Dop, Igp, Sgt, Doc, Docg e Igt: le sigle per chi sceglie prodotti di qualità. Breve decalogo delle eccellenze enogastronomiche italiane
Quando l’appetito sfrenato chiama è facile cadere in tentazione e optare per alimenti a basso costo e di scarsa qualità (vedi anche “Food Porn”: da dove nasce la mania di fotografare il cibo). Tuttavia, c’è chi, anche al supermercato, preferisce acquistare prodotti certificati. Igp, Doc, Sgt: sono solo alcuni degli acronimi che si possono trovare sulle etichette, anche se in pochi conoscono il loro vero significato.
Si tratta di certificazioni agroalimentari e vitivinicole, riconosciute dalla Comunità europea e rilasciate da enti preposti, autorizzati dal Ministero delle Politiche agricole. Garantiscono al consumatore la provenienza geografica originale del prodotto e che il metodo di produzione sia conforme a specifici standard qualitativi. Nel settore agroalimentare i marchi di qualità si distinguono in Dop, Igp e Sgt. La sigla Dop (Denominazione di origine protetta) certifica che l’alimento è stato interamente lavorato nel luogo di origine delle materie prime. Ne sono un esempio la mozzarella di bufala campana, l’aceto balsamico di Modena e il parmigiano reggiano. Per ottenere il marchio Igp (Indicazione geografica protetta) è sufficiente che almeno una tra le fasi di lavorazione si svolga in un’area specifica. Ad esempio, la carne per confezionare lo speck Alto Adige può provenire da tutta Europa, ma i processi di stagionatura e affumicatura devono avvenire nel territorio altoatesino. Appartengono a questa categoria anche il radicchio rosso di Treviso, il lardo di Colonnata e i limoni di Sorrento.
Meno restrittive le norme per il marchio Sgt (Specialità tradizionale garantita), caratterizzato da uno scarso legame con il territorio d’origine. Il luogo di produzione è ininfluente, ciò che conta è che venga rispettata la ricetta tradizionale. In Italia gli unici alimenti ad aver ottenuto la certificazione Sgt sono la mozzarella e la pizza napoletana.
Per quanto riguarda il settore vitivinicolo le qualifiche nazionali Doc, Docg e Igt – in seguito alla riforma dell’Organizzazione comune del mercato del 2010 – sono state assorbite dai marchi europei Dop e Igp. Comunque, sulle etichette la dicitura europea e quella nazionale possono coesistere. I vini Igt (Indicazione geografica tipica) sono prodotti in aree geografiche piuttosto estese come regioni o province. Se ne contano 118 e ne sono un esempio l’Arghillà calabrese o il Bianco di Castelfranco Emilia. Il marchio Doc (Denominazione di origine controllata) comprende 332 prodotti italiani tra cui il Chianti, il Dolcetto d’Alba e il Falanghina e può essere riconosciuto ai vini Igt da almeno cinque anni. Devono possedere precise caratteristiche organolettiche ed essere prodotti in aree circoscritte. La certificazione Docg (Denominazione di origine controllata e garantita) rappresenta il marchio più pregiato ed è riservato ai vini Doc da almeno dieci anni. La produzione viene sottoposta a numerosi esami organolettici che certifichino il rispetto dei requisiti. Tra i 74 vini italiani Docg figurano il Brunello di Montalcino, il Conegliano Valdobbiadene e il Greco di Tufo.
Il nostro Paese ha ottenuto il primato nel settore delle indicazioni geografiche tipiche e, con 500 marchi di qualità nel vitivinicolo e 280 nell’agroalimentare, copre il 25% delle certificazioni ottenute nell’intera comunità europea. L’Emilia-Romagna è tra i centri più proficui a livello mondiale, contando ben 44 prodotti di qualità certificata.
Recentemente questa Regione ha aderito alla Dichiarazione di Bergamo, un’iniziativa promossa dal G7 Agricoltura, impegnandosi a sostenere e difendere le produzioni Dop e Igp del territorio. Inoltre, da poche settimane, a Bologna, che non ha caso porta il soprannome di “grassa”, ha aperto il Fico (acronimo di Fabbrica italiana contadina; vedi anche Mangiare a Bologna sarà più Fico?), un grande parco a tema agroalimentare dove le eccellenze della tradizione emiliano-romagnola godono di uno spazio privilegiato. Potrebbe essere la giusta occasione per apprezzare i prodotti certificati regionali e fare qualche provvista “consapevole” in vista dell’inverno. E forse ci saranno meno rimpianti nel cedere a una tentazione, ma di maggior gusto e qualità. Buon appetito!
Alessia Giorgi
(LucidaMente, anno XII, n. 144, dicembre 2017)