Dopo il rapido raggiungimento on line delle 500mila firme necessarie per il referendum pro concessione cittadinanza degli stranieri dopo cinque anni di residenza in Italia, si è acceso il dibattito sulla nuova modalità di raccolta delle adesioni
A inizio ottobre la proposta di referendum sulla cittadinanza (riduzione da dieci a cinque gli anni di residenza nel nostro paese necessari per gli stranieri per ottenere la cittadinanza italiana) ha superato in pochi giorni le 500 mila firme necessarie per la presentazione. Grazie a una campagna social, con il supporto di diversi volti noti della politica e dello spettacolo, la proposta è diventata il primo quesito referendario con firme raccolte quasi interamente online a passare al vaglio della Corte costituzionale. Adesso, a pronunciarsi sulla legittimità del passaggio alle urne, sarà, appunto, la Consulta.
500.000 firme: troppe o poche?
A fronte di una crescita esponenziale degli aderenti in pochi giorni, diversi costituzionalisti si sono interrogati sullo sbarramento delle 500mila firme, da alcuni giudicato troppo basso, soprattutto se combinato con il ricorso alla firma digitale.
Da un lato, la possibilità di utilizzare lo Spid (Sistema pubblico di identità digitale) abbatte alcune barriere: anche chi non può recarsi fisicamente al tradizionale “banchetto” può aderire alla petizione. Questo incoraggia la partecipazione a uno strumento di democrazia diretta che negli ultimi anni si è spesso scontrato col mancato raggiungimento del quorum.
Dall’altro, invece, alcuni esperti hanno sostenuto che la possibilità di raggiungere così velocemente la soglia di firme necessarie aumenti il rischio che vengano indetti molti più referendum, senza che abbiano un’ampia base “reale” nella società. Altri hanno evidenziato anche il rischio di manipolazione della raccolta firme attraverso campagne di marketing organizzate sui social.
On line o cartacee, le firme pari son…
In realtà, il rischio che una campagna politica (referendaria o meno) venga strumentalizzata con strategie di promozione online vale anche per la raccolta firme “fisica”.
Strumenti come la firma digitale e i social non fanno altro che facilitare il raggiungimento del fatidico mezzo milione di sottoscrittori. Questa cifra, però, è rappresentativa della volontà popolare tanto se raggiunta ai “banchetti” quanto online.
Il vero nemico è l’astensionismo
In un contesto in cui, da almeno un decennio, oltre il 40% della popolazione italiana non si reca alle urne, la possibilità di partecipazione attraverso istituti di democrazia diretta deve essere incoraggiato. Il successo della raccolta firme per il referendum sulla cittadinanza ne è un esempio, e può stimolare l’organizzazione di altre proposte referendarie. A maggior ragione in una situazione politico-democratica, come quella italiana, dove la mobilitazione popolare è molto meno partecipata rispetto ad altri paesi. Ogni aumento della soglia di firme necessarie per la presentazione dei referendum non farebbe altro che acuire la disaffezione dell’elettorato verso la partecipazione pubblica.
Del resto, è proprio quest’ultima il vero scoglio da superare per i proponenti un referendum. Poiché i “sì” o i “no” a una proposta abrogativa referendaria ammessa dalla Consulta siano validi, occorre che si rechi alle urne almeno il 50%+1 dei cittadini aventi diritto. Ebbene, il quorum è stato raggiunto solo nel 58% dei 67 referendum abrogativi tenutisi dal 1946 a oggi, con un astensionismo sempre in aumento negli ultimi decenni, che ha reso nulle quasi tutte le recenti consultazioni referendarie… [Leggi pure Giuseppe Licandro, Il tramonto della democrazia]
Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autrice: Tara Winstead).
Edoardo Anziano
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)