I terribili totalitarismi delineati nei celebri romanzi di Huxley, Bradbury e Kesey
“Vi prego di capire. Non vi imponiamo certe regole e certe restrizioni senza aver prima riflettuto a lungo sul loro valore terapeutico. Molti di voi si trovano qui perché non riuscivano ad adattarsi alle norme della società nel mondo esterno, perché si rifiutavano di affrontarle, perché tentavano di aggirarle e di evitarle. A un certo momento – forse nella fanciullezza – può darsi che vi sia stato consentito di ignorare le regole della società. Quando ne violavate una, ve ne rendevate conto. Avreste voluto essere puniti, avevate bisogno di essere puniti, ma la punizione non veniva. Questa stolta indulgenza da parte dei vostri genitori può essere stata il germe che ha causato la malattia attuale. Vi dico questo nella speranza di farvi capire che noi imponiamo la disciplina e l’ordine esclusivamente per il vostro bene” (Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo).
Impedire di pensare o, meglio, addomesticare i pensieri convincendo al conformismo è il leit motiv dei sistemi di potere nei tre romanzi che esamineremo in questo nostro saggio.
Il primo, in ordine cronologico di pubblicazione, è Il mondo nuovo (Brave new world, 1932) di Aldous Huxley, col successivo saggio Ritorno al mondo nuovo (Brave new world revisited, 1958), entrambi editi in Italia da Mondadori.
Il secondo è Fahrenheit 451 (1954) di Ray Bradbury, anch’esso pubblicato nel nostro Paese da Mondadori e dal quale è stato tratto il celebre film di François Truffaut (1966).
Infine, Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cuckoo’s nest, 1964) di Ken Kesey, da noi dato alle stampe da Rizzoli, e da cui è stato tratto il film (1975) di Milos Forman, con protagonista uno straordinario Jack Nicholson.
Tre antiutopie.
Potere totalitario, Controllo tentacolare – L’atmosfera che, infatti, vi si staglia con icastica evidenza è quella del Potere totalitario, che prende la forma del Controllo tentacolare, che cova uomini condizionati e immaturi, al fine di forgiare una massa imbelle cui propinare slogan. Controllo che Huxley fa iniziare già dalla fecondazione artificiale “in vitro”, predestinando il nascituro ad libitum a caste sociali immutabili:
“Il principio della produzione in massa applicato finalmente alla biologia; […] Noi, inoltre, li predestiniamo e li condizioniamo. Travasiamo i nostri bambini sotto forma d’esseri viventi socializzati, come tipi Alfa o Epsilon, come futuri vuotatori di fogne o […] futuri governatori mondiali… […] Non c’è nulla come la penuria di ossigeno per mantenere un embrione al di sotto della normalità. […] Più bassa è la casta e meno ossigeno si dà. […] Il primo organo a risentirne è il cervello”.
Esseri tipizzati per il bene della “stabilità sociale”, il che, nei tre romanzi, significa che chi è al Potere ci deve restare, e a tutti i costi. Ogni nuovo nato potrebbe apportare un nuovo e libero punto di vista sulle cose, e, quindi, è potenzialmente in grado di compromettere la stabilità del Sistema: ecco perché il Potere ritiene corretto limitare la libertà di realizzarsi come identità dotata di ragione, troncando la maturazione culturale ed emotiva, addirittura caricandosi, ne Il mondo nuovo, del potere “biologico” sopra l’individuo. L’immagine di sé non deriva così dalla conoscenza di se stesso, ma dalla tecnica dell’ipnopedia:
“La massima forza moralizzatrice e socializzatrice che sia mai esistita. […] Fino a che, da ultimo, la mente del fanciullo sia queste cose suggerite, e la somma di queste cose suggerite sia la mente del fanciullo. E non solo la mente del fanciullo. Anche quella dell’adulto, per tutta la vita. La mente che giudica e desidera e decide, costituita da queste cose suggerite. Ma tutte queste cose suggerite sono suggerimenti nostri”.
Metafora di come l’indottrinamento delle masse alimenti la forza del Sistema totalitario. Nel romanzo, non a caso, gli unici due che cominciano a dubitare del modo in cui il Potere viene esercitato appartengono alla sola casta che è predisposta dalla biotecnologia a sviluppare le piene capacità intellettive.
“Ognuno vien fatto uguale” – Il distintivo del Controllo in Fahrenheit 451 è, invece, la sorveglianza poliziesca. I vigili del fuoco incarnano le forze regolari di polizia, ma anche ogni abitante fa la sua parte. Tutti i cittadini, come conversi che si dedicano alla causa, rientrano in un ottimo sistema di spionaggio, pronti a denunciare il proprio vicino. L’intellighenzia, facendo in modo che non ci si possa fidare di nessuno, costringe ad un unico modus vivendi: apparire (anzi scomparire) identici agli altri. Ogni differenza comporta l’individuazione di qualche allontanamento alla norma e pertanto risulta sospetta:
“Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che ognuno nasca libero e uguale, come dice la Costituzione, ma ognuno vien fatto uguale. Ogni essere umano a immagine e somiglianza di ogni altro; dopo di che tutti sono felici, perché non ci sono montagne che ci scoraggino con la loro altezza da superare, non montagne sullo sfondo delle quali si debba misurare la nostra statura! Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l’arma. Castriamo la mente dell’uomo. Chi sa chi potrebbe essere il bersaglio dell’uomo istruito?”.
“È la società a decidere chi è pazzo e chi non lo è” – In tutte e tre le narrazioni, il Governo, figura tetragona che non tollera critiche, ha l’obiettivo di perseguire gli individui in grado di pensare fuori dal coro in quanto pericolosi al Sistema. Montag – il protagonista di Fahrenheit 451 -, però, fin dall’inizio, fa il doppiogiochista. A casa sua nasconde dei libri, anche se continua ad incendiarne altri per lavoro. Della resistenza fa già parte anche il personaggio vincitore in Qualcuno volò sul nido del cuculo, l’Indiano, che, pur rispettando il Regolamento, rivela di avere già nel sangue il bacillo della ribellione, negando ogni tipo di comunicazione che i pazienti devono avere con l’infermiera nelle terapie di gruppo e fingendosi muto. Nel romanzo di Kensey il Potere è ancora più oppressivo. C’è il dominio esteriore: le divise, la vetrata, il Regolamento, i farmaci, l’elettroshock, le cinghie con le quali si legano gli “agitati”; e poi esiste quello più subdolo che mira a modellare le anime. Le divise indicano l’appartenenza, e sono il simbolo dell’omologazione. L’abbigliamento è violenza che convince l’individuo a non perturbare l’ordine sociale, e la stessa divisa per tutti indica che per la società tutti (i pazzi) sono uguali.
“So che è la società a decidere chi è pazzo e chi non lo è, e per conseguenza bisogna adeguarsi” dice l’Indiano.
Allegrezza e trasgressione, nemici della “Cricca” – McMurphy, il protagonista di Qualcuno volò… si differenzia anche con l’uniforme indosso, avvolgendo nella mezza manica della giubba all’altezza della spalla, il pacchetto delle sigarette o le inseparabili carte da poker: diverse dalle solite cinquantadue, rappresentano, invece, altrettante posizioni di signore in déshabillé. Per non parlare dell’inusuale abbigliamento intimo – “grandi balene bianche che guizzano qua e là sulle mutande” – che sfoggia sfilando con sussiego, sotto il naso della Grande Infermiera, dopo aver fatto la doccia. La sua spontaneità, in quanto rappresenta l’imprevedibilità dell’animo umano, è per la Cricca (“Cricca” è il termine che nel romanzo indica l’indefinito e sovrastante sistema di potere) di ostacolo al controllo. Però è l’allegrezza goliardica a rivelare l’incontrollabilità dell’elemento McMurphy. La sua frequente risata rivela il modo sacrilego con cui ha intenzione di porsi nei confronti del Regolamento. Da una parete di vetro, che ha il compito di enfatizzare le distinzioni tra chi sta al di qua e chi è al di là, la Grande Infermiera sorveglia perennemente gli internati. Il pugno con cui il personaggio, che nel film di Forman sarà interpretato da Nicholson, sfonda la vetrata è la profanazione del luogo vietato portata a termine. Preannuncia anche l’altro ben più grave sconfinamento, quello dell’entrata delle prostitute all’interno dell’ospedale, che contribuirà a convincere della necessità di effettuare la lobotomia per ammansire il paziente McMurphy.
Regolamenti “perfetti” e immutabili – In queste storie, Regolamenti e Leggi non sono perfettibili perché già perfetti e quindi immutabili. Nel romanzo di Kesey il Regolamento è il trompe-l’oeil di tutta la giornata, ossia un impiego del tempo minuzioso e “virtuoso” in cui la cura del particolare si rivela analoga a quella delle regole monastiche o dei sistemi carcerari (“6:30 le lampade si accendono nel dormitorio; 6:45 ronzano i rasoi elettrici; 7:00 si apre la sala mensa; 7:30 si torna nella sala comune”, etc.). La Cricca ritiene che i pazienti, in quanto mentalmente disturbati, non siano in grado di amministrarsi da sé e quindi il potere si giustifica come l’autorità di un adulto nei confronti dei bambini. Se questo modo di ragionare è ovvio in Qualcuno volò…, dato il luogo dove è ambientato il romanzo, meno lo è per le altre due storie dove è la Legge a svolgere proprio la stessa funzione. Agli individui, non avendo alcun altro modo di stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non rimane che accettare ciò che impone il Sistema. I Regolamenti, infatti, funzionano soprattutto per impedire che qualsiasi caso di coscienza insorga e, pur con diversi dosaggi di lusinghe e violenze, in tutti e tre i romanzi la popolazione baratta la libertà di pensiero con la “sicurezza” della comunità.
Un voto falsato – Nonostante ciò, in Qualcuno volò… c’è una parvenza di democratiche votazioni. Dopo una prima votazione sulla scelta di vedere o meno il campionato di baseball in tv, dal risultato deludente, a causa dello spirito rinunciatario dei suoi camerati, McMurphy scommette, perdendo, di riuscire a sollevare il quadro di comando fatto di acciaio e cemento:
“Ci ho provato. Maledizione, questo almeno l’ho fatto, no?”
E così, quando propone una nuova votazione per il baseball, stavolta anche gli altri, seguendo il suo esempio, ci provano ed alzano la mano:
“[…] finché sono tutti là, tutti e venti, e alzano la mano non soltanto per vedere la tv, ma contro la Grande Infermiera, contro il suo tentativo di trasferire McMurphy agli Agitati, contro il modo con il quale ha parlato e agito e li ha conculcati per anni”.
Tuttavia l’infermiera, barando, mantiene il suo potere iugulatorio:
“Ci sono quaranta pazienti nella corsia, signor McMurphy. Quaranta pazienti e soltanto venti hanno votato. Lei deve disporre della maggioranza per modificare il regolamento. La votazione è finita, temo”.
Nota: il reparto è diviso in due parti comprendenti venti malati Acuti, però in grado di intendere, e venti Cronici, giudicati non in grado di relazionarsi con gli altri. E tra questi l’Indiano alza la mano, un segno di amicizia verso McMurhpy, che è anche una proposta di libertà. Ma, secondo Miss Ratched, la Grande Infermiera, ormai… “la riunione era chiusa”.
Umiliazioni e sfruttamento delle debolezze – Ma è con la fine psicologia che si scatenano emozioni negative e paure (“Non ti vergogni? Come la prenderà tua madre?”) in chi non segue le regole. Infine, uno dei metodi prediletti della Grande Infermiera è favorire la delazione fra pazienti:
“Si spiano a vicenda. A volte un uomo dice qualcosa di se stesso che non intendeva lasciarsi sfuggire, e uno dei suoi compagni, al tavolo al quale ha parlato, sbadiglia, si alza, si avvicina furtivo al grande registro accanto alla sala infermiere e scrive l’informazione che ha udito. […] chi trascrive un’informazione sul registro tocca una stelletta accanto al proprio nome nell’elenco e il giorno dopo va a coricarsi più tardi”.
I ridicoli premi agli autori delle denunce sono escogitati apposta per umiliare l’individuo e dimostrargli quanto meschino sia e per quanto poco tradisca. Ma il peggio avviene durante la terapia di gruppo, durante la quale, svelando il loro passato alla Grande Infermiera, i pazienti la investono del potere di evocare a suo piacimento i loro traumi.
Il suo dominio va oltre la regolazione della vita personale di ognuno tramite le regole: è in grado di farli sentire deboli, inutili per la società che sta fuori.
Il valore dell’amicizia e dei rapporti umani – La distorsione del passato è un altro punto in comune in queste antiutopie, come, del resto, in 1984 di George Orwell. Manipolando la coscienza storica, il Potere acquisisce un immenso influsso sui ricordi che amministra. Fa sì che non si possano pensare alternative diverse a quelle che si stanno vivendo e che le condizioni del presente risultino immutabili. Il futuro si cristallizza. Ciò che il totalitarismo cerca incessantemente di fare è sottrarre diritti umani, e il diritto ad un futuro diverso è uno dei tanti. Ogni operazione mentale crea sempre una sorta di dipendenza dal contesto sociale. E, così, la svolta per i personaggi, la crisi che li fa ragionare sulla norma alla quale pensavano di doversi conformare, arriva dal contraltare di una relazione di amicizia. Quest’ultima è il salvagente in tutti e tre i romanzi, implica la compagnia fidata e fiduciosa, il sostegno di qualcuno che comprende, rispetta e fa trovare il coraggio di esprimere le proprie idee. E’ l’inizio dell’emancipazione. Nell’individuo conforme alla massa, invece, i rapporti umani restano superficiali. In Fahrenheit 451 emblematiche risultano le parole di Clarissa:
“[…] la gente non dice nulla. […] Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose, e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri”.
L’invincibile desiderio della felicità – La felicità è, in questi romanzi, un imprescindibile desiderio umano. Peraltro, è sottolineata la sua precarietà e il suo limite temporale. Nell’opera di Kesey, sono due i momenti che offrono boccate di felicità. Primo: l’uscita per la partita di pesca che, però, lascia ai malati il retrogusto della consapevolezza di non essere ancora in grado di stare tra la gente normale. Secondo: il festino con le ragazze fatte entrare nottetempo in corsia con gli alcolici. Nello stordimento da sbronza gli internati, però, già col senno di poi, prefigurano mestamente la dura punizione che avrebbero ricevuto l’indomani dalla Grande Infermiera:
“Ci saturerà a tal punto di tranquillanti da cancellarci completamente dall’esistenza”.
Il solo a vedere questa eversione come il primo passo verso qualcosa di presumibilmente migliore è l’Indiano:
“Forse, tutto sommato, la Cricca non era poi onnipotente. Che cosa avrebbe potuto impedirci di ricominciare daccapo, dopo aver constatato che era possibile? O impedirci di fare altre cose che avessimo voluto? Mi sentii così felice…”.
La felicità per l’Indiano è la presa di coscienza di sé. A condurlo in clinica era stata la Cricca che, riducendo suo padre, grande capo indiano, a un ubriacone, aveva fatto sentire sconfitto pure lui; ma, rendendosi conto che si può provare a vincerla, contrasta i condizionamenti ricevuti e prova quella felicità che prevede una certa enkrateia socratica attraverso la quale deve realizzare la sua lotta per riprendersi la forza e la volontà di pensare e agire.
Insulsi divertimenti come valvola di sfogo – Accomunando le tre storie, possiamo dire che, finché non si riesce ad immaginare che l’ordine costituito non è equo, né inevitabile, nessuno si può impegnare nel suo rovesciamento, o, perlomeno, cambiamento. Per il Sistema, la felicità è intesa soltanto come divertissement, una felicità switch, ad interruttore, studiata per far regredire l’individuo ad uno stadio infantile. Il “paese dei balocchi”, che crei dipendenza, appaghi i sensi, e distolga dall’avere una visione consapevole su come stanno le cose. Ne Il mondo nuovo, pro bono pacis, vengono distribuite le pastiglie di droga, incoraggiati tutti i divertimenti…; nel romanzo di Bradbury, oltre alle pastiglie, ci sono i programmi televisivi insulsi a togliere la capacità deduttiva, e le pericolose corse in macchina:
“Gli esseri umani vogliono la felicità, non è vero? Ebbene, non l’hanno forse? Non li teniamo in continuo movimento, non diamo loro ininterrottamente svago? Non è per questo che in fondo viviamo? Per il piacere e i più svariati titillamenti? E tu non potrai negare che la nostra forma di civiltà non ne abbia in abbondanza, di titillamenti…”.
E in Huxley:
“Siete condizionati in modo tale che non potete astenervi dal fare ciò che dovete fare. E ciò che dovete fare è, nell’insieme, così gradevole, un tal numero d’impulsi naturali sono lasciati liberi di sfogarsi, che veramente non ci sono tentazioni alle quali resistere. E se mai, per mala sorte, avvenisse in un modo o nell’altro qualche cosa di sgradevole, ebbene, c’è sempre il SOMA che vi permette una vacanza, lontano dai fatti reali”.
“Siete felice?” chiede Clarissa a Montag: domanda dotata di una forza tellurica devastante.
L’uso martellante dei mass media – Le tecnologie massmediatiche e il loro potere di controllo non vengono sottovalutati dai tre scrittori. In Qualcuno volò… appaiono due mass media: il giradischi, che diffonde musica allegra e ad alto volume per tutta la giornata, per tutti i giorni dell’anno (obiettivo che ricorda quello dei jingles martellanti del “Dentifricio Denham” nella sotterranea di Fahrenheit, ovvero rattrappire il dialogo permettendo tutt’al più lo scambio dei semplici convenevoli); e il televisore, dall’uso rigorosamente disciplinato dal Regolamento. La Grande Infermiera proclama la musica assordante come un valore sociale perché è “democraticamente” udibile da parte di tutti, compresi i duri d’orecchio. Questo “bene”, come gli altri, è pronta ad elargirlo con amorevoli cure, se verrà accettato passivamente, oppure con la violenza, se sarà necessario. In antitesi, c’è l’uso che McMurphy pensa di fare della tv. La pantomima dei malati rivolti verso il televisore spento, che fingono risa, pacche sulla schiena e bisboccia, recitando ciò che succede notoriamente tra amici che guardano i campionati di baseball, risulta inammissibile alla Grande Infermiera perché lì ci si deve sentire dei paria, indesiderabili anche fra se stessi, per contribuire all’atmosfera di dubbi e sospetti a lei cara; mentre, riscoprendo l’arte difficile dell’associazione per amicizia, potrebbero anche coalizzarsi contro il nemico comune.
Il trionfo mediatico del totalitarismo – Analogo è il contenuto dei media nel libro di Bradbury e in Brave new world, e cioè di bassissimo livello intellettuale. Il cinema odoroso, percettibile alla vista, all’udito, ma anche all’odorato e al tatto, trasmette, nel romanzo di Huxley, perlopiù film di “atti amorosi”. La strategia socioculturale del Potere è di mostrare attraverso i media persone felici e svagate, in modo che gli spettatori si convincano ad approvare quei piacevoli comportamenti e ad accettarli come norme per vivere in società. Il Potere ha bisogno di una popolazione distratta da cose superficiali. L’addomesticamento della popolazione è particolarmente sottolineato nel romanzo di Huxley. Helmholtz, che insegna “Tecnica Emotiva Superiore”, tenendo un corso sul tema “Dell’uso dei versi nella propaganda morale e nella pubblicità”, arriva al conflitto con le autorità perché esprime concetti che potrebbero far meditare chi li ascolta… In Fahrenheit il discorso sui mass media è più articolato, dato che la trama si gioca sulla contrapposizione fra immagine e scrittura. La moglie-tipo di questa società si muove con auricolari inseriti nelle orecchie – “e un oceano elettronico di suoni, di musica e di parole, che veniva, veniva a battere sulla spiaggia della sua mente insonne” – e recita davanti all’enorme televisore la parte mancante della commedia dalla trama inconcludente. Qui si spezzano i legami con il reale; in modo che, non distinguendo più realtà e finzione, mancando degli strumenti per scoprire le menzogne, ci si adegui a ciò che la tv mostra. Lo schermo evoca un mondo che meglio della realtà risponde ai bisogni degli spettatori, che possono evitare esperienze reali che potrebbero affliggerli. Hannah Arendt scrisse che, dal punto di vista cognitivo, il grande trionfo del totalitarismo è il non poter più essere accusato di mentire, perché la sua comunicazione è talmente torbida da riuscire ad abolire l’idea stessa di verità. E i personaggi di questi tre romanzi vivono appunto in comunità irreali, in un clima di violenza materiale, terrorismo psichico e intimidazioni morali.
Un nemico per il Sistema: i libri – L’apertura e il rispetto verso il pensiero dell’altro vengono vietati per legge, attraverso la metafora del libro (“dietro ad ogni libro c’è un uomo. Un uomo che ha dovuto pensarli”). I libri non hanno niente da dire, e questo è lo speculare rapporto che sentono di avere con le altre persone; mentre…
“Il televisore è “reale”, è immediato, ha dimensioni. Vi dice lui quello che dovete pensare, e ve lo dice con voce di tuono. Deve aver ragione, vi dite: sembra talmente che l’abbia! Vi spinge con tanta rapidità e irruenza alle sue conclusioni che la vostra mente non ha tempo di protestare di dirsi: “Quante sciocchezze!””.
In città si vota per gli uomini politici più belli ed eleganti. Per quelli che non propongono argomenti che si fatica a capire ma intrattengono con semplici frasi e larghi sorrisi. La politica si riduce a repliche di slogan ideologici. I libri – cioè quello di cui sono simbolo – possono essere confutati con la ragione, gli slogan solo con i tamponi di gomma nelle orecchie. Si scopre allora che la libertà coincide con la propensione al pensiero critico. La prima collocazione della libertà è quindi la mente, e il suo agire è l’esercizio della propria facoltà razionale, piuttosto che l’affidarsi agli altri, per quanto razionali sembrino i loro piani.
“”Forse hanno ragione loro, forse è meglio non guardare in faccia le cose, correre a divertirsi. Non so. Mi sento colpevole”. “No, non devi! Se non dovesse esserci la guerra, se ci fosse la pace nel mondo, ti direi: ‘Magnifico! Corri a divertirti!’ Ma, Montag, non devi ritornare a essere semplicemente un milite del fuoco. Non tutto è a posto nel mondo…””.
Un destino di distruzione – All’inizio del romanzo, presago di quanto sarebbe accaduto è il cielo, solcato da rumorosi bombardieri che sfrecciano per una imprecisata destinazione. Per non turbare lo status quo del sistema politico i media ne danno la notizia en passant: “La guerra è stata dichiarata” avverte distrattamente la televisione, per poi continuare con l’avvincente diretta dell’inseguimento a Montag. C’è bisogno di mostrare a tutti la cattura e l’uccisione del nemico della società. Solo che in realtà egli è già in salvo fra i ribelli ed è un poveraccio qualunque la vittima sacrificata all’audience. Nel romanzo la tv è il veicolo principale della comprensione del mondo, giacché la conoscenza creata dai media è proprio quella funzionale agli interessi del gotha, che vuole detenere il monopolio su informazioni vitali. Montag si interroga:
“È perché siamo così ricchi e il resto del mondo è così povero e a noi non importa nulla che lo sia? Ho sentito strane voci circolare; il mondo sta morendo di fame, ma noi siamo ben pasciuti. E’ proprio vero che mentre il mondo stenta e suda, noi balocchiamo, giochiamo? E’ per questo che siamo tanto odiati?”.
Egli, così, comincia a capire che in fondo “umanità” significa trattare con rispetto gli uomini. La conseguenza del non aver avvertito le persone di ciò che incombe è irrimediabile:
“E la guerra cominciò ed ebbe fine nello stesso istante. “La città sembra un sacco di farina rovesciata. Non esiste più”. E dopo un lunghissimo silenzio: “Sarei curioso di sapere, quanti erano coloro che se l’aspettavano? Quanti sono stati colti di sorpresa?””.
La ribellione, la lotta, la libertà – In un colpo, gli uomini della città sono stati annientati. Ma è in tutti e tre i romanzi che è in gioco l’umanità, la natura umana in quanto tale. Interpretando i racconti non solo come antiutopie ma anche come Bildungsroman, si segue il cammino formativo che i personaggi (Helmholtz, Montag, l’Indiano) percorrono per la conquista della loro libertà. Costoro riescono a far evadere il loro pensiero incarcerato da un certo tipo di potere esercitato sugli individui tramite l’educazione, la persuasione, il condizionamento. La rivelazione conclusiva è che la libertà si conquista ribellandosi allo stato di cose che ci tiene legati. L’amicizia è l’unica salsa che condisce i tre personaggi vincenti. L’amicizia che, come massima espressione della reciprocità, vuole la libertà dell’altro. Da soli la lotta sarebbe risultata improba, ma, nei rispettivi romanzi, ognuno dei tre protagonisti trova la convinzione della necessità di un’azione contro il Potere, sostenuto dalla volontà di un amico. I tre sono coloro che, come il prigioniero uscito dalla caverna di Platone, non possono più interpretare le ombre che prima vedevano, e gli altri continuano a rimirare, come fossero la realtà, perché essi le riconoscono come interpretazioni bizzarre del vero stato delle cose; e, d’altronde, potrebbero anche fare proseliti fra i loro compagni. Ecco che, in Huxley, i dissidenti vengono ostracizzati verso qualche isola in modo che le loro idee non possano inquinare il Sistema. In Fahrenheit i non soddisfatti dall’ortodossia del Sistema possono farla franca, a patto che i mass media convincano le masse che una punizione esemplare è stata loro inferta. In Qualcuno, volò… l’Indiano solleva il quadro di comando, lo stesso usato da McMurphy quando aveva cercato di insegnare che bisogna almeno provarci, e lo getta attraverso la rete metallica della finestra per fuggire. Nel romanzo è detto che nessuno si darà la pena di inseguire chi fugge da lì.
Tre apologhi impressionanti – La questione di fondo in questi romanzi è: si ha il dovere di obbedire ciecamente oppure si ha il diritto di disporre della propria libertà coltivando l’autocoscienza, che è poi uno degli obiettivi più antichi della filosofia? L’Autorità, in queste tre storie, si impegna a vietare il pensiero razionale. Non è un caso che, nel romanzo di Kesey, l’unico che si dimostra sano di mente finisca lobotomizzato, e solo l’Indiano, fingendosi muto, con una certa dose di incoscienza, insomma un matto, riesce nella fuga verso la libertà. Morale della favola, anzi di tutte e tre: è giusto opporsi ad ogni rischio di totalitarismo e non delegare mai a qualcun altro il compito di ragionare. Perché, un certo tipo di Potere, per interessi suoi, tende a non mostrare mai il vero volto delle cose che ci circondano. È saggia la ribellione quando si scopre che la dignità umana non viene rispettata, anche se ciò vuol dire scontrarsi con le Regole, le Leggi o con chi ha l’appannaggio del Potere. Se invece di accettare tutto ciò che viene propinato, si provasse a ragionare, allora si potrebbe uscire dalla caverna di Platone nella quale si è stati allevati. Tenendo sempre a mente, però, che ogni uscita è soltanto un’entrata in un altrove. Qui abbiamo trattato tre famose narrazioni. Storie inventate, quindi. Ma se il mondo – come dice la “cyberfemminista” Donna Haraway – è un dialetto chiamato metafora…
Le immagini: copertine dei libri citati o locandine dei film tratti da loro.
Eleonora Righini
(LucidaMente, anno I, n. 5, giugno 2006)