Nel saggio “La rivoluzione della speranza” (Mimesis Edizioni) lo psicanalista ha profeticamente denunciato la deriva tecnocratica, economicista e disumana verso cui ci stiamo dirigendo
Avere o essere. Questo il significativo – quasi uno slogan – del best seller del 1976 dello psicanalista anticapitalista tedesco Erich Fromm (1900-1980). Divenuto un manuale obbligato per la controcultura e per il Sessantottismo – una copia se la trovano in casa tutti gli over 50… –, il volumetto poneva in contrasto due modi di vivere: uno fondato sull’egoismo, l’arricchimento, il consumo, il conformismo e l’assoggettamento ai mass media; l’altro in grado di condurre a un perfezionamento spirituale sia individuale che dell’intera collettività.
Il tutto scritto ed esposto in maniera accattivante, tanto che molti lo hanno frainteso come un manuale hippie sentimentale buonista (lo stesso vale per un altro suo vendutissimo libro, L’arte di amare), e non come una dura denuncia della manipolazione e della disumanizzazione derivante dal sistema capitalistico (per di più, ai tempi nostri, divenuto globalista-neoliberista e senza avversari). Invece Fromm era un ideologo neomarxista appartenente alla Scuola di Francoforte.
Un testamento spirituale che denuncia un futuro distopico
Ancora più estremo – e attuale – è un libro scritto da Fromm nel 1978, due anni prima che morisse, quindi una sorta di testamento spirituale. Il suo titolo è La rivoluzione della speranza. Per una tecnologia dal volto umano (Mimesis Edizioni, Milano 2025, pp. 164, € 16,00). Il quale, dopo molti anni di assenza, è tornato da pochi giorni in libreria grazie alla casa editrice milanese.
In esso l’autore, infatti, non contesta solo il capitalismo, il consumismo con la conseguente reificazione dell’essere umano, un sistema politico-sociale standardizzato e solo apparentemente libero, ma va oltre e anticipa il panorama predistopico che stiamo vivendo: il postumanesimo e il transumanesimo, con la dittatura dello scientismo, delle macchine e della tecnologia.
Per descrivere tale dominio Fromm mutua un termine dell’urbanista e sociologo statunitense Lewis Mumford (1895-1990): «megamacchina». Ovvero un sistema sociale organizzato fin nei dettagli in modo che gli esseri umani finiscano per essere semplici parti, sempre più controllati, della società-macchina. Si preparano così un mondo e una società completamente abbrutite e omologate, accomunate dalla violenza, dalla mancanza di attenzione, sensibilità ed empatia verso gli altri.
L’annullamento dei valori umanistici e il dominio della tecnoscienza e del produttivismo
In questa struttura dominano due soli criteri: la realizzazione di tutto ciò che è tecnicamente possibile, anche se magari immorale o dannoso per l’umanità, e la massima efficienza-produzione. Tutto ciò, scrive Fromm, «rappresenta la negazione di tutti i valori elaborati dalla tradizione umanistica, per la quale una cosa andava fatta in quanto necessaria all’uomo, alla sua felicità e alla sua ragione, perché bella, buona e vera» (leggi pure L’assoluta incompatibilità tra tecnoscienza e spiritualità trascendente). E, purtroppo, sia conservatori sia progressisti «sembrano egualmente ciechi a questo riguardo». Anzi, «questo Moloch è stato decritto con grande immaginazione da Orwell e da Huxley e da alcuni scrittori di fantascienza che dimostrano una maggiore perspicacia dei sociologi e degli psicologi di professione» (leggi, ad esempio, Il futuro del mondo nella cupa distopia di Philip K. Dick).
Vengono così meno l’energia vitale, la vitalità, la gioia di vivere. La società è dominata dal conformismo e da un vuoto edonismo individualistico. Quando parla di «una burocrazia che si autoriproduce continuamente» Fromm anticipa quello che oggi noi definiamo deep state. E quando scrive di una «alleanza fra l’impresa privata e il governo […] così stretta che la distinzione fra le due parti sta diventando sempre più sfumata» denuncia con largo anticipo la commistione, se non la prevalenza, dei grandi poteri economici sui legittimi Stati democratici nazionali.
Tuttavia, in mancanza di brutali dittature e oppressioni (perlomeno in Occidente) la gente pensa di essere libera, anche dopo l’autoritarismo pandemico del 2020-2023), mentre è, al contrario, teleguidata (leggi Viviamo davvero in regimi democratici?).
Vi sono speranze per il futuro?
Che le preoccupazioni esposte nel libro di Fromm non siano provocatorie fantasie settarie sessantottine, lo dimostra l’attenzione che verso tale opera ha rivolto, tra gli altri, anche l’intellettuale Francesco Borgonovo (Vivere nell’età della mega macchina, in Panorama, n. 4, 15 gennaio 2025, pp. 62-65), considerato uno dei più brillanti pensatori vicini alla nuova destra anticapitalista.
Anzi, provocatoriamente, diremmo che la spiritualità e la salvezza dell’umanità dal totalitarismo tecnocratico stiano a cuore più ai pensatori di destra che a quelli di sinistra. Del resto, dove sono e cosa sono oggi gli “intellettuali di sinistra”? Al massimo politicanti o penne dai valori materialistici al servizio dei loro ipocriti padroncini allineati al Sistema e al Potere dominante.
Allora, tutto è perduto, di fronte allo strapotere della «megamacchina» tecnoindustriale, finanziaria, guerrafondaia? Sì e no. Il filosofo afferma che vi sono due possibilità. La prima è quella di allinearsi e accettare passivamente il modello economico-sociale-culturale dominante. La seconda fa affidamento sull’insita speranza dell’essere umano, sul suo innato bisogno di libertà e sogno rivoluzionario. Appunto, speriamo…
Le immagini: alcune copertine delle opere di Fromm.
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)