Nel corso del Festival dell’Oriente, che si è tenuto il mese scorso a Bologna, abbiamo incontrato e intervistato in esclusiva per “LucidaMente” lo scrittore Vittorio Russo, che ha svelato passioni ed emozioni legate alla magia di una terra lontana e controversa
In occasione del Festival dell’Oriente, tenutosi dal 26 febbraio al 6 marzo scorsi a Bologna, tra cerimonie, folklore, discipline bionaturali ed esibizioni a ritmo di tamburi, abbiamo intervistato per Lucidamente lo scrittore Vittorio Russo, grande appassionato di storia, miti e viaggi, capitano di lungo corso e autore di saggi e racconti. Tra le sue più recenti pubblicazioni, L’India nel cuore (Baldini&Castoldi, pp. 410, € 20,00).
Abbiamo cercato di capire la sua percezione dell’India (vedi anche Frammenti sulle rive del Gange) e di scoprire i motivi che lo hanno spinto a esplorare i territori inaccessibili di quella che è ancora considerata, dagli occidentali, una realtà fortemente controversa, oltre che sconosciuta. «Per un istante che dura un’eternità, mi sono sentito battere in petto il cuore dell’India intera»: da questa frase, tratta dall’ultima di copertina del suo volume, parte l’intento dell’intervista di cogliere alcuni aspetti del magico Oriente. E invitare anche alla lettura di un libro fuori dall’ordinario, per completezza descrittiva e minuzia di particolari, e oggetto di importanti riconoscimenti (Premio letterario nazionale Albori-Costa d’Amalfi 2012 efinalista al Premio Rea 2013).
Vittorio Russo, grazie per essere nostro ospite. Reduce dall’ennesimo viaggio, lei porta la sua testimonianza al Festival dell’Oriente di Bologna. L’India si è lasciata scoprire in tutta la sua profondità e bellezza o si è dovuto scontrare con la sua drammatica e fragile realtà?«L’India può essere considerata un continente a sé: ha una superficie pari alla metà di quella europea, con una popolazione pressoché doppia. Non credo esista qualcuno capace di sostenere di conoscerla. Ne scopri un aspetto ma due passi dopo ti imbatti nella sua antitesi. Ecco, questa è l’unica affermazione irreversibile che si può fare su di essa».
Tra le molte perle asiatiche, perché predilige proprio l’India?«In genere, si dice “questa è una domanda difficile”. Non è così in questo caso. Da sei millenni a questa parte l’India è lo scrigno di tutte le ricchezze dello spirito umano, il laboratorio più vasto e duraturo della ricerca di Dio, la fucina del pensiero nel suo eterno divenire, perché ex India lux. “India” è pur sempre una sintesi espressiva limitata: ci sfuggono le sue dimensioni, i suoi affollamenti impensabili e non solo demografici, ma culturali, spirituali, fatti di tradizioni, lingue, civiltà, abitudini e storie. L’India è anche contaminazione degli opposti: il luogo dove tutto è vero come tutto è falso. L’India dalle duplicità contrapposte: fame e sazietà, buio e luce, caldo e freddo. Insomma, un universo in miniatura che cattura il viaggiatore al primo contatto, lo esalta e gli imprime nei ricordi un’immagine sublimata di sé, in particolare quando, credendo di uscire dal Paese da una delle mille porte da cui è entrato, in realtà non ne trova neppure una per andarsene».
A quale aspetto dell’India si sente più legato?«Ai bambini che sorridono ammaliati da una caramella. Sono loro la sintesi del luogo, “melodie viventi”, come li ho definiti nel libro. Sono gli aquiloni della terra, il non-tempo della condizione umana, con il loro osservarti ingenuo e rapitore, inconsapevoli della vita, con quei sorrisi sui volti sporchi che sono l’armonia perfetta di una cantoria fiorentina. Ecco, questa è l’India alla quale sono legato. Ogni viaggio là è sempre una scalata, un andare in un tempo e in una storia che non sono nostri. I bambini sono il fragile ponte levatoio di quel mondo sognante e brutale. Tutto il resto, coinvolgente come un sogno di eternità, è mistero della riflessione antica».
Accanto al tentativo di fissare il bello e il brutto di un’esperienza, nei video dei suoi viaggi emerge l’intento di contrassegnare con rigore e lucidità ogni tratto d’immagine. Quando le parole del narratore devono cedere il passo allo sguardo libero ed essenziale dell’osservatore?«Questa domanda mi obbliga a svelare la mia fragilità e a mettere a nudo il cuore, vorrei dire, alla maniera di Charles Baudelaire. Sono entrato in India sempre in punta di piedi, svestendomi, credo, dell’arroganza etnocentrica di noi occidentali, cercando di essere uncronista. Ho provato a capire osservando, senza coinvolgimento. Ahimè, ciò che è possibile a ogni latitudine non è ripetibile in India. Qui metti in atto un “braccio di ferro” con la tua volontà e perdi sempre, inesorabilmente. Ti vince l’emozione e il cuore non regge davanti agli occhi intensi di bambini che sono batuffoli d’innocenza, che ti volano intorno come pesciolini rossi in un acquario. Qui i suoni della vita diventano armonia. E allora cedono anche le fibre più tenaci. Vai in Oriente per realizzare un reportage e scrivi L’India nel cuore. Nel titolo del libro credo si trovi la risposta alla sua domanda».
Affinché una realtà complessa e distante sia davvero compresa e condivisa, è l’osservatore o il cronista a prevalere?«Susanna Tamaro ha suggerito di andare “dove ti porta il cuore”. Parafrasandola, posso affermare che, in India, col solo cuore non vai lontano, ma senza cuore non vai da nessuna parte. Non c’è cronista che abbia attraversato questa terra, percorrendola nei suoi sentieri più stretti e vietati, senza averne subìto il fascino e senza aver messo da parte il proprio rigore: penso a Hermann Hesse e ad Alberto Moravia. Per l’osservatore privo di un’adeguata preparazione è difficile percepire, anche con sensi educati, le raffinatezze culturali del Paese come le grossolanità delle sue miserie, la sua elevazione spirituale e il suo squallore estremo. Tuttavia, di nessun’altra geografia i cronisti hanno potuto dire cose tanto antitetiche come per l’India, proprio per via del filtro tesissimo che separa il soggettivismo assoluto dell’osservatore dalla realtà, mutevole a seconda del punto di vista».
Lo studio della storia e delle usanze di un popolo fornisce informazioni sulla molteplicità degli elementi che lo caratterizzano. Come ci si può soffermare sui particolari senza compromettere il rapporto autentico e originario con il territorio?«Occorre una straordinaria capacità per coniugare le molteplici civiltà che, nel corso dei millenni, hanno formato quella che oggi chiamiamo India. Difficilissimo trovare chi disponga di questo talento. Non sono io, in ogni modo. Il miracolo di tale Paese è che esso sussiste nella commistione di centinaia di popoli che si sono congiunti e contrapposti: stupisce che riesca addirittura a esistere una nazione con un’infinità di tradizioni, 330 milioni di dèi (chi li conta più!) e 500 lingue, comunque insufficienti per capirsi fra chi abita nella stessa geografia ma non nella stessa storia, come ha scritto Tiziano Terzani. Per esempio, un indiano del Kèrala e uno dell’Assam, per intendersi, parlano inglese o non parlano…».
Che cosa resta dell’antico rapporto tra storia e leggenda equale delle due componenti sopravvive?«Storia e leggenda in India sono sorelle di sangue, perché, se le leggende sono la visione sognante della storia, intesa come evento che dà senso al tempo, quest’ultimo ha una dimensione lineare e indefinita (come nella civiltà cristiana dell’Occidente), che proietta miti, tradizioni e antichità nell’eternità dei sandhi e dei kalpa degli Yuga (le età del tempo). Il sapere dell’India esiste prima della storia, prima delle narrazioni e prima del tempo stesso. Poi c’è anche il Paese della contemporaneità, ma, in buona sostanza, essoabita nei numeri, nelle statistiche, nelprodotto interno lordo».
Tra i lati oscuri, vi è una dimensione maschilista e sessuofobica che ancora oggi miete tra le donne di ogni età centinaia di vittime. Come è possibile ignorarla?In India, pur nella ricchezza di tanta teorica democrazia, nulla realmente cambia, perchéle figure più autorevoli sono figlie della cultura delle caste e delle tradizioni ineliminabili. All’usanza delle sathi, le vedove che si lasciavano ardere sulle pire degli sposi morti in combattimento contro gli invasori musulmani, è seguita la legge inglese dell’inizio dell’Ottocento che ne vietava l’esecuzione. Essa è stata rafforzata più volte ma è sempre costantemente disattesa, anche oggi. Nei villaggi, molte morti accidentali di donne che hanno lasciato i fidanzati mascherano in realtà una sathi o un suicidio (che è piuttosto un omicidio), non denunciati da una polizia connivente».
Che cosa è possibile aggiungere, invece, sulle cerimonie sacre di purificazione che si svolgono al tramonto?«Non si può aggiungere nulla alla perpetuità di un rito, quello delle cremazioni a Varanasi in particolare, sul Manikarnika Ghat, che dura ininterrottamente da quattromila anni, giorno e notte. Che piova o splenda il sole sulle sciagure umane, niente arresterà mai una tipologia di celebrazioni che nasce nel mito e muore nell’eternità».
Ai piedi dell’Himalaya, a Rishikesh, prima dell’alluvione del 2013, si trovava la grandiosa statua di Ganga Mata (Madre Gange). L’enorme divinità Shiva sembrava voler distrarre da miseria e mani tese. Che cosa resta oggi del luogo?«Ahimè, non rimane più nulla della gloria dei monumenti e delle immagini sacre. Sono stato a Rishikesh di recente eho constatato con dolore i danni immensi causati dalla violenza del fiume Gange nel giugno del 2013. Oltre alla distruzione dello splendido Shiva di fronte all’Ashram [luogo di meditazione, ndr], lo Swami [guru spirituale, ndr] ha espresso il suo tormento per le conseguenze drammatiche sull’ambiente e per le 60 mila vittime di quel disastro, al quale la stampa occidentale ha fatto cenno con assoluta superficialità».
Quanto è possibile, per un viaggiatore, assorbire la cultura di un luogo e poi rientrare nella propria quotidianità un po’ come se nulla fosse?«Se entri in India e la osservi con gli occhi giusti, non ne esci, neanche quando sei tornato a casa. Se l’hai “sentita”, non ti immergi nella quotidianità come se nulla fosse. Dopo l’India niente è più uguale a prima. Mi rincresce ricorrere a questa espressione consumata dall’uso, ma è efficacissima e vera».
Le immagini: la copertina del libro L’India nel cuore; Vittorio Russo; donne indiane; una foto di Rishikesh; statua della divinità Shiva; tradizionali cremazioni a Varanasi.
Margherita D’Amico
(LucidaMente, anno XI, n. 124, aprile 2016)
Uno splendido pezzo di Margherita d’Amico capace di sollecitare con domande attente e profondamente ragionate la curiosità del lettore prima di scoprirne la risposta nelle parole dell’autore.