Il profilo psicologico della donna dedita all’uso di stupefacenti è complesso e ha radici psicanalitiche. Purtroppo in questi casi la maternità è irresponsabile e i figli vengono trascurati
Purtroppo i casi di infanticidio o di maltrattamenti verso bimbi di pochi mesi o anni hanno riempito e riempiono di continuo la cronaca italiana. Uno degli ultimi casi, risoltosi per fortuna felicemente lo scorso 16 maggio, grazie alla bravura della nostra Polizia di Stato, è quello della bambina di Novara scomparsa da un anno (per i dettagli vedi quanto riportato dallo stesso sito ufficiale della Polizia).
Tale vicenda è significativa perché, come in molti altri fatti del genere, le persone che avrebbero dovuto occuparsi della bimba erano tossicodipendenti (leggi pure il nostro La tossicodipendenza: malattia o vizio?). Nel seguente articolo cercheremo di indagare le problematiche psicologiche delle madri tossicomani, dai comportamenti spesso derivanti dal loro vissuto antecedente.
La madre tossicodipendente proviene quasi sempre da una famiglia disfunzionale
La ragazza che abusa di stupefacenti e alcol è, nella maggioranza dei casi, figlia di madri maltrattanti o, comunque, assenti, disinteressate e anaffettive. Sarebbe erroneo postulare in maniera automatica che questa disfunzionalità genitoriale sia un fattore ereditario, ma non si può di certo negare che aver avuto una madre non idonea provoca gravi conseguenze intergenerazionali, nel senso che la figlia tenderà a ripetere la sua esperienza negativa con la propria figliolanza. Si crea, in tal modo, un circolo vizioso che può essere spezzato solamente attraverso una seria e duratura disintossicazione.
Al contrario, Cesare Lombroso (1835-1909) e i suoi seguaci della Scuola positivistica affermavano che trascurare i figli costituisce una condotta deviante di matrice genetica. Ma persino negli anni Duemila alcune neuroscienze parlano di presunte tare ereditarie che affliggerebbero necessariamente e deterministicamente le figlie tossicodipendenti di madri distanti ed egocentriche.
Questa visione eugenetica va rigettata con vigore, poiché la tossicomania, con le sue conseguenze a livello di mancato svolgimento dei compiti materni, costituisce una scelta personale non riconducibile a una predisposizione psicofisica o cerebrale. D’altra parte, anche il DSM-V (Catalogo ufficiale dei disordini mentali) nega che il Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) sia direttamente o indirettamente legato a fattori ereditari inamovibili e, per così dire, algebrici.
La tossicodipendente-mamma ha subìto un attaccamento erroneo alla propria madre
La donna affetta da DUS tenderà a ripetere con il proprio bambino le medesime dinamiche drammatiche vissute con la madre. Come abbiamo visto, frequentemente la ragazza tossica ha avuto una figura femminile di riferimento assai periferica e disinteressata. Anzi, molto spesso si verifica una vera e propria “inversione dei ruoli”, per cui la madre richiede implicitamente alla figlia di diventare presto adulta per darle un sostegno morale.
Nella Criminologia europea e nordamericana, si parla sovente di madri “periferiche”, che inducono nelle figlie femmine la volontà di rifugiarsi nella droga e nelle bevande alcoliche per trovare consolazione. Pertanto, la sostanza d’abuso si trasforma in un “farmaco-amico” che fa dimenticare le dinamiche familiari dolorose subite durante la gioventù.
Invece, nella quasi totalità dei casi, il ragazzo che manifesta un DUS riferisce un rapporto positivo con la madre, mentre il padre è descritto, in sede di terapia, come assente o violento. Viceversa, le adolescenti femmine esternano problemi con la madre, allorquando il padre viene dipinto come abusante o distaccato. Non mancano, certo, figlie femmine che ricordano una figura genitoriale maschile affettuosa, ma si tratta, per lo più, di idealizzazioni romantiche non attendibili e, soprattutto, non corrispondenti con la realtà.
L’ipersessualità della tossicofila, maternità irresponsabili e gravidanze avvertite come peso
L’ultra-13enne che decide di entrare nel mondo delle droghe (vedi Eroina sintetica: la morte di massa sta tornando) ha una sessualità molto disinibita, cambia frequentemente compagno/fidanzato/convivente e cerca nel maschio una compensazione che la consoli e che ripari al mancato affetto ricevuto dalla propria madre durante l’infanzia e l’adolescenza. Detto in termini psicoanalitici, la tossicofila “proietta” sul partner i suoi ideali e cerca mediante il sesso sfrenato di mettere a tacere i traumi ricevuti. Dunque, la ragazza assuntrice di stupefacenti si adultizza precocemente, ma ciò non è sempre positivo o, quantomeno, è limitato alla sola sfera della sessualità.
La donna uncinata dall’abuso di sostanze non si prepara affatto a una maternità responsabile, soprattutto quando alla dipendenza e all’alcolismo si accostano disturbi alimentari come l’anoressia o la bulimia. Cercare nel sesso sregolato una modalità per riempire i vuoti emotivi dell’infanzia e della pubertà non significa essere successivamente in grado di gestire un figlio.
La ragazza abusatrice di sostanze vorrebbe “purificarsi” attraverso la gravidanza
È frequente che la ragazza tossica percepisca la gravidanza come una catarsi. La donna tossicodipendente, anziché pensare alle nuove responsabilità genitoriali, crede di rinnovarsi grazie al bambino, che rappresenterebbe per lei un’occasione di riscatto. Tuttavia, la realtà concreta è ben diversa. Infatti, ben presto, dopo il parto, la tossicomane si rende conto che la maternità non è una passeggiata e che l’essere diventata madre comporta una responsabilizzazione assoluta e totalizzante, che non si può acquisire in nove mesi.
Rimanere incinta non ha alcunché di purificatorio, fatto salvo il supremo dovere di salvaguardare, in ogni caso, la vita e la dignità intangibile del concepito. Anzi, aspettare un bimbo aumenta il disagio della donna uncinata, la quale, oltretutto, solitamente si prostituisce e non possiede il necessario equilibrio per gestire da sola il bambino. Cosicché, la genitorialità viene spesso delegata a figure diverse, come i nonni o i parenti prossimi.
Soprattutto, è in generale scomparsa la consapevolezza della sacralità del nascituro e della dignità profonda dell’essere madre
Anche al di fuori di contesti segnati dal DUS, in epoca attuale la maternità non viene “insegnata” adeguatamente. Le coppie vivono il loro rapporto in una visione semipornografica ove non v’è spazio per la gravidanza e per l’essere genitori. I conviventi/fidanzati/coniugi vivono in una bolla di erotismo bestiale vissuto all’interno di una sorta di perenne viaggio di nozze. Il divertimento e il sesso ludico-ricreativo divengono spesso il cardine della famiglia e la genitorialità è percepita come un incidente di percorso da tollerare solo in tarda età.
Alla bambina, a prescindere dall’eventuale successiva tossicodipendenza, è insegnato che “piacere” è l’unica moneta spendibile e la maternità viene ridotta a un gioco o, quantomeno, non è una priorità. Manca una mentalizzazione etica dell’avere figli, il che diventa ovviamente ancor più problematico se i genitori fanno uso di sostanze d’abuso
Ancor più grave, le adolescenti contemporanee sono abituate a concepire la gravidanza come un peso inutile, di cui sbarazzarsi disinvoltamente senza pensare alla dignità inviolabile del concepito.
Le immagini: a titolo gratuito da Pixabay (una foto di VaniaMargaridaSl, rebcenter-moscow, veriserpa e Gabovideo).
Andrea Baiguera Altieri
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)