Negli ultimi canti del “Paradiso”, per spiegare la meraviglia del cosmo, il Sommo Poeta descrive un’ipersfera. Di questa e di altre strutture geometriche abbiamo parlato con il noto matematico
In molti passi della Divina Commedia Dante Alighieri mostra particolare attenzione alla rappresentazione astronomica del tempo e dello spazio, facendo riferimenti molto precisi alla scienza dell’epoca.
Puntuale e particolareggiata risulta anche la descrizione della struttura cosmologica del poema. Tale semantica innerva tutte le tre cantiche, dall’imbuto dell’Inferno alla montagna del Purgatorio, fino al momento di affrontare la sfida suprema: la rappresentazione di Dio nel Paradiso. Nella terza cantica (XXVIII, Pd., vv. 40-43) Beatrice illustra a Dante quel punto da cui «depende il cielo e tutta la natura», mentre, più avanti, il poeta fiorentino ci racconta qualcosa di insolito e inaspettato, un «altro universo» fatto, ugualmente, di nove cerchi concentrici, sede delle gerarchie angeliche che ruotano attorno a Dio (XXVIII, Pd., vv. 70-72 e 97-126).
Nel canto XXVII il «Primo Mobile» è descritto come un cielo non differente dagli altri, ovvero una sfera esterna e concentrica a quelle planetarie che delimita l’intero universo visibile ed è immersa nell’infinità dell’Empireo. Nel canto successivo (XXVIII, Pd., vv. 97-126), questo viene rappresentato come un’altra serie di cerchi concentrici raffigurate dai vari ordini angelici, orbitanti intorno a un unico centro (Dio). Osservando dal «Primo Mobile» verso l’esterno (in direzione dell’Empireo), il lettore si trova a contemplare un secondo universo, simmetrico rispetto al mondo sensibile, con nove cieli intorno a un fulcro di rotazione immobile.
A partire dal canto XXVII del Paradiso, Dante ci spiega che il «Primo Mobile», omogeneo e sempre uguale a se stesso in ogni punto e direzione, non gli permette di comprendere, con esattezza, da che parte egli sia entrato: «Le parti sue vivissime ed eccelse / sì uniforme son, ch’io non so dire / qual Bëatrice per loco mi scelse» (vv. 100-102). Questo indica che, guardando fuori da qualsiasi punto del «Primo Mobile», avremmo la stessa immagine dell’interno dell’Empireo. Esso, in sostanza, è un cielo che circonda l’universo sensibile, a sua volta rinchiuso, come una sfera, intorno a un punto: siamo di fronte a una contraddizione impossibile da spiegare nell’ottica della geometria euclidea.
L’unica interpretazione potrebbe risultare dall’ingegnoso stratagemma posto in atto da Dante per conciliare l’aristotelismo di riporto con la visione medievale tomistico-cristiana. Non deve apparire assurdo pensare che il poeta fiorentino potesse trovare maggiore familiarità con la geometria sferica, legata alle osservazioni astronomiche, piuttosto che con quella di Euclide, sperimentando, così, gli aspetti tetradimensionali dello spazio. Per capire di più queste tematiche – e il dibattito scientifico iniziato tra gli addetti ai lavori qualche anno fa – la redazione di LucidaMente ha contattato il noto saggista e divulgatore scientifico Piergiorgio Odifreddi, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, già intervistato in altra occasione da LucidaMente (La “rivoluzione” non fa parte della nostra natura di italiani).
Nel 2006 il fisico romeno Horia-Roman Patapievici ha dato alle stampe Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante? (Bruno Mondadori), in cui ha sviluppato le riflessioni di alcuni matematici intorno al concetto quadridimensionale del cosmo dantesco. Alighieri non fu il profeta della geometria non euclidea di Georg Friedrich Bernhard Riemann (1854), né della teoria della relatività di Albert Einstein (1917). Il suo mondo a quattro dimensioni rappresenta il tentativo di adattare il sistema aristotelico-tolemaico a quello cristiano-tomistico, conciliando la cosmologia di Aristotele con la visione cristiano-medievale. Negli ultimi canti del Paradiso Dante raffigura un mondo molto diverso da quello tradizionalmente accettato dalla critica e affine alle teorie sull’universo formulate, secoli dopo, da Einstein. Professor Odifreddi, lei si è occupato di queste riflessioni in alcuni suoi articoli e interventi. Quando ha inizio il dibattito scientifico sulla cosmologia dantesca e come funziona, matematicamente e geometricamente, questa visione?«Ben trovati. Il primo a parlare degli aspetti logici del paradiso dantesco fu il matematico svizzero Andreas Speiser, nel 1925. L’idea è molto semplice: la sua struttura consiste in una doppia sequenza di sfere concentriche, esattamente come la Terra si può rappresentare mediante una duplice successione di cerchi sempre concentrici (i paralleli dei due emisferi), alla maniera delle vecchie mappe degli atlanti. Dante pensa, dunque, al regno dei cieli come a una versione quadridimensionale della Terra, con un’ipersfera di maggiore estensione rispetto alla sfera e caratterizzata, per questo, da una struttura non euclidea, ovvero curva invece che piatta. Si tratta, comunque, di una geometria semplice che nella versione tridimensionale conoscevano perfettamente già i greci: niente di così rivoluzionario come quella iperbolica, anziché sferica, sviluppata nell’Ottocento. Nel 1917 Einstein usò l’ipersfera come prototipo di un universo statico, anche se oggi i modelli cosmologici sono molto più complessi e usano geometrie riemanniane a curvatura variabile, determinate dalle masse spaziali, invece che a curvatura costante, come la geometria euclidea e quelle non euclidee sferica e iperbolica».
L’ipersfera dantesca trova, dunque, nello spazio a quattro dimensioni lo stesso humus naturale – ci si passi la metafora – della sfera in quello tridimensionale. La rappresentazione del poeta fiorentino può definirsi una sorta di escamotage per conciliare visibile e invisibile, materia e spirito, temporalità ed eternità?«È uno stratagemma ben congegnato. È bene rammentare che il problema non è dispiegare l’ipersfera in un luogo quadridimensionale, perché essa lì vive naturalmente, allo stesso modo in cui la sfera esiste nello spazio a tre dimensioni. La difficoltà risiede, invece, nel disporre l’ipersfera in un’area tridimensionale o la sfera in quella bidimensionale: togliendo estensione, bisogna ricorrere a dei trucchi, quali le rappresentazioni citate in precedenza. Tra queste, anche quella di Dante per l’ipersfera, appunto».
Un escamotage di grande effetto, dunque, che ha permesso al grande letterato fiorentino di rappresentare, attraverso la geometria sferica (in questo caso un’ipersfera), la struttura del paradiso cristiano oltre il cosmo tolemaico. Grazie, professor Odifreddi.Per saperne di più: Marco Bersanelli, L’universo di Dante, in www.scienzainrete.it; Piero Bianucci,L’universo di Dante anticipò quello di Einstein, in www.lastampa.it; Piergiorgio Odifreddi, Immagini del paradiso, in www.piergiorgioodifreddi.it; Piergiorgio Odifreddi, Intervista a Dante Alighieri, in www.piergiorgioodifreddi.it.
Le immagini: la ricostruzione del volto di Dante Alighieri; lo schema dell’ipersfera dantesca, una foto di Piergiorgio Odifreddi; Beata Beatrix (1877-1882 circa, olio su tela, 68×86, Birmingham Museums and Art Gallery) di Dante Gabriel Rossetti (Londra, 12 maggio 1828 – Birchington, 10 aprile 1882).
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)