In poche settimane, in rapida successione, sono usciti i dischi di Giovanni Succi, Malmö, Luciano Panama e Giacomo Toni. Con l’utilizzo della madrelingua
Da tempo gli artisti e gli stessi cantautori della scena indipendente italiana sono soliti utilizzare l’inglese per i loro testi. I motivi li conosciamo tutti: ragioni di mercato, ma anche di musicalità. E, a nostro parere, i risultati sono spesso ottimi. Tuttavia, c’è anche chi continua a produrre nella nostra madrelingua. E, nelle ultime settimane, tra settembre e ottobre, molte uscite sono state caratterizzate da questa scelta.
“Maledetti”, con aperto riferimento a Bukowski (anche se spesso intrisi di teneri ricordi), sono gli undici brani di Con Ghiaccio di Giovanni Succi. Prodotto da La Tempesta Dischi, è il terzo disco dell’artista di Nizza Monferrato (Asti), ma il primo di inediti; gli altri due lavori, infatti, erano l’uno riletture di poesie di Giorgio Caproni, il secondo un tributo a Paolo Conte, altro astigiano doc. In questa nuova creazione, Succi, con la propria voce sofferta, dai toni bassi, trasmette rabbia (Tutto subito) o racconta elegiaci episodi autobiografici (Il giro). Provocatorio e ironico quanto affabulatorio è il componimento d’apertura, Artista di nicchia. Le parole fanno a gara con la musica, a volte sottomettendola alle esigenze liriche. Più godibile l’ascolto di altre tracce “marine”, come Remo e Arriveremo in pedalò.
Sono invece al loro album d’esordio i Malmö, band campana. Manifesto della chimica romantica (dieci canzoni; produzione Manita Dischi) è il titolo adatto per un disco caratterizzato da toni dolci, testi trasognati (I treni e le scie), lunghe parti strumentali, a volte lente, a volte veloci, talora dall’impronta da rock progressive. L’originale utilizzo del glockenspiel affascina l’ascoltatore. Il principio di Archimede, con le sue variazioni, è forse la traccia più adatta per cogliere la duttilità e la varietà dei Malmö. Entusiasmanti sono i climax di Jules Verne e Senza macchie. Ricordiamo che il gruppo è costituito da Daniele Ruotolo (voce e chitarra); Vincenzo De Lucia (pianoforte e chitarra), Marco Normando (basso e cori), Vincenzo Del Vecchio (batteria e glockenspiel).
Tipicamente da cantautore-rock sono i timbri di Luciano Panama, anche lui al suo primo album da solista: Piramidi (La Dura Madre Dischi). Il messinese si rivela artista da one man show. Infatti, negli otto componimenti, fa tutto lui: batteria, basso, voce, chitarre, synth, organi, piano, percussioni, elettronica, effetti e suoni vari. Fanno eccezione i contributi di Giovanni Alibrandi (bel violino in L’osservatore, Come aria e Messina guerra e amore) e di Matteo Frisenna (tromba in Hey My). Da ascoltare con amore la melodia di Man. Il quinto brano è etereo Come aria. Intimamente malinconica e “confidenziale” è Gente del presente. In Messina guerra e amore traspare in modo netto la passione tormentata di Panama per la propria città.
E concludiamo con il politicamente scorretto album – il primo, dopo vari autoprodotti – di Giacomo Toni, originario di Forlimpopoli (Forlì-Cesena) e quindi saldo e caldo romagnolo, nonché inventore del piano-punk. Infatti, nelle nove tracce di Nafta (etichetta Brutture Moderne), afferma solennemente lo stesso autore, ci «si pone l’obiettivo di rappresentare lo scintillio della provincia contemporanea. L’unica cosa che chiediamo è di dare una possibilità alla musica eterosessuale». Basta sdolcinatezze e intellettualismi: un disco “sporco” per la gente comune, canzoni che non parlano di amore, ma di emarginazione, solitudine, vita frenetica, prostituzione, lavoro, umiliazioni, follia, eroina, polizia anomala. Suoni ruvidi (Lo strano) e distorti (A nessuno), scatenati (Codone lo sbirro) o indolenti (Inchiodati a un bar), rabbie (non) represse, frustrazioni, solitudini non cercate. Il tutto condito da tanta ironia e autoironia (Il porco venduto che sono).
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 143, novembre 2017)
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