La biologia, la biomedicina, le biotecnologie ci offrono conoscenze della vita, umana e non solo, e delle condizioni nelle quali essa si svolge, alquanto mutate anche rispetto a solo pochi decenni fa. Secondo Valerio Pocar, per un laico, che rifiuta il principio dell’autorità religiosa in campo etico, le nuove nozioni scientifiche implicano pure nuove riflessioni morali
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Qualcuno ha definito la nostra epoca come l’epoca della biologia e della genetica: forse è così, certo è che la visione della vita è cambiata. Anche la riflessione morale dovrebbe prenderne atto e a sua volta modificare i suoi stessi princìpi e le valutazioni che se ne possono razionalmente trarre.
Fedi e religioni hanno da sempre preteso di spiegare la vita e la morte e, a partire da affermazioni alquanto fantasiose, seppur non prive di aspetti poetici, di dare risposte alle questioni etiche. Se le conoscenze e le situazioni reali mutano, fedi e religioni non possono modificare volta a volta le loro risposte che, per la loro stessa natura e la loro stessa missione, sono costrette a definire “vere” una volta per tutte e dunque eterne, ma possono al più cercare di adattarle maldestramente ponendole su una sorta di letto di Procuste. Dopo Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione è ancora consentito suggerire nei confronti degli animali, in una prospettiva antropocentrica, solo benevolenza volta al rispetto dell’umanità degli umani? Dopo che la tecnologia medica consente di prolungare la vita biologica anche in condizioni fino ad ora impensabili, ma a prezzo di intollerabili sofferenze, è ancora consentito, in ossequio al vitalismo, non riflettere sulla qualità e la dignità della vita? E via infinitamente esemplificando.
Il non credente è libero di meditare solo sulla base delle nuove conoscenze scientifiche e di valutare i fatti e le loro trasformazioni. Abituato a non cercare soluzioni preconfezionate presso i supermercati delle idee, ma da sempre teso a costruire – faticosamente, sì – le proprie opinioni tramite la libera ricerca, il non credente più di ogni altro coglie l’importanza di non sottovalutare le cosiddette “questioni bioetiche”, quelle appunto che dalle succitate trasformazioni derivano e rispetto alle quali più che mai le idee morali tradizionali si mostrano del tutto inadeguate. Solo in questa libera ricerca della propria individuale “verità”, che laicamente riconosce come relativa e provvisoria, si realizza, seguendo i criteri dell’etica razionale, uno dei compiti morali dell’essere umano.
Non esiste alcuno che, almeno rispetto a ciò che conosce, non abbia opinioni rispetto al bene e al male, ma come distinguere responsabilmente, se non col proprio raziocinio e con la propria coscienza? Assumere acriticamente le suggestioni altrui, persino quando esse appaiano razionali e adeguatamente argomentate (figuriamoci poi quando siano solo stanche reiterazioni di opinioni obsolete), accogliendo di fatto il principio di autorità nel campo etico, significa sottrarsi alla propria responsabilità morale di concorrere consapevolmente alla formazione delle opinioni collettive, che possono costruirsi solo attraverso un dibattito pubblico partecipato, laico e pluralistico. Il non credente pretende – ed è una pretesa legittima – il diritto di poter pensare liberamente, in questo come in qualsivoglia altro campo. È anche però consapevole che non solo di un diritto si tratta, ma anche di una responsabilità che, giacché pensare liberamente è il suo costume elettivo, non teme di assumersi.
L’immagine: copertina del libro Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto (casa editrice Le Lettere) di Giovanni Fornero e Maurizio Mori.
Valerio Pocar – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)
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