«Caro Vincent…»: l’ultimo capitolo del libro-diario del dottor Chaussoy
Una storia drammatica e struggente, eppure dominata dall’umanità e dall’altissimo senso della dignità e della libertà umana. E’ il caso di eutanasia del giovane Vincent Humbert, visto attraverso la commossa e sofferta rievocazione, attimo per attimo, da parte del dottor Frédéric Chaussoy, che ha assistito il paziente nel suo percorso, nella scelta finale e negli ultimi attimi della sua vita.
Vincent, pompiere volontario di diciannove anni, la sera del 24 settembre 2000 ha uno scontro frontale con un camion e dopo nove mesi di coma si sveglia tetraplegico, muto e quasi cieco. Nonostante gli atroci dolori, con l’aiuto del pollice riesce a scrivere una supplica al presidente Chirac – Le chiedo il diritto di morire – che scuote l’opinione pubblica e poi a dettare un libro con lo stesso titolo (pubblicato in Italia dall’editore Sonzogno). Lo aiuteranno – nel terzo anniversario dell’incidente – la madre Marie e il dottor Chaussoy.
Una vicenda straziante e ricca di speranza al tempo stesso, che ha coinvolto la gente comune (100.000 copie vendute in Francia), la quale ha sostenuto massicciamente la scelta congiunta di paziente, madre, medico. Una storia simile per molti versi a quella vissuta da Piergiorgio Welby e dal dottor Mario Riccio, ma che, contrariamente al nostro Paese, ha sollevato la questione sul piano politico, permettendone un avanzato e civile dibattito legislativo. L’autore del libro Je ne suis pas un assassin, edito in Francia da Oh! editions (l’edizione italiana è Non sono un assassino. Il caso “Welby-Riccio” francese, a cura di LiberaUscita, associazione per la legalizzazione del testamento biologico e dell’eutanasia, Prefazione di Mario Riccio, Introduzione di Giancarlo Fornari, inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 176, € 10,00), è stato responsabile del servizio di rianimazione dell’Ospedale eliomarino di Berck-sur-Mer. Nel febbraio 2006 il giudice istruttore lo ha assolto da ogni accusa per il suo comportamento in relazione al caso Vincent Humbert. Anche la madre, incriminata per concorso in omicidio, verrà assolta dal giudice istruttore.
Del libro riportiamo il commovente capitolo finale Caro Vincent… nel quale il medico si rivolge a Vincent.
La bellezza del testo è resa efficacemente dalla traduzione di Christiane Krzyzyk.
Caro Vincent,
tutti i giorni penso a te e tutti i giorni mi parlano di te. Non ti conosco, ma ti conosco benissimo. Possiamo perfino dire che in poche ore sei diventato una delle persone più importanti della mia vita…
Marie-Christine pensa che il caso non esista e che, se la mia strada ha incrociato la tua, sia stato perché ero pronto. Allora, ecco, incasso senza batter ciglio. Incassiamo, tutti. Non ti nascondo che ne avrei fatto volentieri a meno. Non te l’ho mai nascosto, d’altronde. Non ho mancato di rimproverartelo, a volte copiosamente: hai portato un bello scompiglio nella mia vita.
Io, ero un medico di provincia, ben tranquillo, navigavo felicemente tra la mia cara famiglia, che amo meglio che posso, il mio lavoro, che esercito con cuore e passione, i miei amici, con i quali mi sforzo di non mancare una sola occasione per divertirmi, e i miei percorsi di golf, che, lo confesso, a volte diventano un po’ un’ossessione. Una vita senza storia.
E poi, ecco, proprio un anno fa, la tua traiettoria ha incrociato la mia e hai dato un gran calcio nel mio piccolo formicaio…
Ho ricevuto migliaia e migliaia di segni di sostegno. Giornalisti, politici, militanti, tutti chiedono il mio parere sull’eutanasia, la fine della vita, il suicidio assistito… Fino a quando le nostre strade non si sono incrociate, io, di parere, non ne avevo proprio. Mi accontentavo di fare il mio lavoro, il meglio possibile…
La tua morte è stata come un rivelatore. Non mi ha cambiato più di tanto, ma mi ha costretto a dare dei nomi, chiari e precisi, a tutto ciò che compone la mia esistenza da sempre, e di cui non avevo mai avuto bisogno di parlare.
Ho visto, innanzi tutto, a che punto la amo, questa vita.
Ho visto anche quanto amo mia moglie e i miei figli, e che per loro saprei spostare montagne, come tua madre ha fatto per te.
Ho contato i miei amici, quelli veri, e ho capito a che punto sono ben circondato. Mi sono perfino scoperto qualche nemico, abbastanza stupido o geloso da immaginare che abbia fatto tutto questo con l’unico obiettivo di apparire in televisione!
Ho capito anche quanto tenga a che i miei pazienti continuino ad essere il centro assoluto del mio lavoro di medico, e quanto sia importante che i malati restino il centro assoluto della medicina, in generale.
Rimango convinto che si può essere un cittadino onesto e aggirare la legge. Ma mi sono accorto che far cambiare la legge è di gran lunga una soluzione migliore.
D‘altronde, ho l’impressione che la questione sia ben avviata. Se tutto va bene, entro la fine dell’anno, le cose andranno un po’ avanti. Un po’, ma non abbastanza.
E’ tempo che si parli finalmente della morte, senza nascondersi dietro le parole.
E’ tempo che si possa rispondere a persone come te qualcosa di diverso da: “Mi dispiace, non ne ho il diritto”.
E’ tempo che si impari a rispettare le volontà dei malati, anche quando ci disturbano.
E’ tempo che non si scarichino più sui medici delle domande alle quali nessuno sa o vuole rispondere.
E’ tempo che la legge cessi di punire coloro che fanno il loro mestiere con riguardo e umanità.
Ed è gran tempo che si cerchino seriamente delle soluzioni a tutto ciò. Troverò, troveremo. La tua storia – la nostra storia – ha fatto riflettere migliaia di persone. Sono sicuro che, già ora, ha aiutato certi genitori, certi medici, a prendere serenamente delle decisioni gravi.
Te lo ripeto, Vincent, penso spesso a te. Dalla tua morte, altri sono morti nel mio reparto. Nel rispetto e nella dignità, come te. Ma anche nella calma e nella tranquillità, lontano dalle telecamere e dalla confusione. E’ così che deve accadere, senza che nessuno debba avere più delle noie.
Ecco, caro Vincent. Non ho mai incrociato il tuo sguardo, né sentito la tua voce. Ma spero che la mia, facendo eco alla tua, e mescolata a tante altre, riecheggerà abbastanza forte per fare cambiare le cose. E che il giorno in cui ci incontreremo veramente, lassù o altrove, potremo dirci che tutto ciò non è stato fatto invano.
(da Non sono un assassino. Il caso “Welby-Riccio” francese di Frédéric Chaussoy, Prefazione di Mario Riccio, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
Eva Brugnettini
(LucidaMente, anno III, n. 10 EXTRA, 15 gennaio 2008, supplemento al n. 25 dell’1 gennaio 2008)
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