La mostra inaugurata il 9 maggio al Museo Morandi di Bologna (Piazza Maggiore 6), che ha come oggetto e protagonista il lavoro di Filippo de Pisis (1896-1956), si concentra sull’ultima stagione pittorica dell’artista ferrarese, compresa tra il 1940 e il 1953. Visitabile fino al 19 luglio 2009 (martedì-venerdì 9,00-18,30; sabato, domenica e festivi 10,00-18,30), “Alla dolce patria”: il ritorno in Italia di Filippo de Pisis (a cura di Fabrizio D’Amico) nasce in virtù della partnership instaurata tra il MAMbo-Museo d’Arte moderna di Bologna, Ferrara Arte e le Gallerie d’Arte moderna e contemporanea di Ferrara.
L’esposizione – Ventisei tra dipinti e disegni provenienti dalle donazioni Malabotta e Pianori e appartenenti alle collezioni delle Gallerie d’Arte moderna e contemporanea di Ferrara occupano le due sale centrali del museo. La rassegna ha seguito a distanza ravvicinata un’altra mostra, Morandi. L’arte dell’incisione (curata da Luigi Ficacci), tenutasi a Palazzo dei Diamanti a Ferrara fino al 2 giugno 2009 e proprio per questo “si pensava fosse un anno morandiano, con la grande mostra di New York che ha unito uno dei monumenti più celebri di Ferrara a New York – ha ricordato Gianfranco Maraniello, responsabile del MAMbo -, eppure la mostra di Ferrara si è aperta proprio quando era in corso quella a Bologna di Giorgio Morandi”.
Città creative, anche per i sindaci – Anche l’intervento dell’uscente sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha rilevato che “nell’immaginario collettivo questa iniziativa è la dimostrazione della collaborazione tra due città che promuovono cultura e arte attorno a eventi importanti, con più economia e attività di servizio per rispondere alle esigenze dei cittadini, come la recente unione delle due aziende di trasporto di Bologna e Ferrara”. Morandi e de Pisis rappresentano le storie di due città importanti, luoghi distinti ma non lontani tra loro. Messa in relazione la diversità, il dialogo tra dimensioni e patrimoni, “nonostante – ha rilevato Gaetano Sateriale, sindaco di Ferrara – soprattutto sull’arte contemporanea si sia di fronte a uno spazio difficile da gestire nel nostro paese”, la nota importante, davvero incoraggiante, resta quella di rivalutare, attraverso le esposizioni, il patrimonio contemporaneo sotto il profilo dell’arte, della cultura, della musica, del teatro, facendo circolare le ricchezze del nostro paese, dalle collezioni private a quelle pubbliche.
Ferrara Arte e MAMbo: un’equazione possibile – Il confronto tra la poetica di due illuminati artisti del Novecento come Morandi e de Pisis è stato possibile grazie a Maraniello e a Ferrara Arte e MAMbo che hanno sviluppato sinergie in grado di creare cultura e attività connesse alle arti figurative. Entrambe raccontano, giacché sono, esperienze d’arte come punto di forza per azioni apprezzate dal pubblico. La mostra su de Pisis è il completamento di questa catena e, poiché si parla di due città visitabili quasi contemporaneamente, si tratta di un modello da sviluppare, un esperimento che valga da esempio per altre esperienze. Del resto, se finora c’è stata una dimensione regionale in Emilia-Romagna del rapporto tra città, perché non superarla (si pensi, ad esempio, alla vicenda del Duse a Bologna per quanto riguarda il Teatro di Prosa) e sconfinare in uno sforzo comune degli assessori, dei sindaci, delle istituzioni, come punto d’arrivo di un impegno politico?
Fondi per l’arte, eventi contenuti – È certamente noto che per grandi mostre servono investimenti importanti, prestiti e affidabilità, come ricorda Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Upa (Utenti pubblicità associati) e del Museo d’Arte moderna di Bologna. Da parte dei collezionisti o dei musei questa attenzione si cattura con l’esperienza e con il patrimonio storico: biglietto da visita che certamente Bologna e Ferrara hanno per aprirsi al mercato europeo. Nonostante la scarsità di risorse, si sono messi in campo esempi eclatanti e virtuosi, con soluzioni e strumenti di valorizzazione del territorio e delle città; infatti, lo stesso contributo di 150mila euro, stanziato per la mostra del Correggio a Parma, è stato destinato quest’anno a de Pisis. Un esempio che ricalca il modello di coproduzione già attuato regolarmente nel cinema e applicato al modello regionale. Un tentativo, forse, per far crescere il mercato dell’arte, renderlo più accessibile, un esempio vincente. Se si pensa che “in generale, la logica delle mostre è di fornire delle inquadrature – prosegue Maraniello – e quindi di offrire eventi contenuti come il Museo Morandi, fortemente connotato in qualità di museo di collezione”, l’equazione torna.
La scelta dei dipinti: opere come giardini giapponesi – Il curatore della mostra, D’Amico, personaggio autorevole, critico e giornalista, rappresenta, senza dubbio, la garanzia progettuale di questa mostra. Come ricorda Angelo Guglielmi, assessore alla Cultura e Rapporti con l’Università del Comune di Bologna, “quello su de Pisis, ammirato per la sua felicità un po’ sbadata, la semplicità di quel corteo di vizi che si trasforma in virtù”, è in realtà un esperimento limitato in termini di numeri, non pubblicizzato come evento di grande rilevanza quantitativa come quello di Monet a Milano (ben venti grandi tele esposte, provenienti dal Museo Marmottan di Parigi). Il catalogo-dossier, voluto da Maraniello sotto forma di raccolta, si concentra sulla scelta dei dipinti, visti come giardini giapponesi e punta sull’eccellenza delle opere d’arte, integrando la personale con un certo numero di disegni (al 1940, infatti, sono databili gran parte di quelli esposti).
L’ultimo de Pisis: disegni e… – Il rientro in Italia di Filippo de Pisis, dopo il lungo soggiorno francese, corrisponde all’inizio di una nuova stagione pittorica. Colpito duramente dalla critica, dall’agosto del 1939 agli ultimi anni, de Pisis smette di dipingere nel 1951 (pochissimi sono, infatti, i dipinti datati nel 1953). Per quanto riguarda il disegno, assai poco studiato, non esiste un catalogo generale dell’opera, eppure è per lui un nuovo bisogno di forma anche eccessiva e di piena dignità espressiva, una caratterizzazione dovuta al lunghissimo soggiorno a Parigi. Il pittore va verso un’intensità di pathos che confluisce sia nell’opera pittorica sia nel disegno che, quasi steso con le dita, abbandona la grazia e si fa drammatico, simile ad una confessione sulla carta di sentimenti esacerbati. Il foglio si carica di materia: sanguigna, pastello, olio.
…”pittura stenografica” – Nel corso degli anni Quaranta, accanto ai disegni de Pisis sviluppa una pittura stenografica che, durante gli anni veneziani (dal 1943 fino al 1948), è fatta di tocchi veloci e riassuntivi. La felicità dell’artista diventa facilità di pittura perché in quel periodo in cui appare particolarmente attento al mercato, dal quale attende riconoscimenti non solo materiali, egli si trova ad accogliere numerose richieste di quadri. A Villa Fiorita, la clinica dove trascorre la parte finale della propria vita, il pittore governa le proprie ultime composizioni con una pittura dai pochi toni cromatici, un campo vergine con pochi segni, rintocchi di rosso fuso al bianco raggelato, abbacinato, dolorosamente simile al biancore dell’ospedale. Proprio in questi ultimi dipinti di de Pisis la tela è come nei disegni di Morandi: tutto si contrae, non resta che un luogo nudo, come la famosa Rosa nella bottiglia (1950), che esplode bianco su bianco nel vuoto della stanza. Spazio aspro, reticente, che sembra quasi cigolare e spezzarsi.
L’immagine: La rosa nella bottiglia (1950, olio su tela, cm 60 x 50, Museo d’Arte moderna e contemporanea “Filippo de Pisis” di Ferrara. Donazione Franca Fenga Malabotta, 1996), di Filippo de Pisis (pseudonimo di Filippo Tibertelli, Ferrara, 11 maggio 1896 – Milano, 2 aprile 1956).
Viviana Dasara
(LM EXTRA n. 15, 15 giugno 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 42, giugno 2009)