Il pretesto è banale: assistere a una delle tante gite scolastiche che si svolgono ai Fori Imperiali, a Roma, là dove una manciata di metri quadri rappresentavano l’ombelico del mondo, il punto d’origine di tutta la civiltà allora conosciuta e che, ancora oggi, noi occidentali veneriamo come la piazza per antonomasia, il luogo di confronto e di potere e di massimo incontro possibile. Se qualcosa doveva avvenire, avveniva lì. Se qualcosa doveva succedere e se si voleva assurgere a un ruolo davvero importante, era lì che bisognava essere: al centro di Roma imperiale, dove lo Stato più splendente dell’antichità aveva avuto inizio secoli prima.
Quindi, immaginate una scena cinematografica con sciame vociante di bambini nemmeno lontanamente coscienti dell’importanza del luogo in cui si trovano; e poi, insegnanti sull’orlo di un esaurimento nervoso per la manifesta impossibilità/incapacità di controllare la ciurma innocentemente becera.
Il passato come strumento di misura del futuro: dove dovremmo essere, ora, se volessimo essere al centro dell’impero terrestre? Se noi desiderassimo essere presenti sul luogo che davvero più conta, da cui è possibile acquisire visibilità e prestigio, dove dovremmo sistemarci strategicamente?
A Washington? A New York? No, direi di no…
A Londra? Nemmeno.
A Pechino? Ma no…
A Mosca? No. Come non di certo a Roma, non più. Nemmeno a Bruxelles. Né (per pura fortuna) in qualche sontuosa sede di una multinazionale qualsiasi imbevuta oltre ogni limite di senso del marketing.
E allora, dove? Dov’è l’ombelico del mondo, ora?
In Rete.
Su Internet.
Nel profondo incunearsi di un protocollo tecnico, astruso quanto ineccepibile. Nei meandri di una fittissima rete di cavi e/o di connessioni senza fili, capace di imbrigliare i sensi, le speranze, le ambizioni di alcune centinaia di milioni (a dir poco) d’umani assetati di connettività, sempre e ovunque, attraverso la quale riescono a dire la loro in modo autorevole su tutto e a tutti, come novelli principi del Foro dove possono intentare cause a difesa dei propri diritti o a favore di deboli sopraffatti dai soprusi dei potenti; dove possono accedere a contenuti informativi senza precedenti, rapidi ed esaustivi e abbondanti come mai, nemmeno ai tempi di Alessandria d’Egitto, si è mai visto. Questo è il nuovo punto di rotazione del mondo. Da qui parte il movimento di conquista del postumanismo, a cui bisogna sapientemente addizionare una qualificata consapevolezza del passato che, pur essendo tale, va tenuto in buona considerazione per evitare il ripetersi di errori grossolani, evitando così che le lezioni di vita e filosofiche, acquisite come un enorme archètipo, si dissolvano come neve al sole. Qualificata consapevolezza del passato che, però, non deve diventare un vincolo conservatore o, peggio, reazionario: il futuro ha bisogno di estremismi tesi verso la novità, concatenati, altresì, alla memoria storica; soltanto così il nuovo potrà estendersi oltre i limiti concessi alla nostra povera (perché fortemente limitata) mente e psiche. Profondo futuro è, in altre parole, desiderare che esso si avveri, comprendendo che l’inevitabile rischio d’ignoranza portato dalla novità è forte e che quindi il nuovo non potrà esistere senza il controllo attuato dal substrato del passato, della cultura. Il sentiero è stretto, ma può portarci lontano, lontano dall’umanità.
Dalla Rete, allo spazio profondo, in attesa della colonizzazione da parte della postumanità, il passo non è così infinito e improbabile come appare. Con un’accelerazione improvvisa, che mozza il fiato come se assistessimo alle scene clou di Tetsuo, una volta fatto il callo all’esistenza in un’altra dimensione (Rete), non sarà difficile adattarsi a un nuovo ambiente disumano come quello dello spazio profondo. Come sacchi di dati, i postumani potrebbero modellarsi alle necessità dell’assenza di gravità e delle radiazioni di fondo dell’universo, proprio come ora si adattano rozzamente alle regole dettate dalla bassa tecnologia di cui disponiamo, che ci permette di connetterci direttamente tramite gadget risibili (ridicoli in prospettiva futura, ovviamente) all’intero genere umano. Ci mancano alcuni passi fondamentali, quindi, per far quadrare uno spicchio verosimile di vita futura: in primis, passare al postumanismo; poi, trasmigrare parzialmente in altri continuum materiali e comunque artificiali e, in ultimo, architettare l’esistenza nello spazio profondo, patria naturale dell’olografia, dove tutto accade simultaneamente. Eccolo il nuovo Foro, quello ancora da immaginare ma già delineato. E’ ancora fantascienza, ma sempre più realistica. Quale software ci andrà in gita negli eoni futuri?
L’immagine: la copertina di NeXT Iterazione 06, bollettino di cultura connettivista.
Sandro Battisti
(LucidaMente, anno II, n. 8 EXTRA, supplemento al n. 22, 15 ottobre 2007)