In uscita a inizio febbraio 2016 il primo disco (“Believer”, autoprodotto) di due ragazze terribili nella loro creatività. Una musica sorprendente e geniale: variegata, multiforme, inafferrabile
I tanti suoni, i tanti strumenti utilizzati, i tanti riferimenti musicali, fanno pensare a un’orchestra. Magari piccola, ma pur sempre orchestra. E anche il loro “nome d’arte”, Vale & The Varlet, sembra quello di un gruppo composto da una voce solista femminile accompagnata da molteplici singers.
Invece, sono solo in due. Ma valgono per venti. Sono Valeria Sturba (Vale), polistrumentista di origine abruzzese (e anche vocalist), e la voce (ma non solo) Valentina Paggio (Varlet), nata in quel di Viterbo. Voi direte: “Saranno due sgallettate che fanno solo un casino pazzesco”. Invece, il loro primo disco, Believer, autoprodotto, in uscita il 2 febbraio 2016, è un esordio davvero sorprendente e già maturo, pur mantenendo tutta la freschezza di un’opera prima. Due sono le caratteristiche del cd, che ben si fondono. Una è l’uso di strumenti di ogni sorta, anche poco “ortodossi”, come il theremin (vedi I Pristine Moods e la magia del theremin). In particolare, è la Sturba a estrarre gli insoliti suoni dal theremin, così come da violino e tastiere elettroniche, mentre la Paggio si dà da fare con piano, percussioni, batteria elettronica, oggetti vari.
La seconda peculiarità del nostro duo femminile è la molteplicità delle fonti musicali dalle quali le “Vale” attingono. Dal punk al cabaret, dal burlesque (come in Minnie) al cantautorato, da suoni-giocattolo agli “effetti” elettronici (TechnOmg), dalla musica circense a quella classica. Ad esempio, nel brano di apertura, I forgot Belgium, è presente una breve citazione del Bolero di Maurice Ravel. Nella stessa traccia lo stile ricorda The Dresden Dolls (forse non a caso un altro duo, statunitense, anche se composto da un uomo e da una donna), a loro volta epigoni di Bertolt Brecht-Kurt Weil (come le nostre in Slight Story). I suoni spagnoleggianti e le modulazioni vocali di Alejandro richiamano addirittura Grace Slick (Jefferson Airplane). Ambiguamente lynchiana è la ninna nanna di Bobe.
Un’autentica orchestra tascabile, dalla quale fuoriescono suoni e colori, clownerie e malinconie esistenziali. Vale & The Varlet raccontano storie scardinate, amori grotteschi, vicende surreali e di lucidafolle alienazione. Un puzzle di parole, suoni, ritmi, solo apparentemente sgangherati, in realtà colti e frutto di una ricerca sofisticata e singolare. Un’enigmatica macchina che produce suoni, un moto perpetuo di piccoli fuochi d’artificio dai contorni sfuggenti, fughe centripete dalle direzioni insondabili, dolci congiure rivolte all’ascoltatore, una trama dai mille spessori e intrecci, fantasie paradossali inserite nelle pieghe oscure dell’esistenza… Sicché, la prima domanda che faremmo alle due in un’ipotetica intervista sarebbe: “Come avete fatto?”.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 122, febbraio 2016)
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