Nata nel 2006, e divenuta virale a seguito del caso Weinstein, l’organizzazione viene definita dalla rivista “Time” come «il cambiamento sociale più veloce degli ultimi anni»
Sono le silence breakers a essere “persona dell’anno” 2017, secondo la rivista statunitense Time. Rompere il silenzio sulla violenza contro le donne: questo il fine che si pose Tarana Burke quando, nel 2006, fondò il movimento Me too (“anch’io”). Ed è lo stesso scopo delle attiviste che lo hanno poi reso virale attraverso l’hashtag #MeToo, scelto per raccontare sui social le proprie storie di abusi e soprusi e per invitare tutte le vittime a unirsi al coro, mostrando quanto il fenomeno sia pervasivo.
Il movimento è diventato celebre sulla scia del caso di Harvey Weinstein, influente produttore cinematografico americano che, a partire dallo scorso ottobre, è stato accusato di molestie sessuali da più di sessanta attrici hollywoodiane o aspiranti tali (leggi anche Caso Weinstein, Hollywood mai più come prima). Dalla scoperta della rete di abusi si è avviata una catena di solidarietà verso le vittime: centinaia di migliaia di donne – e anche alcuni uomini – da ogni parte del mondo hanno usato questo mezzo per raccontare le proprie esperienze in merito. In poco tempo, da «un atto di coraggio individuale», #MeToo è diventato «una sorta di resa dei conti collettiva», come si legge sul Time di dicembre 2017. L’imbarazzo, la paura di ritorsioni o del giudizio degli altri: sono molte le ragioni che possono frenare il racconto di episodi simili; ma evidentemente il clamoroso numero di risposte all’appello ha dato forza anche ai più remissivi, che hanno poi seguito l’esempio. «Non sei sola», «È capitato anche a me»: questo il senso del messaggio di vicinanza e sostegno che le vittime si stanno scambiando l’un l’altra, come si legge anche nel sito ufficiale del movimento.
Ciò che è emerso dalla sorprendente diffusione degli hashtag #MeToo è la natura ancora profondamente maschilista della società odierna. Le violenze avvengono al lavoro, in casa, sui mezzi pubblici, lungo la strada; le donne sono costrette a non potersi sentire sicure praticamente in nessun luogo da loro frequentato. Per tale motivo la scelta del Time è un buon riconoscimento a chi, pur di tentare di cambiare la situazione, ci ha letteralmente “messo la faccia” (vedi anche Il movimento #MeToo è la “persona dell’anno” 2017).
«Si tratta del movimento di cambiamento sociale che si è mosso più velocemente negli ultimi anni – spiega il direttore del giornale Edward Felsenthal – […]. Queste silence breakers hanno dato il via a una rivoluzione del rifiuto, acquistando forza giorno dopo giorno, e negli ultimi due mesi la loro rabbia collettiva ha provocato risultati diretti e sconvolgenti: quasi ogni giorno amministratori delegati sono stati licenziati, uomini potenti sono crollati, icone sono cadute in disgrazia. E in alcuni casi sono partite anche accuse penali». La scelta del Time è carica anche di un altro valore simbolico: non di rado, a seguito di una violenza subita da una donna, opinione pubblica e media tendono in qualche modo a colpevolizzare la stessa, ponendo l’accento sul suo comportamento durante la serata in questione, se era ubriaca, come era vestita (leggi anche Donne disabili, discriminazione e violenza).
Nel caso Weinstein si è assistito a un esempio del genere quando l’attrice italiana Asia Argento ha denunciato che il produttore l’aveva stuprata a 21 anni e le sue parole sono state messe in dubbio da tanti (leggi Scandalo Weinstein: Asia Argento, «doppiamente crocifissa», scappa a Berlino). Essi hanno obiettato che la donna stesse mentendo per farsi pubblicità, arrivando addirittura a sostenere che la Argento non era stata vittima, ma complice di Weinstein (vedi anche La discriminazione delle donne in Italia). Con la sua assegnazione, il Time sembra comunicare nettamente da che parte sta e le migliaia di donne del movimento ringraziano.
Le immagini: Ashley Judd, Susan Fowler, Adama Iwu, Taylor Swift e Isabel Pascual, alcune delle attiviste di Me too, nella copertina di dicembre 2017 della rivista Time (credits Ansa) e un disegno per il movimento (tratto da www.thatsalltrends.com).
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 145, gennaio 2018)