A distanza di più di 70 anni dalla sua prima pubblicazione, il capolavoro di Camus, trasposto fedelmente nel cinema da Visconti, rimane un bel romanzo, ma il personaggio principale desta qualche perplessità
Rileggere dopo decenni i libri che ci avevano appassionati in gioventù, anzi ci avevano formati culturalmente e spiritualmente, può suscitare sentimenti diversi (leggi pure La commovente purezza dei personaggi di Franz Kafka). Delusione? Bello, ma ce lo ricordavamo diverso? Immortale? Ci ha destato le stesse sensazioni di un tempo? Imprescindibile? È come se lo leggessimo per la prima volta?
Cosa ci è successo rileggendo Lo straniero (1942) dell’amatissimo scrittore esistenzialista francese Albert Camus? Del romanzo, tra l’altro, abbiamo anche rivisto la trasposizione cinematografica del 1967 di Luchino Visconti (la si può vedere per intero su YouTube, clicca qui), e anche su questa faremo qualche annotazione.
Un romanzo che si legge sempre con piacere
Innanzi tutto, diciamo subito che si tratta di un bellissimo romanzo, con l’apprezzabile dono della brevità, della scrittura secca, di uno stile chiaro, caratterizzato da periodi brevi quanto incisivi. La vicenda, narrata in prima persona, si dipana entro un breve arco di tempo. Ci troviamo ad Algeri, all’epoca sotto la dominazione francese (Camus era nato in Algeria, figlio di poverissimi migranti, e vi soggiorna dalla nascita, nel 1913, al 1940, quando si trasferisce in Francia). Domina il caldo incessante, anche di notte, l’afa, un sole implacabile e feroce, quasi a simboleggiare la cieca spietatezza del destino umano. Tutti sono sempre sudati. Ma, a far quasi da contrasto, vi sono anche le splendide spiagge e il mare, una vita brulicante, una natura avvolgente.
Il protagonista è Meursault (è il cognome; non ne viene mai citato il nome). Un impiegato grigio, senza ambizioni, passivo, freddo, abulico, apatico, che si lascia trascinare dagli eventi, fino al tragico, involontario «incidente» che lo condannerà al patibolo.
Sia la morte della madre in ospizio, sia l’amore della bella Maria verso di lui sono vissuti anaffettivamente. Quando Maria gli chiede se la ama, Meursault risponde che è certo di non amarla, ma, se le fa piacere, la sposerà. Accetta, sempre passivamente, l’amicizia di Raimondo, una persona rozza, un poco di buono, e, sebbene svogliatamente, lo appoggia pure in alcune sue “prodezze”.
La sua filosofia di vita si condensa in «Non si cambia mai di vita, […] del resto tutte le vite si equivalgono».
La casualità degli eventi e un assurdo omicidio
Una domenica Meursault, Maria, Raimondo, con altri conoscenti, si recano in un capanno su una spiaggia fuori Algeri. La giornata è torrida e sono le ore più calde della giornata [la traduzione dal francese è di Alberto Zevi, edizione Bompiani, 1947]: «C’era sempre quel rosso sfolgorio. Sulla sabbia il mare ansimava di tutto il respiro rapido e soffocato delle sue prime onde. […] A ogni sciabolata di luce sprizzata dalla sabbia, da una conchiglia candida o da un frammento di vetro, mi si contraevano le mascelle. […] Erano già due ore che la giornata non avanzava, due ore che aveva gettato l’ancora in un oceano di metallo fuso».
Sulla spiaggia incontra un giovane arabo col quale Raimondo aveva avuto una colluttazione e si ritrova in mano la rivoltella affidatagli: «A causa di quel bruciore che non potevo più sopportare ho fatto un movimento in avanti. Sapevo che era stupido, che non mi sarei liberato dal sole spostandomi di un passo. Ma ho fatto un passo, un solo passo in avanti. E questa volta, senza alzarsi, l’arabo ha estratto il coltello e me l’ha presentato nel sole. La luce ha balenato sull’acciaio e fu come una lunga lama scintillante che mi colpisse alla fronte. In quello stesso momento, il sudore dalle mie sopracciglia è colato di colpo giù sulle palpebre e le ha ricoperte di un velo tepido e denso. Non sentivo più altro che il risuonar del sole sulla mia fronte e, indistintamente, la sciabola sfolgorante sprizzata dal coltello che mi era sempre di fronte. Quella spada ardente mi corrodeva le ciglia e frugava nei miei occhi doloranti. È allora che tutto ha vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio dell’impugnatura ed è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto è cominciato. Mi sono scrollato via il sudore e il sole. Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove ero stato felice. Allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia. E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura». Si conclude così la prima parte del romanzo.
L’“esistenzialismo” di un uomo mediocre
La seconda parte del romanzo è occupata dal processo a Meursault, dalla sua condanna alla ghigliottina e dai colloqui col povero prete che cerca di “salvare l’anima” a un carcerato prossimo alla morte che si mostra freddo, passivo, infine ostile come mai nessun altro.
L’imputato attribuisce il suo omicidio al sole; non a caso il suo cognome potrebbe scomporsi in meurtre (“omicidio”) e soleil (“sole”). Ma i quattro colpi sparati successivamente al primo non gli lasciano scampo. Inoltre, nel corso delle udienze viene evidenziata la sua freddezza nel corso anche dei funerali della madre. Da sottolineare l’imparzialità della magistratura francese, che, in tale caso, è severa anche se il colpevole è un connazionale e la vittima è un povero algerino (non sempre è stato così; leggi Parigi, 17 ottobre 1961: il massacro dimenticato dei francoalgerini presso la Senna).
Verso la conclusione del romanzo finisce quasi per aggredire il prete e afferma, con un pensiero degno di Giacomo Leopardi, che «tutti sanno che la vita non val la pena di essere vissuta». Così Meursault è diventato uno dei simboli della filosofia esistenzialista. Va bene così, tuttavia risulta poco credibile come corifeo di tale corrente un personaggio che si lascia trascinare dagli eventi, li subisce, senza quasi mai esprimere un pensiero critico attivo. Tutto sommato, col suo rifiuto degli affetti, persino di chi gli vuole bene e tiene a lui, risulta a volte persino irritante.
La versione di Visconti de Lo straniero
Come si è già detto, nel 1967 il romanzo di Camus è divenuto anche un film, diretto da Luchino Visconti. L’opera non è stata giudicata tra le migliori del celebre regista. La pellicola, con un bel bianco e nero, segue fedelmente l’andamento del libro, fin nei particolari e nei dialoghi. Meursault è interpretato da Marcello Mastroianni. Maria da Anna Karina, icona della Nouvelle Vague cinematografica francese.
Sempre con l’ottica della distanza temporale, che modifica gli oggetti come un cannocchiale rovesciato, il film ci è piaciuto perché ci riporta in un’altra epoca che ci appare, forse a torto, più bella, semplice e felice di quella odierna. Insieme all’afa e all’incessante sudore, quello che colpisce è la vitalità dell’ambiente e delle persone, il brulichìo delle vite, i rapporti paritari tra arabi e occidentali, le donne per lo più senza veli, la gioia di vivere con minime esigenze e di divertirsi anche con poco. Magari semplicemente recandosi a un cinema di periferia o passando una giornata al mare, gratis e senza tanti pensieri…
Le immagini: le copertine di alcune edizioni italiane de Lo Straniero.
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)