Nel racconto “L’inconsapevole peso del ricordo” di Jordi Penner, un’apparizione improvvisa turba il quieto vivere dell’anziano Alfonso, svelando…
Proseguiamo con il seguente racconto la pubblicazione dei migliori lavori (vedi anche «E chi cazzo si porterebbe un seminarista in giro per Bologna?») emersi al termine del Corso di scrittura creativa, organizzato dalla nostra rivista a Bologna tra aprile-giugno 2012 e tenuto, tra gli altri, dallo scrittore Roberto Pazzi, due volte finalista al Premio Strega.

Raggiunse la credenza, dove raccolse gli occhiali che qualche tempo prima aveva lasciato. Dopo averli inforcati, andò a sedersi sulla poltrona a dondolo, che lo accolse con un lieve scricchiolio. Cominciò così a lasciarsi ondeggiare piano piano, come a salutare quella vecchia amica che per tanti anni aveva accompagnato le sue letture.
Qualcosa però passò oltre la finestra alla sua sinistra, attirando la sua attenzione. Il relax malinconico che lo cullava svanì nel nulla per lasciar posto alla novità. Chi mai passava proprio di fronte alla sua casetta isolata? E per di più nel suo giardino? Incuriosito, un po’ a fatica, ma con la forza mai appassita dagli anni grazie alla costante attività fisica, si alzò, raggiunse la finestra e l’aprì. Di lì vi scorse un bambino dall’espressione bizzarra, gli occhi persi nel vuoto, immobile. Alfonso chiese allora: «E tu? Che cosa fai di bello lì?». Il bambino rimase a guardare dritto di fronte a sé, senza rispondere. «Mi capisci?» chiese il vecchio dolcemente, parlando più lento. Lo sguardo del bambino schizzò verso quello del vecchio e vi si riversò gelido quanto quello di un boia. Guardandolo così, il bambino fece due passi avanti, come per farsi riconoscere.«Magari da più vicino, eh?» disse il vecchio a mo’ di frase retorica, ridendo sommessamente.
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«Sembra di parlare con un muro. Lo sai questo, ragazzino?» borbottò Alfonso rientrando.

Il bambino non guardò neppure la pietanza che si ritrovava di fronte, mentre il vecchio si sedeva sul lato opposto del tavolo, studiandone lo strano atteggiamento.
Il vecchio vide che il bambino continuava a non mangiare. Prese allora una forchetta per mostrargli come si faceva. Ma il bambino rise sarcasticamente, scostò il piatto, scese dalla sedia, andò dal vecchio e prese a tirarlo per la camicia indicando l’uscita. «Eh, no, eh! Adesso mi lasci finire il mio piatto di pasta» disse. Tuttavia il bambino, invece di scoraggiarsi, lo esortava con più forza. «Ma dove vuoi che vada? Non c’è niente là fuori!». Il bambino stava per mettersi a piangere dalla disperazione mentre continuava a strattonare la camicia. Il vecchio Alfonso allora sbuffò, posò la forchetta e acconsentì: «E va bene, va bene! Lascia almeno che copra i piatti». Si alzò, il bambino lo guardò prendere dall’anta sopra il lavandino altri due piatti con i quali coprire quelli pieni e rise innaturalmente. Poi lo agganciò nuovamente per la camicia e lo trascinò fuori.Alfonso lo segui allora di malavoglia lamentandosi: «Ma dove mi vuoi portare?».

Ma il bambino tirava con più forza e lo costrinse ad arrivare fin lì.
L’odore era terribile, di sangue rappreso e decomposizione. Il vecchio si coprì il naso avvicinandosi. Il bambino scostò le fronde, Alfonso si coprì gli occhi e si voltò dall’altra parte gridando: «No, nooo, non sono stato io! Non sono stato io! Lasciami stare!». Il bambino gli andò di fronte per fissarlo rabbioso. Provò a spingerlo con la forza, per quel che poteva, verso il cespuglio. Il vecchio borbottava ancora sommessamente «no, no, lasciami stare!», piagnucolando, ma il bambino insistette finché, finalmente, lo sguardo del vecchio non si alzò nella direzione che il dito del bambino indicava. Il bambino smise allora di pressarlo e contemplò a sua volta il macabro spettacolo, ovvero il suo stesso corpicino esanime, nudo, segnato dai colpi di una violenza inaudita. Il vecchio cadde in ginocchio sovrastato dalla disperazione e pianse. Balbettava ora parole come una litania: «Tanto solo… ero tanto solo. Tanto solo». Allora il bambino guardò nuovamente il vecchio dritto negli occhi e per la prima volta, con voce ferma e sconcertata, parlò:«Perché?», chiese. «Perché?».
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Concluse che l’indomani sarebbe stata, molto probabilmente, un’altra splendida giornata di sole.
Le immagini: Bambina con uccellino morto (Scuola olandese?, sec. XVI, olio su legno, 36,7 x 29,8 cm, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles) e varie foto di repertorio.
Jordi Penner
(LucidaMente, anno VII, n. 80, agosto 2012)