“Mormorii nella nebbia”: gli affascinanti “Racconti budriesi” di Giordano Villani. Un brano tratto da “L’ascensore”
Mormorii nella nebbia. Racconti budriesi (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 148, € 13,00 – undicesimo volume della collana di narrativa La scacchiera di Babele) raccoglie i migliori racconti del bolognese Giordano Villani, caratterizzati da un’ambientazione tipica (la pianura, la nebbia, l’acqua palustre), che fa da sfondo a un arcano mondo contadino, mentre le modalità narrative peculiari dello scrittore (la sospensione del tempo, l’onirismo, lo scompaginamento della “normalità” quotidiana, il mistero che sconvolge la quiete dei personaggi) si intrecciano a importanti tematiche quali il rispetto della natura, le domande sul destino ultimo dell’umanità, il rapporto vivi-morti; il tutto nell’ambito di una visione altamente etica dell’esistenza.
Per offrire al lettore un “assaggio” dell’opera, riportiamo due brani dal sapore “surreale” tratti dal racconto L’ascensore, in cui il protagonista, Giuseppe, si trova all’improvviso proiettato in una realtà affascinante ed enigmatica al tempo stesso.
Più che di un parco, si trattava di un’enorme costruzione di stile moderno, alta parecchi piani, con le pareti quasi interamente coperte da enormi vetrate dalle quali poteva penetrare la luce all’interno, ma riflettenti verso l’esterno. Al piano terra vi era un enorme portone, anch’esso di vetro, che si apriva automaticamente al passaggio di ogni persona che volesse entrare o uscire. Ai suoi angoli superiori erano montate alcune telecamere puntate in tutte le direzioni. Mentre Giuseppe si avvicinava, ebbe l’impressione che una di queste lo seguisse in ogni suo movimento e, a un certo punto, una voce lo invitò ad andare dentro chiamandolo per nome, cosa che lo fece rabbrividire, rendendolo ancor più esitante.
«Ma come fanno qui a sapere come mi chiamo? Non sono mai venuto e non ho certo telefonato per prenotare; e anche se fosse, in mezzo a tante persone come fanno a sapere che sono proprio io?». Infatti era tutto un andirivieni di tanta gente, che però aveva un atteggiamento anormale, passivo, quasi assente.
«Chissà, forse esiste già una rete satellitare in grado di identificare le persone! Di questo passo, però, dove andremo a finire? Non ci sarà più privacy e, in un futuro non molto lontano, non ci sarà più iniziativa individuale, ma saremo tutti inseriti in una memoria centrale e inquadrati come “polli d’allevamento”» rifletteva Giuseppe mentre era ancora insicuro su quale decisione prendere, ma poi la sua innata curiosità ebbe il sopravvento, e si incamminò verso il portone che nel frattempo si stava spalancando davanti a lui.
«Finalmente qualcuno a cui poter chiedere delle informazioni!» pensò Giuseppe quasi ad alta voce, come se volesse far udire ai presenti il suo disappunto. Infatti, appena entrato, notò sulla destra uno strano personaggio con una lunga barba rossa, che indossava una strana divisa, come quella dei portieri degli hotel di lusso. Anche i lunghi capelli che sporgevano dal berretto che gli copriva il capo erano di un rosso molto appariscente, non molto comune. Il copricapo inoltre aveva nella parte anteriore un vistoso fregio che gli parve molto familiare, ma che al momento non ricordava che cosa rappresentasse.
[…]
L’ambiente che si presentò ai suoi occhi era enorme, illuminato da una luce soffusa e pieno di strane poltrone simili a quelle che si trovano nei saloni degli acconciatori per signora, con in alto un casco munito di occhiali e pieno di connessioni. Stesi sui braccioli vi erano un paio di guanti anch’essi pieni di fili che facevano capo, assieme a quelli provenienti dal casco, a una strana apparecchiatura che si trovava fissata alla parete antistante. Alcune erano occupate da persone che parevano intente a dialogare con qualcuno, anche se del loro interlocutore non c’era traccia, e altre erano vuote. Mentre si guardava attorno pieno di curiosità, una voce lo fece sobbalzare:
«Il signor Giuseppe è invitato a sedersi sulla poltrona numero 47 e a indossare il casco e i guanti». Questa totale mancanza di privacy lo lasciò alquanto interdetto, ma seguì ugualmente l’indicazione che gli era stata elargita.
Che spettacolo, che pace! Gli pareva di essere giunto in un’altra dimensione, dove la luce era molto tenue e i rumori molto gradevoli all’udito. Infatti, in sottofondo, si udiva una piacevolissima melodia che infondeva grande serenità e voglia di proseguire nel bizzarro viaggio verso l’ignoto.
(da Giordano Villani, Mormorii nella nebbia. Racconti budriesi, Prefazione di Valentina Conti, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: tramonto nella “Valle di Benni” in località Mezzolara di Budrio (foto dello stesso Villani).
Erika Casali
(LM Extra n. 13, 15 dicembre 2008, supplemento a LucidaMente, anno III, n. 36, dicembre 2008)