
Le relazioni con gli “altri”
La morte della ragazza ha messo a repentaglio in primis il rapporto con il marito: non riuscendo a gestire la propria angoscia, per la moglie risultava insopportabile vedere la persona amata immersa nel suo dolore, avrebbe voluto istintivamente andarsene di casa.
E poi da un lato il dover affrontare coloro che cercano di ovattare il mondo circostante, di tenerti sotto una campana di vetro per evitare ulteriori sofferenze e qualsiasi riferimento all’accaduto, che sono poi gli stessi che ti perdonerebbero qualsiasi azione, anche la più sgradevole, pensando che tutto ti sia dovuto a causa del lutto; dall’altro vivere nel timore che qualcuno, come realmente è successo, paradossalmente possa avere il coraggio di dire: «Tu adesso sei libera, devi solo pensare al lavoro e hai tempo per tutti i tuoi interessi, io, invece, devo correre dopo il lavoro, per portare i figli in palestra e per seguirli. Sembra quasi che si possa arrivare a provare invidia per me».
L’autrice confessa anche di aver paura di essere evitata dalla gente, che teme di inciampare in frasi infelici o di parlare a sproposito dei propri figli, questione peraltro che non turba la Fanti: «La frase che indica come nella perdita di una persona cara ci possa essere un insegnamento, o una lezione di vita, è sintomo di un’evidente ignoranza e di pressapochismo nel giudicare i sentimenti altrui. Pensare che la morte di un figlio o di una persona amata possa essere sempre una fantomatica lezione meritata mi sembra offensivo verso chi prova sentimenti veri e non ha mai tralasciato niente per dimostrare il proprio amore agli altri».
Continuare a vivere, con solidarietà
Nel suo tentativo di ricominciare a “vivere” dopo l’incidente mortale della figlia, la scrittrice, forse inconsapevolmente, si dedica sempre ad azioni a favore di persone bisognose, oltre che di se stessa: «La prima idea è stata quella di formare un gruppo di %u2018auto-aiuto’, in cui ci fosse comunicazione, scambio di idee e confronto di emozioni, perché credo nella forza del gruppo e ho sempre considerato l’isolamento come un animale pronto a divorarci ed annientarci».
Dopodiché decide di scrivere il libro, pensando di sostenere famiglie che hanno vissuto la sua stessa esperienza. Inoltre, invece di spendere soldi per i fiori per il funerale, la Fanti li ha donati all’Associazione genitori di ematologia e oncologia pediatrica (Ageop), presso cui Federica faceva volontariato, e a cui anche Morena deciderà di dedicare parte del proprio tempo.
Anche nel rapporto con Giovanni, ex fidanzato della figlia, si evince che la donna pensa prima al bene del ragazzo, piuttosto che al suo. Si incontrano spesso dopo il tragico evento, tuttavia si rende conto che lui non sarà mai realmente libero di avere un’altra ragazza, se continua a vedersi con i genitori della fidanzata defunta, sebbene il rischio più grosso potrebbe essere comunque quello di riempire il vuoto lasciato da Federica con un’altra persona, per la quale realmente non prova alcun sentimento.
Memoria su carta
«Scrivere mi aiuta a conoscere meglio quello che provo e, forse, ad esorcizzarlo e a farlo diventare meno angosciante. Scrivere, però, è anche molto faticoso e mi procura molte lacrime, ma so che quelle ci sarebbero lo stesso».
Diversi sono i motivi che spingono la Fanti a elaborare questo diario: il desiderio di mantenere intatta la memoria delle emozioni vissute e di tutti i momenti trascorsi insieme alla figlia, per cominciare.
Inoltre, lei stessa scrive: «Volevo parlare ad altre persone che vivevano la nostra stessa dolorosa esperienza, per confrontarmi e capire. Il metodo più immediato per arrivare a molte persone contemporaneamente mi è sembrata la scrittura. Nello stesso tempo, ho pensato che leggere l’esperienza altrui e confrontarla con la propria poteva essere di sprone per seguire questo difficile cammino. Ho sempre pensato che il mio sarebbe stato un ‘messaggio’ di speranza».
Francesca Gavio
L’immagine: la copertina del libro Orfana di mia figlia di Morena Fanti.
(LM EXTRA n. 18, 15 dicembre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 48, dicembre 2009)