Dopo la vittoria nella guerra civile su Mario e Cinna, esponenti dei democratici, Lucio Cornelio Silla, rappresentante degli aristocratici, per agevolare la propria azione e per riformare secondo uno specifico disegno lo stato, si fece conferire, attraverso l’approvazione della lex Valeria, poteri illimitati, assumendo la carica di dittatore a tempo indeterminato. Egli non desistette dal compiere altre stragi di avversari veri o presunti, nonostante i già numerosi lutti causati dalla guerra. Furono eliminati tutti gli oppositori politici e quanti avevano brandito le armi in favore dei democratici.
Il caso “Sesto Roscio” e Cicerone – Così furono pubblicate ogni giorno, per sei mesi, “liste di proscrizione”, ossia elenchi di condannati a morte, che tutti potevano uccidere rimanendo impuniti. I beni dei proscritti erano confiscati: diventavano proprietà dello stato e poi venivano venduti all’asta. Fu proprio durante la dittatura di Silla che Cicerone fece il suo ingresso nel foro. Molto rilevante è la vittoria conseguita nell’80 a.C. in difesa di Sesto Roscio, accusato di parricidio da Lucio Cornelio Crisogono, potente liberto dell’imperatore. Il celebre oratore sventa abilmente l’intrigo, volto a privare dell’eredità il suo cliente. Pertanto, in un episodio in cui si trova coinvolto l’ambiente sillano, il processo non poteva non avere una valenza politica, anche se Cicerone si rivela molto accorto nell’allontanare dalla persona di Silla ogni ombra di responsabilità.
L’operazione storico-letteraria di Giorgio De Angelis – “De Angelis prende spunto dalla celebre orazione ciceroniana, la Pro Sexto Roscio Amerino, […] un testo intriso di stile e grande retorica, per documentare una stagione della storia romana dominata dal malaffare degli uomini politici. L’autore entra nel mondo psicologico dei personaggi per mostrarci tutte le connessioni politiche, morali e materiali che agiscono storicamente alla determinazione del caso Roscio Amerino. […] La drammaticità dell’assassinio è miscelata con fini rappresentazioni di amori proibiti, con l’elogio tutto latino della vita campestre, con i goliardici sollazzi di benestanti alle prese con donne e donnine”. E’ con queste parole che il giovane critico letterario Marco Gatto, nella sua brillante Prefazione, presenta il libro Processo per Parricidio (Arduino Sacco Editore, pp. 264, € 18,00) di Giorgio De Angelis. Si tratta, per altri versi, di uno dei libri della “scuderia” di Bottega editoriale (cfr. www.bottegaeditoriale.it).
La morte di un possidente umbro a Roma – Nell’81 a.C. Roma si prepara a divenire la capitale del mondo, è una metropoli in festa in cui si celebrano trionfi e ludi in onore degli dei. Nel romanzo, la città e tutti gli altri luoghi sono descritti in modo minuzioso e attento, al punto da far dimenticare al lettore che sono trascorsi più di duemila anni. Sesto Roscio, un possidente di Ameria, cittadina umbra, si reca spesso a Roma per curare gli affari inerenti alle sue proprietà. Egli ha militato nelle fila di Silla e ora è cliente della potente famiglia dei Metelli. Il suo assassinio è descritto già nelle prime pagine. Al centro della narrazione ci sono, infatti, i soprusi attuati dai suoi uccisori per accaparrarsi le proprietà, sotto la falsa protezione di Silla, e l’arringa sostenuta da Cicerone in difesa del figlio del proprietario terriero. Il lettore intuisce che Roscio sta per essere ucciso: la descrizione si fa lenta per poi movimentarsi con il gioco luce della candela/buio della città di notte e giungere alla descrizione del momento reale dell’aggressione. I sicari, però, non avevano notato che, nascosto poco più in là, c’era un testimone, il quale aveva sentito la frase di Roscio, “traditore del tuo sangue”, che li avrebbe incastrati.
Un assassinio per interessi – La brutta notizia dell’omicidio del possidente raggiunge presto la sua famiglia, che si trova ad Ameria. Numerosi cittadini accorrono per esprimere il proprio cordoglio. Tra loro due ospiti inaspettati: il cugino Capitone e la moglie. Il padre di Capitone era fratello di Sesto e tra i due non era mai corso buon sangue per via di questioni d’interesse. Dopo la morte del padre, Capitone e il fratello Magno, che in quel momento si trovava a Roma, accentuano la loro ostilità nei confronti dello zio e della famiglia. La visita risulta lieta e si pensa che sia cessato l’odio, ma la vedova e il figlio nutrono in ogni caso dei sospetti, confermati dagli episodi successivi e da una frase d’avvertimento della giovane moglie di Capitone, che intanto si invaghisce del cugino orfano. Il nome di Roscio è inserito nelle liste di proscrizione, seppur ormai chiuse da qualche tempo, e i suoi poderi sono messi all’asta. Se ne impossessano i due nipoti e il liberto Crisogono. Quest’ultimo, all’insaputa di Silla, aggiunge il nome di Roscio tra i poscritti.
Una serie di delitti – L’unico testimone dell’assassinio e un amico del defunto, pronto anch’egli a testimoniare, vengono uccisi in un agguato. Capitone assassina la moglie perché si accorge della relazione con il cugino e teme che possa parlare: sono così eliminati i testimoni diretti e indiretti della morte di Sesto Roscio. La vedova e il figlio soffrono insieme e sperano che sia fatta giustizia. Successivamente entrano in scena i Metelli, che intervengono per far cancellare il nome dalle liste. La famiglia pensa di aver risolto i problemi, ma un nuovo colpo di scena risveglia l’attenzione del lettore: il giovane Roscio è aggredito e decide di rifugiarsi a Roma. Qui scopre di essere stato accusato di parricidio: “Quest’accusa è l’unica che impedisce all’erede di acquisire i beni paterni”. Aiutato dai Metelli e difeso dal giovane Cicerone, Roscio inizia un lungo e difficile processo.
Un aspetto sconosciuto di Silla – De Angelis spiega come “il processo a Sesto Roscio Amerino costituì la prima tessera che si staccò dal mosaico del disegno egemonico di Silla”. Questi è al culmine del potere: “Il popolo lo venerava come una divinità, l’aristocrazia di sangue, soddisfatta, avrebbe finito per abituarsi alla dittatura”. Egli, appellato Felix, si apprestava, con grande pomposità, a celebrare i “ludi della vittoria”, considerati i più grandi mai festeggiati a Roma, caratterizzati da uno sfarzo e da una prodigalità mai vista. Silla, da sempre conosciuto, attraverso i manuali di storia romana, come un dittatore crudele, contrario al volere del popolo e pronto solo a fare il bene dell’aristocrazia, perde in questo romanzo il proprio lato bellicoso per far emergere di più l’aspetto umano. E’ ignaro dei soprusi che avvengono sotto il suo nome, tenta di ristabilire la giustizia, soffre per la morte della moglie e teme di perdere il proprio potere. E’ un uomo che riflette, che si interroga e che, prima di essere deposto dalla sua carica, decide di abbandonare Roma e trasferirsi a Cuma. I tempi sono cambiati: egli intuisce che si sta preparando il terreno per il ritorno del potere democratico. Ormai deluso e amareggiato, inizia la stesura delle sue memorie nella propria villa campana, che divide con la nuova moglie.
Dalle fonti a una rappresentazione viva – La Vita di Silla di Plutarco è una fonte rilevante da cui l’autore ha tratto spunto per raccontare i particolari più intimi dell’esistenza di questo personaggio. La precisione delle date, della successione degli eventi storici e la presenza di qualche vocabolo latino non appesantiscono la narrazione, anzi la lettura è resa piacevole da una prosa semplice e lineare, dall’inserimento di dialoghi tra i personaggi e dalla descrizione di usanze dell’epoca. Infine, si può notare come la storia di Roma, di solito sospesa in un passato troppo remoto, quasi leggendario, in questo romanzo è attualizzata e trasferita a un livello di comprensibilità adatto a un vasto pubblico di lettori.
L’immagine: la copertina del romanzo di Giorgio De Angelis.
Lucia Mondella
(LucidaMente, anno II, n. 16, aprile 2007)