Il sistema economico neoliberista si fonda sulle errate convinzioni che l’uomo sia malvagio e che il bene comune sia la risultante degli interessi particolari
La condotta del sistema neoliberista risponde a una certa logica. Si dirà: ma forse è una logica perversa, visti i risultati. È sicuramente così, tuttavia la perversione non è certo una novità. Non è che sia sorta all’improvviso una genia di cattivi. Si è presentata, semplicemente, una grande occasione di saccheggio tramite la globalizzazione. L’atavica avidità, esercitabile “seriamente” da pochi, ha avuto modo (e lo ha tuttora) di sfogarsi su un proscenio nuovo e vasto. L’Est è stato invaso da capitali dell’Ovest (capitali pubblici!) nonché sottomesso al mito del benessere capitalistico, un capitalismo moderno fatto di furbi con il beneplacito di altri furbi (le banche) e tollerato, quando non blandito, da inetti (i politici).
Tutti sono stati (noi compresi) a guardare senza pensare. Lo sguardo è divenuto inevitabile all’indomani delle crisi indigene, con chiusura di aziende persino storiche. Non si è agito affinché la vita all’Est diventasse come quella occidentale (welfare, sindacati ecc.), ma anzi è avvenuto proprio il contrario. La colpa, tuttavia, non è sicuramente dei cosiddetti neoliberisti: se io accetto che si vada a rubare nel supermercato senza impedimenti, quanti non lo faranno? Così, se lo Stato non s’interessa della delocalizzazione delle imprese, anzi addirittura la aiuta attraverso le banche (che erogano soldi di tutti), quante imprese resteranno a casa a sopportare maggiori spese? L’interesse privato non può provvedere a quello generale, in un clima internazionale nel quale è impossibile farlo. Se non vado io a sfruttare il lavoro cinese, ci va il mio amico francese o quello tedesco. La mancanza di regole (reperibili nelle convenzioni avanzate, vigenti in Europa da tempo) non può che essere un invito all’avventurismo senza scrupoli, al ripristino della “legge della giungla”.
I difensori del neoliberismo tacciano di svenevolezza i difensori della civiltà, sostenendo l’assurda tesi per cui l’uomo agisce da bestia perché è tale (nel senso metaforico del termine, le bestie sono molto più nobili), dimenticando, insomma, che l’uomo è bestia perché vuole esserlo, confondendo l’interesse minuto per vantaggio assoluto. Mostrando, come Giano bifronte, il suo volto brutto quasi fosse il migliore. Quello bello, è come se non lo avesse (ma ce l’ha, eccome!). Il volto peggiore risponde delle azioni cattive. Inevitabili, si dice, in quanto sembrano disdicevoli, ma tali non sono, perché proiettate verso un eterno progresso. L’avidità personale sarebbe, insomma, una legge granitica e una leva progressista. Senza questa legge granitica, ci sarebbe la disgregazione sociale, la fine dell’umanità. Ergo, la società, secondo alcuni (lo dicono per conveniente pigrizia e per atavica presunzione, nonché per ferocia interiore impunita), può funzionare solo in maniera piramidale. I capi devono stare bene perché stia bene il gregge. La politica deve garantire che le cose funzionino così. Con una logica del genere, il neoliberismo è a posto. L’umanità un po’ meno.
L’immagine: elaborazione grafica da http://www.programmaregionicina.it/.
Dario Lodi
(LucidaMente, anno VII, n. 73, gennaio 2012)
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