L’8 giugno 2009, sbalordendo tutti i Grillo-scettici e “sconfiggendo” concorrenti del calibro di Pasquino e Monteventi, il ventottenne Giovanni Favia veniva eletto nel consiglio comunale della città di Bologna.
Sono passati i cosiddetti “cento giorni” e – armati di curiosità e senso civico – lo abbiamo intervistato per farci raccontare questi primi mesi di lavoro e per capire meglio cosa è e dove vuole arrivare il fenomeno politico di Beppe Grillo e dei suoi ragazzi.
Che cosa vuol dire per il movimento di Beppe Grillo entrare nel consiglio comunale di una grande città?
È fondamentale, per farlo crescere. Credo che il movimento debba essere sempre in divenire, in evoluzione, proprio perché è un movimento. Gli attivisti non sono chiusi in un’ottica di carriera, con un percorso che magari possono calcolare. E la gente sente questa nostra diversità, perché abbiamo le mani libere, non abbiamo una segreteria sopra di noi: io posso fare quel che voglio.
Non avete una paternità politica?
No. Noi siamo molto aperti anche a correnti diverse di pensiero. Non siamo dogmatici, siamo sempre disposti al confronto pubblico. E non abbiamo voglia di legarci a un’ideologia.
Quindi vi potete considerare trasversali, attingete sia da destra che da sinistra?
Ti rigiro la cosa: noi non siamo trasversali e le neghiamo tutte e due, destra e sinistra. Anzi sono loro che attingono da noi, non hanno più idee e rubano tutto all’antagonismo, alla società civile; a volte cercano un po’ di riciclare, quando vedono che un argomento va di moda, ma non hanno più un “pensatoio” libero.
Ma, in questo modo, un elettore non corre il rischio di sentirsi scoperto ideologicamente, con la paura di non sapere bene cosa aspettarsi da voi?
Per il momento non c’è questo rischio, perché noi stiamo lavorando sul comunale. Ovviamente, se si andrà alle regionali o alle nazionali, sono d’accordo con te: bisognerà mettere nuova acqua per innaffiare l’orto del dibattito, perché su alcuni temi non si è ancora formata un’opinione precisa. Quindi capisco il problema che dici dell’incertezza, anche io ero spaventato per questo motivo, però alla fine le idee vengono fuori.
Da questo punto di vista non possono tornare utili le “etichette”?
No, io mi batto per l’acqua pubblica, per fermare il consumo del territorio, per le energie rinnovabili, poi non mi interessa se sia un concetto di sinistra o di destra. Oggi, poi, la società è troppo complessa, legarsi a un’ideologia è un fatto molto delicato, le classi si sono un po’ ibridate, sono successe cose molto strane. L’hanno fatto impazzire questo paese negli ultimi anni. Ci sono stati molti guru che sono arrivati e hanno detto che questa o quell’altra era l’ideologia buona per vivere. Ma, in realtà, tendono sempre al polpettone più grosso. Noi siamo diversi, e per questo siamo anche emarginati nei consigli, perché siamo quelli che chiamano l’antipolitica.
Questa antipolitica non potrebbe essere anche una chiave per sedurre gli elettori disillusi, come è stato via via prima per la Lega, poi per Berlusconi, e più recentemente per l’Italia dei valori?
In tanti hanno usato l’arma dell’antipolitica per farsi strada, e tu li hai citati. Ma è anche vero che poi loro non avevano nulla di ciò che caratterizza il nostro movimento, erano completamente politici nel senso peggiore del termine. Noi, invece, siamo antipolitici perché usiamo toni molto forti, perché siamo cittadini. Non siamo abituati al compromesso, non facciamo sconti a nessuno. Non siamo stati resi mansueti dalle segreterie di partito, dove meno pesti i piedi e più fai carriera. Così sono i partiti, non puoi mai osare contraddire il capo.
Ma si può fare un grosso partito, un partito nazionale del 50%, con questo atteggiamento? È realistico pestare i piedi ogni volta qualcuno sbagli di un centimetro?
Gli estremi non vanno mai bene: non si tratta di sbagliare di un centimetro, il discorso è che chi fallisce politicamente o chi non dimostra di avere atteggiamenti eticamente corretti deve levarsi di torno. Ci sono quattro, cinque soggetti in certi partiti che perdono da venti anni, che si mettono a fare i “giochini” coi furbetti del quartiere e rimangono ancora lì.
Non pensi che la gente possa essere stanca così come della politica partitica anche della politica aggressiva, quella dell’insulto, dell’urlo e della minaccia?
Io a volte perdo le staffe, perché vedo che c’è un procedimento illegittimo, perché vedo che stanno portando avanti una cementificazione, perché fanno le cose sporche. Ma non lo faccio per demagogia, lo faccio perché proprio perdo le staffe.
Non c’è la possibilità di innovarsi pur mantenendo toni “politici”?
Beppe Grillo è un comunicatore, estremizza la comunicazione per ottenere un risultato, per sortire un effetto. Lui è un grande esperto, sa quel che fa e se lo fa c’è un motivo, e i risultati arrivano.
Quindi la comunicazione può essere un mezzo per raggiungere un fine…
Sì.
A costo di esasperarla?
La comunicazione bisogna saperla usare, perché gli altri la sanno usare molto bene. E se tu non la usi… Rimani fuori!
Nelle elezioni politiche nazionali un consigliere della lista Beppe Grillo per chi vota?
Mah, c’è totale libertà di voto. Credo che molti non siano andati a votare. Poi Beppe ha dato delle indicazioni sul blog e i dati delle preferenze mostrano che molti li hanno seguiti.
E tu?
Io ho un compito di rappresentanza. Non mi sembra carino dire il mio voto.
Pensavo che anche in questo foste antipolitici…
(Sorriso).
L’immagine: il manifesto elettorale di Giovanni Favia per le scorse elezioni comunali bolognesi del 6-7 giugno 2009.
Simone Jacca
(LucidaMente, anno IV, n. 46, ottobre 2009)