Critica dell’ipocrisia sociale e ribellismo ne “Le avventure di un Gigolò” (GalassiaArte) di Leonardo Barbàra
«Michael era un uomo sui quarant’anni, di statura alta, con una costituzione atletica, dai capelli scuri, lunghi e ricciuti, con i boccoli che s’arricciavano intorno alla testa. Non era un bell’uomo, tanto più che nei suoi lineamenti irregolari e marcati non si scorgeva nulla dell’uomo evoluto e civilizzato del ventunesimo secolo. […] Dal suo sguardo faceva capolino una bramosia animalesca per la quale le donne raffinate e per bene provavano repulsione, ma che piaceva a un altro genere di donne, che vedevano nei suoi tratti un’attraente selvatichezza».
Questa la potente, riuscita, descrizione d’apertura del protagonista de Le avventure di un Gigolò (GalassiaArte, Ardea, 2013, pp. 156, € 15,00) di Leonardo Barbàra. Un ritratto fisiognomico che ci ha richiamato alla mente il cinema francese del realismo poetico di Marcel Carné e di Jean Gabin o le canzoni di Leo Ferrè. È, quello dello scrittore bolognese, un romanzo selvaggio e ribelle come Michael. Un’opera maudit, a volte enfatica, che sembra appartenere al decadentismo di fine Ottocento (Arthur Rimbaud), con un’aperta contestazione degli ipocriti meccanismi sociali, del conformismo, dell’ordine mondiale:«Anche questi esseri inorridenti, a dispetto della loro apparente “umanità”, nonostante non si lordino di sangue, anche quando esprimono i loro giudizi, i loro concetti di bene e di male, sono delle belve assassine nei confronti di chi è diverso da loro e non vuole essere uguale a loro».
Le avventure di Michael
La storia narrata da Barbàra è divisa in quattro parti. La prima è una sorta di autointroduzione del personaggio-io narrante; nella seconda si delinea un microcosmo sociale corrotto e viziato; nella terza il protagonista finisce per aderire alla vita e alla cultura zingara e circense; nella quarta la vicenda si complica fino al complicato e poco risolutivo epilogo.Michael oscilla tra l’esistenza dissipata e viziosa del gigolò dell’alta società e l’amore per Nicoletta, sorta di angelo salvifico. Tutto attorno, una miriade di personaggi, alcuni esotici e francamente fantastici. È presente un certo superomismo (il protagonista commette anche omicidi e ferocie varie), come si può notare dei due brani riportati nel prossimo paragrafetto.
«Ho sempre agito nella totale consapevolezza della crudeltà delle mie azioni, cioè nell’assoluta convinzione che non siano affatto cattive azioni. […] Sono certo che molti di coloro che si mostreranno scandalizzati di fronte a quello che racconterò lo faranno solo per un senso di decoro. Ma in fondo alla loro anima abitano pensieri che farebbero rabbrividire anche il marchese De Sade. […] C’è qualcuno che mi sa dire che differenza c’è tra pensare un’azione e farla? Ve lo dico io: non c’è nessunissima differenza. È solo questione di forza: chi non ha in sé la forza dell’azione, si arresta al pensiero. Per trasformare il pensiero in azione occorre qualcosa che ai più scarseggia o è assente: la sana, buona, audace crudeltà».«Il fatto che mi considerino un essere indegno, spregevole, che mi mettano alla stregua delle bestie, per me è un altissimo onore, il loro stesso giudizio mi eleva rispetto a quegli uomini totalmente asserviti a una potenza che riduce la loro vita a un’entità astratta, a una vuota bolla di sapone che fluttua nell’aria in balia del vento, senza una meta».
Il disvelamento delle “sporche” regole del mondo
Come si diceva sopra, la problematica centrale affrontata dal romanzo è la rivelazione delle ipocrite apparenze intorno alle quali ruota la nostra società:«La legge uguale per tutti è solo un pretesto per fregare impunemente il prossimo. Le leggi altro non sono che la linea di demarcazione tra coloro che stanno in alto e coloro che stanno in basso: ecco la loro vera funzione. Se in basso il diritto di uccidere si formula come follia, infamia, senso di colpa, in alto invece si formula così: “Nessuno può razziare, uccidere, compiere carneficine a parte me. Questo è un mio esclusivo diritto e chiunque scanna il suo prossimo senza il mio consenso è un criminale e verrà giustiziato con l’assenso dell’intero gregge”».
I limiti dell’opera
Tuttavia, nonostante alcuni bei brani come quelli sopra riportati e i promettenti spunti tematici, il romanzo di Barbàra finisce per cadere nel vicolo cieco del satanismo e del pregiudizio antisemita, in stereotipi e cadute stilistico-formali.Sul piano narrativo Le avventure di un Gigolò si incarta in una trama complicata e poco plausibile, in vicende irreali e incompiute. Alla fine, la storia appare inconclusa. C’è da augurarsi che l’autore trovi un maggiore equilibrio e maturità in una prova successiva a questa.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 91, luglio 2013)
Ringrazio Rino Tripodi per questa sua recensione.
Lo ringrazio in primo luogo per aver evidenziato il carattere provocatorio dell’opera, la selvaggia “ribellione” che vi si esprime in certi passi; in secondo luogo perché con questa sua critica positiva e seria mi ha offerto una nuova opportunità per confrontarmi con le persone, cosa per me molto importante, anche perché mi permetterà di chiarire la mia posizione, il mio pensiero a proposito della nostra società, della quale qui è stata dipinta la parte più perversa e malata, andando ben oltre le regole dell’estetica…
Mi fa piacere che Rino Tripodi abbia rilevato dei limiti e delle debolezze di contenuto, come il fatto che sia “caduto nel vicolo cieco del satanismo” e nel “pregiudizio antisemita”, perché così ho modo di spiegare il motivo per cui ho toccato questo dolente e spinoso argomento, che è appunto il satanismo (tratto dalla vicenda di cronaca delle “bestie di satana” e dalle testimonianze del magistrato Paolo Ferraro) e la questione ebraica, argomento quest’ultimo che non è possibile non trattare quando si affrontano le questioni di una certa portata, quelle questioni che si ripercuotono immancabilmente sulla vita dei popoli, compresa la nostra vita. E chi afferma che i sionisti e gli strati alti degli ebrei, intendo quelli che operano nel mondo della finanza e quindi della politica internazionale, “controllano il mondo” (come affermano David Duke e Gilad Atzmon e come già affermava Dostoevskij), non mente. Del resto, non occorre essere “antisemita” per affermare questo, basta leggere la storia.
Al riguardo ci tengo a precisare e a sottolineare una cosa: cioè che nulla, nel mio cuore, è più lontano dal sentimento di antisemitismo, e in me non c’è ombra di odio razziale né di astiosità nei confronti dell’ebreo in quanto razza o popolo. Se in certi fatti descritti e in certe parole, Rino Tripodi ha rilevato un “pregiudizio antisemita”, questo dipende senz’altro da una mia trascuratezza, dal fatto che non è stato possibile spiegare, in un siffatto contesto, il motivo di questa presa di posizione, che è la stessa di Nicolai Lilin e di Gabriele Salvatores. Posizione che senz’altro chiarirò nel mio saggio che pubblicherò nel prossimo autunno. E se Salvatores, nel suo film “Educazione Siberiana”, quando fa la carrellata dei poteri che dominano nel mondo con i grattacieli, mostra gli ebrei, non è certo per un pregiudizio antisemita, ma si tratta di una chiara presa di coscienza del fenomeno storico in questione.
In verità, questa mia “presa di posizione” racchiude una conoscenza profonda sul fenomeno che prendo in esame nel mio saggio – il nichilismo – questa terribile malattia che grava sulla nostra società, tanto più terribile in quanto abbiamo a che fare con una società che, a quanto pare, non ha più la forza per debellarla, tanto s’è indebolita e istupidita, tanto ne è condizionata e succube. I passi in cui si parla di complotto ebraico, della questione di Dio e della società come opera d’arte da parte di una massoneria che s’è posta il fine di dominare il mondo, derivano appunto da questa conoscenza.
Come ogni buon critico sa, per valutare correttamente un’opera d’arte, che sia un dipinto, una poesia, un romanzo, non basta l’attenta osservazione di ogni dettaglio dell’opera, bisogna conoscere il contesto storico in cui essa è nata, il percorso formativo dell’artista, su quale terreno è cresciuto e si è sviluppato, l’intento artistico che l’opera racchiude (che talora persino l’artista ignora visto che si tratta di un fenomeno psicologico di notevole portata), quali valori va a esaltare e a quali valori si contrappone, quale meta l’artista si è prefissato, che cosa vuole raggiungere e ottenere. E la stessa cosa vale per quanto riguarda il sottoscritto.
Quanti hanno letto Dostoevskij e apprezzato le sue opere ma senza capire l’uomo Dostoevskij, cioè il rapporto tra l’autore, la sua opera e la sua epoca? Sia Dostoevskij che Nietzsche sono stati ingiustamente accusati di antisemitismo, eppure chi legge attentamente le loro opere, capisce che essi non erano affatto mossi da odio verso l’ebreo. Nietzsche stesso sapeva apprezzare il talento e il genio di questa razza, che riteneva di gran lunga superiore al Tedesco, per il quale fra l’altro nutriva il più cordiale disprezzo; e quelli che l’hanno messo accanto a Hitler hanno commesso un grave torto sia contro Nietzsche sia contro la verità storica.
Se una minoranza di persone commettono dei crimini contro l’umanità, è assurdo odiare la razza o il popolo al quale quelle appartengono, dal momento che il popolo in questione è costituito in prevalenza da brave e oneste persone. Se d’altra parte Israele commette “crimini” ai danni della popolazione palestinese, come ci ha fatto sapere Vittorio Arrigoni e come affermano altri che, come lui, hanno lottato e lottano per difendere i diritti dei palestinesi, e la storia ci insegna che gli ebrei compivano attentati e rappresaglie contro la popolazione autoctona già prima della fondazione di Israele, come possiamo pretendere tolleranza e benevolenza, o che non si provi risentimento e odio nei confronti di chi ti lancia contro bombe e proiettili? Ma io, ripeto, non accuso nessuno, così come non accusava nessuno Vittorio Arrigoni (dal momento che sarebbe altrettanto stupido come accusare la storia dell’umanità), che era un uomo animato da un autentico sentimento cristiano, in confronto al quale papa Francesco, come direbbe anche Cristo, è una pietosa scimmiottatura.
Se sono “caduto nel vicolo cieco del satanismo” è appunto per descrivere un tratto caratteristico della nostra società, un tratto tipico di una società che ha perso i valori portanti e li cerca nelle forme più estreme, tratto tipico di una società in agonia alla quale andrebbe dato, quantomeno per pietà, il colpo di grazia. Parlare di satanismo è come parlare di prostituzione, di pedofilia, di criminalità, di alcolismo, di droga, di crisi di valori, di ateismo, di utilitarismo, di consumismo, di capitalismo, di “progresso”, cioè di forme esistenziali che recano in sé un grado di morbosità e che hanno una unica matrice: la forza totale che cresce e si rigenera, ciò che chiamiamo vita, quelle cose di cui non possiamo fare a meno, quelle cose che la società che si reputa “sana”, condanna ma non sempre evacua… Il satanismo è una forma estrema tipica di una società profondamente malata, così come lo è il punk, l’heavy metal e gran parte della musica, dell’arte e dei costumi giunti a noi dai nostri “liberatori”… Il satanismo è la giustificazione di una malattia di cui è affetto uno strato della nostra gioventù, la quale naturalmente non ne ha nessunissima colpa.
Il satanismo, come l’ateismo, come ogni forma di metafisica, come ogni forma di astrattismo nell’arte, come ogni forma di idealismo che aliena di per sé la volontà (il cristianesimo è quello più noto), quel moralismo borghese che vede il diavolo dappertutto tranne in se stesso – queste sono tutte forme di vita che giustificano la malattia di cui è malata la nostra società, quella società dalla quale sono fuggito per questioni di salute…
Naturalmente il lettore non sa nulla di quello che c’è dietro a questa opera letteraria, tutta la storia del dolore, della passione, del disprezzo, dell’amore, della volontà di riscatto e di superamento, insomma tutto ciò che ha accompagnato il processo dello “scrivere”. Se in un’opera non c’è tutto questo, io non la definisco arte. Io disprezzo tutta quella letteratura e quell’arte fatta solo per divertire, per strappare brividi ed emozioni, per proiettare l’essere in un mondo al di fuori della realtà, che non si prende a cuore i problemi dell’individuo e della società, i nostri problemi.
“Io odio gli oziosi che leggono.”, diceva Zarathustra, “Il fatto che sia concesso a tutti di imparare a leggere alla lunga non solo rovina lo scrivere ma anche il pensare. Ancora un secolo di lettori e anche lo spirito puzzerà.” In effetti, quando entro in una libreria, sento una puzza insopportabile, soprattutto là dove troneggiano i “best seller”.
“Non è facile comprendere il sangue altrui”, diceva Zarathustra, “Scrivi col sangue e ti accorgi che il sangue è spirito”. Il più è che in un’opera vi sia del sangue. E non certo nella maniera degli Steven King.
Ma io non aspiro a diventare “best seller” (se ciò dovesse accadere certi signori si preoccuperebbero seriamente e prenderebbero subito dei provvedimenti), non mi reputo un talento della letteratura e riconosco i miei limiti. Effettivamente mi rendo conto di aver “ecceduto”, di aver usato una forma “troppo estrema”, che ho esagerato nel descrivere certe scene… È vero, avrei potuto evitare certi spiacevoli dettagli, avrei potuto farne a meno, soprattutto quel finale… sant’Iddio, perché, perché un siffatto epilogo? E che bisogno c’era di ostentare un tale cinismo e una tale depravazione e persino con compiacimento? Perché rendere la rappresentazione così ingrata, così poco digeribile? E quanti altri simili rimproveri ho ricevuto e riceverò per aver superato quel limite che non dovevo superare!
Del resto, come s’indovina dal beffardo monologo con cui il protagonista esordisce, non è l’odio, né il risentimento, né lo schifo che parla, ma un uomo (cioè l’autore) che s’è scrollato di dosso la sua poco umana “umanità”, che ha superato molte cose pessime e cattive che fanno parte della nostra società. A parlare è un uomo che si è preso a cuore i problemi che affliggono la nostra società, gli stessi problemi che si sono presi a cuore i Forconi, il Movimento 5 Stelle, Forza Nuova, il magistrato Paolo Ferraro, la Monia Benini, la Cinzia Undiemi, la Maria Rita D’Orsogna, e tanti altri movimenti sorti spontaneamente dal popolo, e la lista è lunghissima…
Qui a parlare non è soltanto una necessità, una volontà di riscattarsi da una situazione penosa, ma una passione viva e ardente, un amore profondo, il desiderio, in parte realizzato e in via di sviluppo, di un ritorno alla natura, alla sacralità verso la natura – e non certo nella maniera dei circensi descritta in questo romanzo. Osservando questo mondo così poco naturale, così poco sano, che ha perso ogni naturalezza d’istinto, che non ha più il senso del sacro per la natura, un’artista che di fronte a questo mondo non senta un impulso a purificarlo e a sublimarlo, sia dentro che fuori di sé, a cercare e indicare una via di guarigione e di redenzione, questo artista non lo reputo tale ma parte integrante di questo mondo che va sempre più imputridendosi.
Vero è che si deve cominciare dalle piccole cose, e già queste richiedono un notevole sforzo. Io credo che i mezzi termini siano ininfluenti di fronte a questa potenza che saccheggia, devasta, deturpa, strozza nazioni e popoli. Di fronte ai problemi, intendo quelli che si presentano in carne e ossa, il solo modo per risolverli sono quelli che lo Stato porta in tribunale e condanna con la massima pena, col tacito consenso delle pacifiche greggi. Non conosco altri modi. E chiunque prenda distanza da questa radicale presa di posizione, non fa un buon servizio alla causa del popolo e non opera se non come ritardatore della crisi, come inconsapevole appendice della potenza in questione.
Come si capisce leggendo questi due documenti (http://blogleonardo.123homepage.it/202017548 e
http://blogleonardo.123homepage.it/202017556), non ho certo scritto questo libro semplicemente per diventare “scrittore”, ma perché nutro un profondo amore per l’Arte e per la Cultura, e chi ne comprenderà il significato, capirà anche contro che cosa combatte questo libro: cioè contro la stessa potenza che sta distruggendo la nostra cultura, la nostra economia, il nostro ambiente, che sta annichilendo le energie vitali degli individui e dei popoli europei.
Ora mi sto adoperando per promuovere e diffondere questa opera, che non vuole essere semplicemente un “evento letterario”, un oggetto di intrattenimento e di divertimento, ma si rivolge a quelle persone e a quegli artisti che sono veramente interessati e hanno a cuore le stesse problematiche, il destino della nostra Cultura, del nostro disastrato Paese e dei nostri figli.
Anche l’Arte infatti deve fare la sua parte per cambiare questo Paese e dargli un aspetto, diciamo così, più audace, più battagliero, più risorgimentale, insomma Italiano. Anche gli Artisti devono partecipare attivamente alla lotta, unitamente alle altre forme di lotta, contro questa potenza nichilista che calpesta e schiaccia impietosamente ogni impulso individuale, che è nemica di ogni cosa che è autentica, di ogni eredità, di ogni tradizione e dare in qualche modo il proprio contributo per riscoprire i valori della nostra antichità, della nostra cultura schiettamente nazionale e popolare.
Ringrazio l’autore per la lunga e puntuale precisazione.