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Home ATTACCO FRONTALE

Ong, cosa si nasconde dietro la pettorina dei “dialogatori”

Orazio Francesco Lella by Orazio Francesco Lella
4 Ottobre 2017
in ATTACCO FRONTALE, MONDO E GLOBALIZZAZIONE, SOTTO I RIFLETTORI, TEMATICHE CIVILI
11
Ong, cosa si nasconde dietro la pettorina dei “dialogatori”
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L’operato delle Organizzazioni non governative, al centro delle cronache attuali, si regge sulla raccolta fondi… Nell’inchiesta di “LucidaMente”, un nostro collaboratore si è infiltrato nell’ingranaggio. E ha scoperto la verità sul lavoro e sul dramma sociale ed esistenziale dei procacciatori di donazioni “appaltati” a società a scopo di lucro

Avete presente quei ragazzi (e ragazze) sorridenti che fermano le persone per strada, con addosso la pettorina recante il logo di svariate associazioni benefiche? Li troviamo, appunto, all’entrata dei locali, nei luoghi più frequentati, di solito per chiedere fondi a favore di migranti, bambini in difficoltà, ricerca medica contro gravi patologie… Tutti, vedendoli, abbiamo pensato fossero giovani aderenti alle medesime organizzazioni e che agissero gratis, spinti da nobili ideali. E soprattutto che fossero liberi, tanto meno sfruttati da chicchessia. Beh, non è proprio così. Il nostro collaboratore ha vissuto in prima persona questa esperienza, diventando anche lui, per un paio di giorni, “dialogatore”. Il resoconto che riporta nel suo articolo è una disarmante denuncia su una realtà della quale è bene venire a conoscenza.

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito e non la luna. Quando il telegiornale parla di emergenza immigrazione, lo stesso stolto guarda al comportamento delle Organizzazioni non governative (Ong) e non alle cause geopolitiche che generano il problema. In tutto ciò, nessuno ha ancora guardato ai dialogatori: persino nell’equazione malsana sopracitata, non è possibile trovare loro un ruolo logicamente utile. Proverò a parlarne io, che sono stato uno di loro per circa due giorni. Tanto basterà a voi per non mettere in dubbio l’affidabilità dell’inchiesta.

13-dialogatoriPer incrementare il capitale a loro disposizione e, soprattutto, per poter inquadrare l’opera di proselitismo nelle statistiche, le maggiori Ong si affidano a soggetti terzi per la raccolta fondi. Eppure, nei loro siti vi sono link (vedi quelli di Medici senza frontiere o Save the children) ai quali si può accedere per intraprendere, in maniera immediata, il lavoro di dialogatore. Si crea, così, l’illusione che si diventi diretti e benefici dipendenti delle Ong, piuttosto che giovani in cerca di opportunità per far carriera, sfruttati da società terze a scopo di lucro. Una tra le più importanti di queste, la Appco Italia, è collegata alla multinazionale londinese dall’eloquente denominazione Cobra Group, che all’estero è stata al centro di numerose polemiche: per i salari bassi ai limiti dello sfruttamento, per le tattiche di persuasione che sfiorano raggiro, per gli incentivi ai giovani ai limiti dell’inganno (leggi Il no profit che si approfit: lo scandalo della raccolta fondi solidale).

Anche in Italia qualche testata ha denunciato il fenomeno a danno di giovani in cerca di qualche introito (vedi piccola bibliografia a fine articolo). Si tratta, in generale, di agenzie minori specializzate nel direct marketing e nella vendita face to face o door to door che dir si voglia. Per farlo in maniera efficace si impegnano a trasmettere ai propri dipendenti una serie di skills affabulatorie da mettere in pratica in street, nei daytrip, nei roadtrip e in un’altra serie di situazioni esprimibili necessariamente con altri inglesismi. Dopo pochi giorni, non sembrerà affatto strano salutarsi dicendo: «Ciao, ci si vede tomorrow».

13_-venditoreIl denaro della “beneficenza” compie un viaggio pseudopicaresco attraversando i continenti e affrontando o schivando tutti gli ostacoli in agguato tra le pieghe dell’universo burocratico. Esso tocca trasversalmente tutti i piani della scala sociale: si apre sui bambini sofferenti di un Darfur in piena crisi idrica – o, quanto meno, sui loro primi piani – e si chiude sui più limpidi esponenti della nostra classe disagiata. Giovani studenti medioborghesi che vogliono tutelare quel che resta delle loro velleità artistiche, della loro pretesa di indipendenza. E quindi non vogliono fare i camerieri. L’ingresso in agenzia è alla portata di molti, se non di tutti: più volte viene chiesto al candidato se si vede davvero nei panni del venditore seriale, più volte gli viene ricordato che – pur cominciando per gioco – in pochi anni avrà la più florida delle carriere.

Durante il colloquio, l’elemento “anziano” che si occupa del reclutamento è estremamente affabile, il migliore dei migliori amici. Ride alle tue battute, placa le tue ansie, ti fa notare un bel culo femminile che passa e ti racconta la sua ultima scopata ammiccando e sgomitando. Al tavolo di un bar ti viene accennata la terribile “legge delle medie”, secondo la quale su 180 persone fermate, una dovrebbe decidersi a donare. Ma il gusto dolce della granita pesca e mango che ti hanno offerto alleggerisce ogni paturnia legata alle prestazioni.

13-dialogatori-2Pensi più volentieri al tuo futuro roseo in agenzia, al fatto che nel giro di tre anni – dopo aver scalato qualche posizione – potrai cominciare a campare senza lavorare. Però «guai a parlare di gerarchie», disse il team leader… Darsi del “Lei” pare sia severamente vietato, meglio una pacca sulla spalla e un sorriso o magari un applauso di gruppo ogni tanto. Tu, che arrivi con bermuda e maglia con il nome di una città, vai tranquillamente a farti uno spritz col tuo capo in abito gessato e cravatta. Anche a ’sto giro paga lui, è ufficiale: ti sta simpatico. Cominciare sul campo è un po’ come cadere dall’amaca in un pomeriggio agostano e sentire il mezzo chilo di lasagna del pranzo che risale prepotentemente fino al cervello. L’impatto con la realtà è duro per tutti. Uno spaccato della razza umana ti passa accanto e ti attraversa in una confusione di schegge grigie.

L’unico modo per resistere è riuscire a disumanizzare la fauna urbana. Riuscire a trasformare le ore di lavoro in una lunga e sfibrante visita su Chatroulette con l’obiettivo primario di fermare le vecchie ricche. Crescendo, la deontologia professionale ti induce a rivedere i tuoi parametri sull’erotismo. Se si riesce a impostare una forma di dialogo con qualcuno, arriva il momento di mettere a frutto i consigli del depliant fornito dall’agenzia.

13_-marsina-stretta-fabriziVale a dire: mantenere il contatto visivo, non usare parole difficili o sintassi complicate, modulare il tono di voce, stare ora di fronte, ora accanto all’interlocutore, fare una battuta al momento giusto (che non sia troppo spiritosa) e chiedere con indifferenza un «affiancamento» del valore di mezzo caffè al giorno (e sono centinaia di euro all’anno). A meno che il donatore quel giorno non si sia svegliato supereroe e non voglia donare cinquanta euro al mese. L’ingessatura immobilizzante generata dall’unione tra le tecniche basiche di persuasione e l’ombra del fallimento fa somigliare la casacchina dell’associazione benefica alla Marsina stretta che dà il titolo all’episodio interpretato e diretto da Aldo Fabrizi nel film Questa è la vita (1954). Nella pellicola, tratta da una novella di Luigi Pirandello, il protagonista è un professore che si impegna a salvare il matrimonio di un’ex allieva, nonostante l’opposizione dei parenti dello sposo.

La frustrazione di indossare una marsina troppo stretta gli conferisce il potere di piegare i presenti alla sua volontà e da una manica strappata nasce il moto di ribellione verso se stesso e le convenzioni che lo frenano. Con delle argomentazioni che sfiorano il capolavoro retorico, l’insegnante riesce nell’impresa insperata di portare i due giovani all’altare. Il lieto fine coincide con il raggiungimento dell’obiettivo posto all’inizio della storia. Coincide con il senso di liberazione totale che lava via tutte le ansie come una doccia fredda. Regalare una gioia simile alle tante marsine strette che vi intralciano la strada, magari proprio mentre state andando a «prendere il treno», potrebbe essere uno dei motivi più validi per decidersi a fare beneficenza.

Sull’argomento dialogatori vi segnaliamo altri articoli-inchiesta, reperibili sul web:
In Corriere.it: Viaggio nel mondo dei «dialogatori», vero serbatoio economico delle Ong;
In Milano.Repubblica.it: Le mie tre giornate da precario a vendere beneficenza in strada;
In Redattore sociale.it: Raccolta fondi “face to face”, il lato nascosto di un metodo che funziona;
In Liguria Notizie.it: E li chiamano “dialogatori”. Venditori di contratti per Ong reclutati da agenzie di marketing;
In Corretta informazione.it: ONG: la beneficenza che diventa marketing;

In Andrea Favarin: PERSUASIONE: Il lato oscuro dei dialogatori ONG.

Le immagini: La “dolce vita” dei dialogatori e Aldo Fabrizi nell’episodio Marsina stretta del film Questa è la vita (1954).

Orazio Francesco Lella

(LucidaMente, anno XII, n. 142, ottobre 2017)

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Tags: associazioniattualitàbeneficenzacobra groupdialogatoridonazionifocusinchiestaongsocietàtruffa
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Comments 11

  1. Franco says:
    5 anni ago

    La metafora di chatroulett è stupenda e più che calzante!

    Rispondi
  2. Margherita Versari says:
    5 anni ago

    Gentile Direttore, è molto interessante l’articolo sul reclutamento imbroglionesco dei giovani da parte delle ONG. Tuttavia non mi stupisce perché perfino una fessacchiotta come me si era stupita, già da tempo, per l’atteggiamento entrante e quasi aggressivo di questi giovani che, non da ultimo, hanno la protervia di appellarsi alla coscienza del passante, di chiedere che tipo di benefici
    enza fa ecc. Ma sono a loro volta vittime, come i giovani che lavorano ai call-center, da cui hanno ripreso le modalità.

    Rispondi
    • Rino Tripodi says:
      5 anni ago

      Gentilissima Margherita, tutti siamo vittime… delle circostanze… ma qui la carognaggine è tripla: delle Ong, delle società di servizi, dei “dialogatori”.

      Rispondi
  3. Elena says:
    5 anni ago

    Non mi fanno pena, scelgono loro di fare questo, come i simpaticoni dei call center, mica li costringono…. E se fossero davvero ridotti alla fame non farebbero queste cose, che fanno per pagarsi la serata in discoteca o comprarsi una maglietta all’outlet. Chi è causa del suo mal..

    Rispondi
    • Rino Tripodi says:
      5 anni ago

      Gentilissima lettrice, grazie per averci scritto.
      Non era nostra intenzione solidarizzare coi “dialogatori”. Come da mia risposta a lettera precedente, la carognaggine è tripla: delle Ong, delle società di servizi, degli stessi “dialogatori”.

      Rispondi
  4. Laura says:
    4 anni ago

    A volte non siamo tanto giovani, quanto piú ansiosi di trovare una qualsiasi occupazione per portare il pane a casa. Sono incinta e ho una bimba di due anni e dopo mesi, questo é il secondo lavoro che mi viene offerto, e che ho voluto accettare come sfida, ma che al secondo giorno mi rende scettica.

    Rispondi
    • Rino Tripodi says:
      4 anni ago

      Gentilissima Laura, grazie per aver condiviso la sua esperienza. In bocca al lupo.

      Rispondi
      • Ettore says:
        4 anni ago

        Ecco, perciò vedete di moderare i toni. O forse è per lavarvi la coscienza dalla vostra, di carognaggine, incolpando le ong e tutto l’apparato (che comunque, alla fine, serve a fornire soldi per scopi umanitari, le cui spese sono visibili nei bilanci, pubblici) per la vostra ignavia? Si può certamente discutere del problema dei dialogatori e del sistema che causa la loro precarietà, ma questo atteggiamento è vergognoso.

        Rispondi
  5. Alessandro says:
    2 anni ago

    Salve, carissimo collega,
    lei ha avuto un’esperienza di lavoro con la peggiore agenzia di crowdfunding d’Italia.
    L’articolo è troppo generalizzante: si percepisce che tutta l’erba sia un fascio marcio e colmo di ragazzini in pettorina pronti a truffare i passanti.
    Le parlo da titolare di un’agenzia di crowdfunding: esistono anche agenzie che lavorano con metodo corretto e mettendo alla luce del sole qualunque virgola di quello che il possibile sostenitore andrà ad autorizzare.
    Credo che demonizzare così un settore sia un po’ eccessivo, perché si tratta di un lavoro nobile e stimabile se fatto in maniera corretta.
    Mi soffermo solo nel dirle che, come qualunque settore, il metodo truffaldino lo si trova dovunque, anche se lei entra in un bar e ordina un caffè che il giorno prima ha pagato 1 euro e il giorno dopo lo paga 2 senza un giustificato motivo.
    Ovviamente qua lo scandalo sta nel fatto che parliamo di no profit e dunque fa click: ma la invito a documentarsi sui lati positivi a livello sociale scaturiti dal lavoro: circa il 65% del capitale nelle onlus che hanno un face to face attivo proviene da questo.
    Quindi, se Unicef riesce a vaccinare ancor oggi molti neonati che morirebbero di malattie da paleolitico, non è grazie al caso o alla divina provvidenza , ma grazie a dialogatori che per strada, sotto la pioggia, la neve o la grandine, raccolgono fondi.
    Lei ha fatto bene ad indicare il nome dell’agenzia con la quale ha avuto esperienza in testa all’articolo, ma sarebbe stato ancor più corretto nello sviluppo ricordare che si tratta di un articolo che PARLA ESCLUSIVAMENTE DEL METODO LAVORATIVO TRUFFALDINO DI COTALE AGENZIA.
    Detto questo, se vuole venire a vedere come lavora la mia agenzia resto aperto ad un confronto, perché il nostro lavoro è di rilevanza mondiale per il sociale.

    Rispondi
    • Redazione says:
      2 anni ago

      Grazie per la testimonianza. Tuttavia, i numerosi articoli di altre testate inseriti a fondo articolo e le testimonianze dei lettori dimostrano che il fenomeno è ampio e davvero esecrabile.

      Rispondi
  6. Anonimo says:
    11 mesi ago

    In questo mondo ho lavorato per tanto tempo… E ciò che è denunciato nell’articolo, ahimè, è solo una briciola di un filoncino di pane lungo metri…

    Rispondi

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