Negli ultimi quarant’anni abbiamo riscontrato, almeno in tutti i paesi industrializzati, una crescita esponenziale di dibattiti intorno ai temi di nascita, cura e morte. Lo straordinario sviluppo della medicina, infatti, ha fatto sì che le persone si siano trovate in situazioni del tutto nuove rispetto al passato, situazioni che stimolano a discutere tutti, perché coinvolti in quanto esseri umani. Tutti sono tenuti a rispondere dei nuovi problemi morali posti dalle trasformazioni realizzate nella pratica medica. Le innovazioni non si arrestano. La bioetica ci riguarda, in quanto membri di una società civile e in quanto soggetti morali. Tutti siamo accomunati dallo stesso destino. Tutti siamo, se non politicamente o giuridicamente, almeno eticamente responsabili.
Imposizione di una vita artificiale…
Le nuove condizioni del morire causate dallo sviluppo della scienza e della tecnologia medica ci spingono a un riesame dei nostri diritti e doveri di fronte alla morte. Perché? Che cosa è cambiato rispetto a quarant’anni fa? Sicuramente il fatto che la morte stia diventando sempre più artificiale e artificiosa, un processo lungo, innaturale e spesso doloroso.
Molte sono ormai le persone mantenute in vita in uno stato di coma vegetativo permanente. Molte sono le persone che si imbattono in un “fine vita” accompagnato da un ampio ricorso di macchine che svolgono funzioni non più garantite dal corpo del morente, come l’alimentazione e la respirazione. Si ritarda la morte “strumentalizzando” la vita. E se qualcuno non fosse d’accordo?
…e diritto a una morte naturale
Abbiamo iniziato a domandarci fino a che punto si possa accettare per se stessi e per gli altri un simile prolungamento della vita e se ci siano dei diritti che le persone coinvolte in una morte del genere possano far valere. Va sottolineato che quando si parla di “diritto a morire” si fa riferimento sempre e solo a un diritto negativo, ovvero alla pretesa di non subire coercitivamente trattamenti di terapia intensiva, spesso insopportabilmente dolorosi.
Continuiamo a domandarci come riuscire a far valere i nostri princìpi in un paese come l’Italia, in cui religione e politica da sempre si intrecciano, si fondono e dominano incontrastate sulla vita di tutti, anche di chi “religioso” non si sente affatto e di chi chiede semplicemente che vengano rispettate la libertà e la dignità personale di ognuno, lasciando fuori dai reparti di terapia intensiva – e dal Parlamento! – Dio e credenze religiose varie.
Una richiesta del tutto legittima, in uno stato laico democratico. Non legittima, in una teocrazia o, perlomeno, nell’ambito di un fanatismo “cattolicista”. Ma l’Italia dovrebbe appartenere al primo gruppo. Sì, dovrebbe…
Le contraddizioni della “sacralità della vita”
La contrapposizione più radicale è quella che coinvolge la tesi della disponibilità o non disponibilità della vita umana nel suo complesso, dalla nascita alla morte. L’etica che sostiene un principio assoluto di “sacralità della vita” ha dominato incontrastata la legislazione europea per molto tempo. Tuttavia, negli ultimi decenni, come conseguenza di casi in cui la sopravvivenza è garantita solo ed esclusivamente da mezzi artificiali, le critiche a questa concezione si sono moltiplicate. Le questioni si complicano, la posta in gioco cresce, il pensiero va riformulato sulla base dei nuovi fattori che entrano in campo.
Sostenere il principio della sacralità della vita e allo stesso tempo essere a favore dell’accanimento terapeutico è come minimo paradossale. Ci si trova infatti nel bel mezzo di una contraddizione: affermare di affidare la vita umana alla “Provvidenza”, negando quindi all’uomo qualunque forma di potere sul proprio corpo, e, allo stesso tempo, disporre di essa, facendo dipendere il momento della morte non già dal volere divino, ma dalle pratiche umane e, il più delle volte, dalle decisioni dei medici.
Le carte di autodeterminazione
Di fronte a un caso di coma vegetativo permanente, poter disporre della volontà espressa in precedenza dalla persona direttamente coinvolta su come rispondere a situazioni del genere risolverebbe non pochi problemi. Così accade negli Stati Uniti. Così accade in molti stati del Nord Europa. Ma, come abbiamo detto, non accade nel nostro Paese, dove l’etica dell’autonomia non viene rispettata.
In Italia manca una legge che istituzionalizzi il testamento biologico e che ne riconosca la validità giuridica. Dopo anni di battaglie, come quella di Beppino Englaro, ancora se ne discute in parlamento, ancora non si è giunti a una legge, ancora si ricorre all’uso di vecchi spauracchi religiosi per impressionare l’opinione pubblica, ancora si confondono eutanasia, suicidio assistito, diritto a morire e rifiuto di terapie intensive invasive e inutili.
Nell’attesa di una legge
Nel ricordo di Eluana Englaro, nell’attesa di una legge che regoli le procedure mediche e che dia una chiara formulazione a questo tipo di problema, quel che ci resta da fare è compilare un documento virtuale di “dichiarazione anticipata di volontà”, privo – forse – di un valore giuridico, ma carico di significato morale e civile.
Lasciare un segno, far sentire la propria voce, far crescere il movimento a favore della sottoscrizione di carte di autodeterminazione è un dovere e una responsabilità di tutti coloro che sulla base della propria coscienza si rifiutano di accettare un’etica discriminante, che non accetta obiezioni e che crea vincoli morali oggettivi contro le libertà individuali. Non è un obbligo, il testamento. Vorremmo che fosse una scelta. Vorremmo essere liberi di scegliere e di agire secondo un’etica non religiosa.
È un diritto, in un Stato laico.
L’immagine: Maria Cristina Marri (Udc) presiede le Commissioni Affari generali e istituzionali e Sanità, Politiche sociali, Politiche abitative e della Casa, nel corso dell’udienza conoscitiva del 18 novembre 2009 con Rete laica Bologna, avente come argomento la delibera di iniziativa popolare, nell’ambito della campagna “Testamento biologico. Liberi di scegliere”; udienza richiesta dai consiglieri comunali Roberto Sconciaforni (Rifondazione comunista), Libero Mancuso (Sinistra per Bologna) e Giovanni Favia (Lista Grillo).
Alice Grasso
(LM BO n. 5, 23 novembre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 47, novembre 2009)
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