Andiamo a scoprire un esperimento letterario innovativo, una tecnica narrativa incentrata sul web che intreccia nella storia tradimento e omicidio
Chi ama curiosare tra le novità del web negli ultimi tempi ha notato che si sta facendo strada sui social un originale esperimento letterario dal titolo Penitenziagite! Un cadavere nella rete, realizzato da un nuovo collettivo di scrittura (i nomi degli autori non sono ancora pubblici) e definito come «la prima Social network novel».
Si tratta di un romanzo di 24 brevi capitoli (non più di due cartelle ciascuno, l’ideale per la lettura su schermo) pubblicati sul blog https://uncadaverenellarete.com. Non è un semplice libro a puntate in rete, che sarebbe cosa già vista. La vera novità è che una parte rilevante dell’azione avviene proprio su Facebook. Questa la trama: cinque persone comuni, con vicende diverse alle spalle, fondano sul social un gruppo di scrittura di nome Penitenziagite, in onore al motto dolciniano de Il nome della rosa. Ognuno scrive con un nickname ispirato a un personaggio letterario: Sherlock Holmes, Madame Bovary, Wolverine, Jorge da Burgos, Capitano Achab. La loro idea – chi lo fa per puro divertimento, chi con la speranza di diventare scrittore, chi con qualche altro scopo – è scegliere periodicamente un profilo Facebook a caso come spunto per costruire racconti, inventando storie intorno a quel nome, a quella persona, ispirandosi alle informazioni pubblicate e cercando di immaginare quali segreti possa nascondere e quali peccati debba espiare.
Come primo soggetto i partecipanti selezionano il profilo di una bella donna, Dalia Parenti, una blogger, e iniziano a postare sulla pagina Penitenziagite (realmente presente sul social; clicca qui) i racconti a lei ispirati. Questi sono pubblici, così Dalia li leggerà per caso e ciò avrà pesanti conseguenze sulla sua vita reale, perché lei ha davvero qualcosa da nascondere e anche un’azione piuttosto grave: l’assassinio, con la complicità del suo amante Guido, del marito Arturo. L’aspetto particolare è come il lettore si trovi a leggere tali narrazioni (direttamente su Facebook e commentati dai cinque “penitenti”) da due diversi punti di vista: quello di chi le ha scritte, ispirandosi sì al profilo di Dalia Parenti, ma soprattutto a se stesso, al proprio passato e al proprio vissuto, e quello di Dalia e dell’amante Guido, che invece interpreteranno ogni cosa in base ai propri sensi di colpa e alla paura di essere braccati per ciò che hanno fatto.
Lo stesso meccanismo avverrà per i racconti di tutti e cinque gli aspiranti autori: Madame Bovary, una matura vedova che rimpiange un amore perduto; Wolverine, un ragazzo dal passato difficile, forse vittima di esperimenti medici non autorizzati; Jorge, una ragazzina intelligente e molto amante della lettura che vive in una famiglia bigotta e autoritaria; il Capitano Achab, che a causa di un incidente sul lavoro deve convivere con una menomazione fisica, e Sherlock, un informatico amante della razionalità e dei libri gialli. Per ognuno di essi Dalia e Guido ritroveranno, nei romanzi, misteri e traumi del proprio passato, tenuti segreti anche l’uno all’altra, e questo li porterà a sentirsi sempre più in trappola e a commettere gravi errori. Tutto ciò si intreccia all’indagine poliziesca, condotta dal commissario Poletti e dal vicecommissario Cammarota, due personaggi vivi e ironici che non sfigurano affatto nel ricco campionario di detective che la letteratura e la fiction in genere ci offrono. Il punto di partenza, una storia di tradimento e omicidio che ruota attorno al topos del “so cos’hai fatto”, sembra quasi volutamente tradizionale, per lasciare in primo piano l’estrema originalità di quella che è a tutti gli effetti una nuova tecnica narrativa.
Interessante è anche il modo realistico con cui sono stati costruiti i profili Facebook dei protagonisti, i luoghi in cui vivono, le aziende in cui lavorano (e che hanno un ruolo nella vicenda), addirittura il blog ecologico di Dalia Parenti, di nome The green salad, a fare il verso al Blonde Salad di Chiara Ferragni. I sottotesti che il lettore può trovare sono numerosi, primo fra tutti una riflessione, ironica e tragica, sul mondo social, di cui siamo tutti protagonisti e spettatori, personaggi e autori, e il gioco di specchi tra noi e gli altri, quando parlando degli altri parliamo di noi, quando leggendo gli altri crediamo parlino di noi. A questo si aggiungono ulteriori temi quali la colpa e la giustizia, la razionalità e il caso, la verità e la sua percezione.
La scrittura, scorrevole ed elegante, ricca di espressioni efficaci, lampi d’ironia e introspezione psicologica, conduce con sicurezza il lettore a superare l’iniziale impaccio del dover leggere su più supporti (il blog e Facebook), portandolo in una storia che cresce verso un finale scoppiettante (non è ancora interamente pubblicata, ma gli autori ci hanno concesso di scoprirla in anteprima). Esso lascia molte strade aperte e la speranza di un seguito, perché di certo i narratori hanno inventato qualcosa di davvero nuovo e che sarebbe bello veder crescere. Il modo più lineare per leggere la storia è seguire l’indice del blog https://uncadaverenellarete.com, che porta direttamente anche alla pagina Facebook del gruppo Penitenziagite. A questa si aggiunge la pagina di community https://www.facebook.com/uncadaverenellarete/, fatta per commentare la trama insieme al pubblico e ricca di momenti interattivi.
Le immagini: il logo originale di Penitenziagite! Un cadavere nella rete, ideato dall’artista Nicole Balassone e altre immagini a tema prese dal web.
Maria Daniela Zavaroni e Antonella Colella
(LucidaMente, anno XIII, n. 150, giugno 2018)