I livelli di lettura dello scintillante romanzo fantasy di Anna Marani
La vicenda di Malìa, tra visioni al femminile e “virtù sociali”, questo il titolo dell’Introduzione di Rino Tripodi a Malìa d’Eurasia, primo romanzo di genere fantasy di Anna Marani (collana La scacchiera di Babele, Edizioni di LucidaMente, pp. 196, € 14,00).
Lo ammetto. Il genere fantasy non rientra tra i miei preferiti. Conservo ancora sugli scaffali della mia biblioteca, nel mare magnum dei “buoni propositi dei libri da leggere e mai letti”, Tito di Gormenghast di Mervyn Peake e persino Lo hobbit di Tolkien. E, seppure innamorato del più orrorifico Lovecraft, non nascondo che mi annoia la sua produzione marginale ad imitazione di Lord Dunsany. Inutile aggiungere che, anche sullo schermo, Il Signore degli Anelli mi lascia indifferente e aborro il maghetto Harry Potter, le cui vicende hanno reso felice soprattutto la sua autrice – leggasi conto in banca.
Queste vicende interminabili, questi nomi improbabili – esotici e quasi impronunciabili -, questi mondi “analoghi” alla Terra, queste ridicole pratiche magiche, questa eterna e scontata lotta tra Bene e Male, queste creature mostruose, ma grottesche più che spaventose – volete mettere Alien? -, non riescono ad avvincermi. Li trovo stucchevoli.
Eppure, il romanzo di Anna Marani…
Quella certa sensibilità sociale…
Intanto, non è un caso che una delle immaginarie compagini statali esistenti nel libro della scrittrice sia Eurasia, vale a dire lo stesso nome di uno dei due continenti – l’altro è Estasia – contro cui appare in guerra la totalitaristica Oceania nell’allucinante e fosco 1984 di George Orwell.
Questa denominazione, certo non casuale, ci vuol fare intendere che anche il regime da cui proviene la principessa-protagonista – apertamente definito “autocrazia” – è percorso dalla tirannide e dall’ingiustizia sociale. Pertanto, nessuna “manichea” suddivisione tra Bene e Male, tra buoni e cattivi, ma una interessante mescolanza, continui ribaltamenti, improvvisi stravolgimenti. Il punto di vista ideologico, quindi, non è fisso, ma mobile.
In pochi romanzi come in questo ho avvertito non solo il senso di ingiustizia, provato dai “cattivi” di fronte alle angherie subite da parte del Potere o dei “normali”, ma anche il senso di giustizia, cui essi tendono in modo straordinario – specialmente Mindares – e che l’autrice è bravissima a farci percepire con autentica partecipazione.
Al contempo, la nutrice Lita, che accompagna la protagonista nella prima tappa verso un mondo ben diverso da quello in cui era fino allora vissuta, afferma che: “Lo scopo che Kala-ja si prefigge è di dare a tutti una buona ragione per amare questo paese, debellando la povertà, tanto per cominciare”. Beninteso, è un uomo leone a porsi questo obiettivo, non un umano.
E Malìa, vedendo cadere una delle sue certezze, pensa che: “Il popolo deve amarlo molto… […] mentre l’idea che si era fatta di un paese selvaggio e arretrato cominciava a incrinarsi alla base”.
Malìa d’Eurasia, insomma, non ha messaggi del tutto tranquillizzanti da proporre.
Del resto, lo stesso titolo contiene una certa ambiguità: se Malìa è il nome dell'”eroina”, la parola significa anche fascino, forza di seduzione, incanto, o incantesimo, magia, o, peggio, maleficio, seguito di sventure…
Il romanzo di formazione di Malìa
Il romanzo della Marani è anche il Bildungsroman della protagonista, personaggio dinamico sotto più aspetti.
Presentata come una giovane nobildonna, viziata, capricciosa, romanticheggiante, e con qualche pregiudizio addirittura di tipo “razzista”, nel prosieguo della storia cambierà radicalmente.
Da lontana dalla realtà a consapevole della durezza del mondo, da aristocratica a cosciente delle problematiche sociali, da molle signorina viziata a guerriera, da giovinetta a moglie e madre… Vi sembra poco il suo percorso?
Qual è il principale segreto di questa metamorfosi, di questa crescita? La sensibilità di Malìa, il fatto che mantenga sempre una mente aperta e pronta a mutare le opinioni-pregiudizi precedenti.
Infatti, affermerà ben presto: “Quest’essere mezzo uomo e mezzo bestia mi ha impartito una bella lezione di umanità. Chi se l’aspettava…”.
Vilain, che passione!
In realtà, quanto più notevoli i “diversi” rispetto ai piatti “normali”!
Di più: la mia antica tesi è che i “cattivi” abbiano non solo più fascino dei “buoni” e siano più “interessanti”, ma siano anche più meritevoli di un successo e di un trionfo che non arriveranno mai…
Guardiamo qualche caso classico: il dottor Frankenstein, l’abominevole dottor Phibes, lo scienziato de La mosca o il Rotwang di Metropolis, l’uomo invisibile, il fantasma dell’Opera, lo scienziato di Dr. Cyclops, persino gli antagonisti dei vari 007. Autentici geni, capaci di inventarsi veri capolavori, monumenti non alla follia, ma alla creatività umana, forse un po’ stravolta, eccessiva, senza freni.
Eppure essi sono derisi, a volte emarginati dalla massa, rifiutati, respinti, certamente sfortunati. La gente “perbene” si ostina a definirli “scienziati pazzi”, mentre l’azione di questi ultimi si scontra più con la contrarietà del fato e degli umani che con i propri presunti velleitarismi o incapacità. La loro colpa maggiore è di essere sregolati e trasgressivi, di andare alla ricerca dell’assoluto, del proibito, dell’inconcepibile… e questo la società conformista non può tollerarlo. A ciò si aggiunga, spesso, il desiderio di rivalsa o di vendetta o, a volte, l’aspetto infelice.
Quanto noiosi, rispetto al vilain, gli “eroi buoni”, incapaci di comprendere la grandezza dei loro avversari, a tal punto da ironizzarne le doti; per non parlare delle compagne degli eroi “positivi”, sciocchine e banali!
Anche in Malìa i due malvagi, Anteros e Mindares, sono effettivamente cattivi e disgustosi, compiono azioni funeste, tuttavia sono stati gli altri, i “normali”, a indurli al male, attraverso atti crudelissimi e spietati.
Malìa, che ha già imparato una lezione di politically correct da Kala-ja, in effetti è uno dei pochi personaggi a comprendere, almeno in parte, le “ragioni” di tali “diversi”.
Gli incroci obbligati del genere letterario (e della cinematografia)
Certo non tutti i personaggi, né tutta la vicenda si presentano sotto la cifra dell’inaspettato. Molti personaggi, volutamente tipizzati, non cambiano nel corso della storia la loro personalità, al contrario, come abbiamo detto, di Malìa e Mindares.
La Marani conosce bene il genere fantasy, come dimostrano le dodici puntuali citazioni poste a mo’ di epigrafe all’inizio di ciascuna delle dodici parti in cui è diviso il romanzo. E, pertanto, ne utilizza a piene mani i topoi narrativi, i loci communes.
Dai personaggi-tipo, a tutto tondo: Lita, saggia e comprensiva; Kala-ja, forte e generoso; la Regina Maga, fedele e lucida; Tartaglia, miserevole e candido; ecc. Alle funzioni e snodi narrativi: il viaggio, l’attentato, la cattura, il tradimento, il pentimento, la magia, la battaglia finale, la resurrezione… Fino agli stessi elementi micronarrativi: carcere, tempesta, laboratori alchemici, crolli, esseri deformi, draghi, morti viventi, il grandguignolesco.
Inoltre, le ormai classiche funzioni attanziali (protagonista, antagonista, oggetto, aiutante, destinatore, destinatario) sono quasi perfettamente rispettate.
Qualche influenza viene a Malìa pure dal cinema: alcuni dialoghi, la stessa sequenza dei capitoletti, corrispondente all’incirca agli stacchi di un’eventuale sceneggiatura per film, i “movimenti” scenografici da macchina da presa.
Gli archetipi universali
Interessanti, pur nell’ambito del genere, alcuni archetipi che fanno parte – Jung docet! – del nostro inconscio collettivo.
Così, abbiamo l’ancestrale senso di attrazione-repulsione verso il rapporto con gli animali, la paura dell’ibrido. Malìa, nella sua vicenda sentimentale con Kala-ja, ben rappresenta tale recondita pulsione, che trova – com’è noto – la sua più poetica e riuscita realizzazione ne La Bella e la Bestia di Perrault, col suo seguito di infinite variazioni e trasposizioni letterarie e non.
Un archetipo, forse più femminile che maschile, così come tanti elementi del romanzo: l’amore appassionato, la fedeltà anche post mortem della Regina Maga, i sottili palpiti che preannunciano l’esplosione della passione.
Infine, nel “rěve éveillé” della Regina Maga, troviamo un interessantissimo susseguirsi di simboli (X, 1):
“La figura che cavalca il grifo” spiegò “è Selena, la dea della luna, custode della magia. L’altra, ammantata di nero, sul drago d’ombra, è Schyte, colei che miete, la signora della morte. Quest’uomo biondo che assiste dall’alto è Solàthio, dio della vita. E quaggiù,” notò, indicando un uomo dalle vesti bianche, che reggeva una spada e una bilancia, “quaggiù c’è Warrior, arbitro e giudice della battaglia, il dio delle guerre giuste. E vedete il bambino che si aggrappa alle sue vesti? L’innocenza nel nome della quale dovrebbe essere combattuta qualsiasi battaglia”.
Gli intrichi del mosaico
Entro la scrittura pulita della Marani, sempre misurata, si innestano varie tessere, a formare un mosaico complessivo armonioso.
Soprattutto nella prima parte dell’opera, molte sono le sequenze dedicate alle riflessioni della protagonista, al suo approfondimento psicologico, alla sottile trama dei suoi delicati e ansiosi pensieri, di fronte a un mondo per lei sconosciuto. Così pure quelle riservate al pudico corteggiamento, alle schermaglie, ai palpiti amorosi.
Molto efficace, qualche pagina dopo, è la descrizione degli elementi della natura in tumulto (II, 4):
“Una notte senza luna, una notte in cui in tutta Eurasia risuonava dell’abbaiare forsennato dei cani, del volo convulso di stormi di uccelli che si sollevavano improvvisamente dagli alberi, in massa, lanciando alte grida. Una notte in cui, mentre i mari arretravano e la terra cominciava a tremare nel profondo, ogni suono si era spento e il mondo era parso restare, muto e con il cuore in gola, in attesa della fine imminente.
Poi lunghe crepe avevano preso a percorrere la superficie d’Eurasia, mentre le acque si rovesciavano ruggendo sulle sue coste e i venti battevano spietatamente alberi, case e montagne. Per qualche istante fu come se la terra intendesse inghiottire il mondo degli umani, e uomini, bestie, carri e case venivano divorati dal sottosuolo, schiacciati dalle rocce che sprizzavano, incandescenti, dalla cima delle montagne, e percossi e annegati dalle acque ribollenti di mari e fiumi”.
Bello il tono fiabesco della storia della Regina Maga in III, 3:
“Si dice che quando Ta-kala morì, ella, pazza di dolore, si ritirò nella torre più alta del palazzo. Da allora il suo scopo è trovare un incantesimo che riporti in vita il suo perduto amante”.
Da horror, anzi da splatter, alcuni brani come il seguente (III, 6):
“Esseri macilenti e privi d’intelletto precedevano l’arrivo dell’Armata Maledetta, aprendole la strada. Ululavano, barcollando in modo grottesco su gambe in decomposizione. Migliaia di creature putrescenti, cenciose, incrostate di sangue secco, alcune coi toraci orrendamente dilaniati, altre con i bulbi oculari a penzoloni su zigomi sfondati brulicanti di vermi… Una oscena massa in movimento, annunciata dal fetore insopportabile della cancrena”.
Troviamo inoltre avventura, azione, peripezie, colpi di scena e duelli, nel corso dei quali gli spunti fantastici e il funambolico baluginare di creature, vicende, scenari, pervengono a magiche luminescenze, atmosfere sospese, diafani e inquieti territori, sicché abbagliamenti e prodigi travolgono i pulviscoli incommensurabili delle rifrazioni delle cose reali…
L’immagine: la copertina del romanzo di Anna Marani, con l’illustrazione Evasione (tecnica mista pastello e acquerello) di Germana Luisi.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno II, n. 3 EXTRA, supplemento al n. 13, 15 gennaio 2007)