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Home ATTACCO FRONTALE

Regresso culturale informatico…

È davvero necessario che a scuola gli studenti utilizzino computer e Internet, mentre disimparano a leggere e a scrivere?

Rino Tripodi by Rino Tripodi
2 Gennaio 2016
in ATTACCO FRONTALE, FAMIGLIA-EDUCAZIONE-SCUOLA, MONDO E GLOBALIZZAZIONE, ON AIR / CONSIGLI AL VOLO / PUBBLIREDAZIONALI, TEMATICHE CIVILI, WEB E NUOVE TECNOLOGIE
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È davvero necessario che a scuola gli studenti utilizzino computer e Internet, mentre disimparano a leggere e a scrivere?

Ecco il secondo dei due polemici articoli che il nostro direttore, Rino Tripodi, ha dedicato al discutibile strapotere degli strumenti informatici e telematici. Dopo aver argomentato in Internet, nuovo totalitarismo?, uscito sul n. 119 di LucidaMente, sui riflessi negativi di Rete, pc & C. sulla società contemporanea, nel breve saggio che state per leggere il riflettore è posto sugli effetti in ambito culturale, educativo e, in particolare, scolastico.

«Oggi un bambino con un’età inferiore ai dieci anni già viene a contatto con apparecchi elettronici come smartphone, tablet e giochi interattivi (che, comunque, alludono alle sembianze di piccoli tablet), ai quali i bambini restano attaccati per ore e ore, stancando la vista. Basta semplicemente osservare la situazione in un grande supermercato, dove le mamme, per tranquillizzare i figli piccoli, gli mettono in mano uno smartphone; ormai questo gesto è sempre più diffuso».

«L’abisso delle differenze che si creano tra la vecchia e la nuova generazione è infinito. Ricordo e riporto come esempio la mia infanzia, quando ancora non esistevano gli smartphone e i social network sul web, e come unico mezzo di comunicazione c’era il famoso “ritrovo”. Ci si incontrava e si giocava a qualsiasi cosa, non si parlava dietro a uno schermo, come fa la maggior parte dei giovani odierni. Lì si vedevano le vere amicizie e le emozioni con gli amici. Ci si relazionava con tutti e non si escludeva nessuno. Adesso tutti gli adolescenti si ritrovano ogni pomeriggio chiusi in casa con gli occhi puntati verso uno schermo, a giocare con le varie console per delle ore, durante le quali l’unico mezzo di comunicazione è la voce di chi gioca con te, ma che non ti sta accanto, anzi anche lui, come te, si trova incollato a un video, e magari abita a trenta metri da casa tua. […] Ogni tanto mi fermo al parco e mi siedo su una panchina, isolato da tutti, e penso: “Ma ho davvero bisogno di tutto ciò? È normale il fatto di essere costantemente legato alla tecnologia?”».

Il brano citato è tratto da un compito in classe di Lingua italiana svolto da un ragazzo di 16 anni, M.G., frequentante un istituto medio superiore della provincia di Bologna. È singolare come un sedicenne sia in grado di porsi tante domande, di avere tale sensibilità e uno sguardo più lungo di tanti pedagogisti, educatori, insegnanti, per non dire ministri. Lo studente pone con grande serietà alcune questioni che riguardano il progressivo isolamento e la perdita della capacità di relazionarsi, dovuti all’invadenza delle nuove tecnologie. È – crediamo – esperienza comune quella di attraversare luoghi “conviviali”, nati per favorire il contatto tra le persone (ad esempio, i ristoranti o i giardini pubblici) e vedere tutti pigiare sui tasti del proprio cellulare o smartphone, in un silenzio irreale rotto solo dal rumore dei tasti e da qualche stridulo squillo (vedi Internet: una trappola disumanizzante?; La chat infuoca la rete e congela i rapporti umani). Da tutto ciò erompe uno squallido senso di solitudine, alienazione, straniamento. E, infatti, di talune negative ricadute sociali e sulla libertà politica di Rete, social network, ecc. abbiamo cercato di trattare in Internet, nuovo totalitarismo?

Se tutti gli studenti passano ore e ore pomeridiane a giocare, come fa il pur bravo M.G., viene da chiedersi cosa ne sarà di cultura, istruzione, lingua italiana e materie varie (vedi anche Lo sfacelo della lingua italiana e Analfabetismo high tech). I fautori delle nuove tecnologie in campo culturale e scolastico ritengono che, però, se, invece di giocarci, gli utenti “usassero bene” informatica e telematica, quanta cultura in più ci sarebbe in giro! Peccato che non sia vero. Per una serie di motivi che vedremo in seguito. Intanto la moda didattica o “didattichese” è quella di imporre nelle scuole l’uso di pc, lavagne multimediali, collegamenti telematici. È di qualche tempo fa la notizia che, a partire dal 2016, nelle scuole della Finlandia sarebbe stata abolita la scrittura manuale in favore dell’uso delle tastiere elettroniche. In seguito è stato chiarito che a essere soppressa non sarà la penna tout court, ma le ore dedicate alla calligrafia: resta il concetto-base che imparare a digitare sia più importante che apprendere a scrivere.

Ma c’è bisogno che si insegnino a scuola pc, Internet, ecc.? Sono strumenti commerciali talmente “facili” e “facilitati” che anche un idiota può farlo in breve tempo. Tuttavia, provate a chiedere ai super utilizzatori di smartphone, tablet, ecc., di leggere e spiegare un testo anche semplice. Tantissimi non lo sapranno fare. Non parliamo poi neanche di scrivere qualcosa di leggibile che riassuma il succitato testo. In egual maniera si troverebbero in seria difficoltà molti nostri studenti. Apriamo gli occhi. E, allora, perché vogliamo espandere informatica e telematica a scuola, con gli allievi che, appena volti lo sguardo, comunque smanettano nevrotici e compulsivi sui loro super smartphone? Quante aziende si sono ingrassate con pc a scuola, registri elettronici, lavagne multimediali e altri oggetti per lo più non indispensabili, per non dire inutili… anzi, che rincretiniscono e fanno perdere tempo? Persino ai docenti, che impiegano un quarto d’ora per introdurre nel proprio tablet obbligatorio gli assenti, l’argomento delle lezioni, i voti, le annotazioni, anche a causa di collegamenti che non vanno, mentre prima, col vecchio registro cartaceo, tutto richiedeva un paio di minuti. È la perdita di tempo uno dei più gravi effetti delle nuove tecnologie. Altro che velocità e risparmio.

Purtuttavia, cerchiamo di essere ottimisti e “costruttivi” e torniamo a ipotizzare che studenti e utilizzatori vari adoperino pc e Rete in modo “corretto” per la propria istruzione e cultura. Bene, la “cultura informatica-telematica” può paragonarsi a una serie di rapida deglutizione di pillole colorate al posto di un vero e proprio pasto completo. La quantità tende a sommergere la qualità o, ad ogni modo, esse divengono indistinguibili; le informazioni che si ottengono sono frammentarie e incomplete; e, magari, è lo stesso utente che, scorrendole in modo troppo veloce e acritico, le rende tali. Perché si è creata l’illusione che si può imparare molto quasi all’istante, che la fatica, la pazienza, la riflessione, il tempo – lungo, lento, quanto delizioso – trascorso sui libri, siano dei percorsi evitabili, anzi delle vere e proprie scemenze. Insomma, i new media inducono a una lettura frettolosa, provocano poca concentrazione, quindi meno dialogo con se stessi e marginale pensiero critico.

La grande vittima della “nuova didattica” sono la lettura su carta (i caratteri mobili sono stati inventati per essere letti su quel supporto e non su uno “liquido” e luminoso) e, quindi, i libri. Pochi ormai leggono questi economici gioielli cartacei, che vengono invece percepiti come un oggetto obsoleto, inutile, stupido. Si sta dunque verificando quanto profetizzato da Ray Bradbury in Fahrenheit 451 (vedi anche Quando l’utopia è il suo contrario), ma senza dovere neppure bruciare i volumi. Il risultato è l’analfabetismo di ritorno, l’ignoranza diffusa, la mancanza di una cultura minima di base, anche ai più alti livelli sociali e politici.

Solo di rado si avverte qualche voce contraria al neoconformismo della didattica prossima ventura, al pensiero unico del “buon insegnamento” coi pc. È di qualche settimana fa la notizia che dal 2016 i nostri cugini d’Oltralpe obbligheranno nelle scuole elementari l’uso, una volta al giorno, di un buon vecchio metodo didattico (La Francia ritorna al dettato). E anche in Italia vi sono coloro che predicano per un ritorno alle tradizioni didattiche. Nell’articolo La fine della penna (la Repubblica, 25 novembre 2014) di Maria Novella De Luca e Irene Maria Scalise, si racconta che, in un progetto scolastico denominato Nulla dies sine linea, «quattrocento bambini digitali di otto, nove e dieci anni riscoprono la scrittura in corsivo, e in poco più di cento giorni il loro lessico, punteggiatura e ortografia, migliorano sensibilmente».

L’esperimento è stato sviluppato in due scuole romane partendo da un’idea del famoso pedagogista Benedetto Vertecchi, che ha affermato: «Alla diminuzione della capacità di scrittura corrisponde una minore coordinazione tra pensiero e azione. Ma anche un peggioramento nell’organizzazione del discorso, un impoverimento del linguaggio e della memoria. […] Man mano che i bambini si abituavano ad usare la penna, visto che ormai anche in molte scuole primarie si stanno diffondendo le tastiere, abbiamo visto progressivi miglioramenti. Nell’accuratezza e ricchezza del linguaggio, nella struttura della frase, addirittura nell’ortografia». Aggiunge la calligrafa Monica Dengo: «Sono gli adulti, genitori compresi, a non saper più convivere con la penna, non possiamo colpevolizzare soltanto gli insegnanti. I contenuti scritti con la propria penna restano assai più impressi nella mente, rispetto a quando si utilizza il computer».

Del resto, proprio i manager di Microsoft e Google preferiscono “fermare” le proprie idee su appunti volanti scritti a mano. E, al di là di ogni sofisticata argomentazione, è certo che la scrittura su tastiera è molto più facile, ma, proprio per questo, non stimola un gran numero di competenze, motorie, psicologiche e linguistiche, come, invece, fa la scrittura manuale. Ma la politica italiana (di sinistra, di centrosinistra, di centro, di centrodestra e di destra) ha già da tempo deciso.

Rino Tripodi

(LucidaMente, anno X, n. 120, dicembre 2015)

Già in passato la nostra rivista ha affrontato vari lati “problematici” del web, quali: il rischio di cadere in uno sterile, se non dannoso, narcisismo (“Selfie”: moda o mania? Malattia!); le ricadute negative sulla cultura (Analfabetismo high tech) e sulla società (Internet, nuovo totalitarismo?); l’uso improprio a scopi personali (Giustizia, vendetta e social network); l’isolamento psicologico (Internet: una trappola disumanizzante?; La chat infuoca la rete e congela i rapporti umani); il pericolo di “brutti incontri” (Minaccia cyberbullismo); l’eros esposto o venduto (…Fino alla “cybersexual addiction”; Il “sexting” contagia anche gli italiani. Minorenni compresi; Come e perché si diventa una cam girl).

Ancora più inquietanti sono gli universi “tenebrosi” della Rete: Deep web, la privacy e i cugini cattivi di Anonymous; Animaletti vivi schiacciati sotto tacchi a spillo; Vuoi una schiava asiatica? Eccola!; Silk Road, web invisibile e mercato nero; Viaggio di un hacker tra i pericoli di Internet; Opportunità e rischi del “cyberspazio”.

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Tags: computerculturadidatticafocusignoranzainternetpoliticascuola
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Comments 0

  1. Vasco da Gama says:
    9 anni ago

    Qualunque domanda che si fa ad uno studente oggi, salvo rari casi, si avverte l’assoluta mancanza di un retroterra perchè non sanno nulla, neppure di ciò che è accaduto pochi anni fa! Hanno a diposizione miliardi di dati e sanno sempre meno, qualcosa non quadra. Non quadra neppure che una insegnante abbia risposto per tre volte alla figlia di un mio conoscente che il numero delle stelle della bandiera blu europea equivale al numero degli stati (le stelle sono 12 e gli stati 28)… Quindi, secondo me, non è Internet il problema, ma tutta una serie di situazione create dalla società ed in primis dalla scuola diventata un parcheggio, senza poi commentare di quelli che escono dalle triennali nelle istruzioni universitarie. Quando ero alle scuole medie inferiori i ripetenti in prima furono oltre la metà della mia classe, dagli anni 2K non hanno più bocciato praticamente nessuno ed io faccio parte della generazione che viveva di Tv, computer, Arcade e videogiochi in generale, ma la scuola con noi non aveva pietà.

    Rispondi
    • Rino Tripodi says:
      9 anni ago

      Gentilissimo lettore, grazie per averci scritto.
      Le sue riflessioni fotografano bene la realtà. In effetti, oggi, nella scuola italiana, bocciare è pressoché impossibile.

      Rispondi
    • Bruno Sordini says:
      9 anni ago

      Condivisibile al 100 per 100 quanto sopra esposto da “Vasco de Gama” però il problema vero, che tra l’altro nessuno si pone, compreso il suddetto è:
      PERCHE’ VOGLIONO TUTTO QUESTO?
      PERCHE’ E’ CHIARISSIMO CHE IL POTERE VUOLE TUTTO QUESTO !!
      SI VUOLE UNA MASSA POPOLARE, SOPRATTUTTO QUELLA GIOVANILE, RINCOGLIONITA (scusate il termine) cosi’ si può esercitare meglio la dittatura capitalista ribattezzata, sempre a loro vantaggio, DEMOCRAZIA.
      MA CHE DEMOCRAZIA E’ QUESTA CHE FA AUMENTARE SEMPRE DI PIU’ LA DIFFERENZA SOCIO-ECONOMICA FRA POPOLI RICCHI E POPOLI POVERI !!

      Quanto sopra può essere dimostrato semplicemente: se fosse “DEMOCRAZIA” non ci sarebbe bisogno di bombe, mitragliamenti e droni per esportarla.
      I popoli oppressi lo stanno capendo sempre di più e prima o poi ce la faranno pagare.

      Quel giorno saranno dolori per “noantri”! Basta rileggersi la fine dell’Impero Romano.
      AD MAJORA !!

      Rispondi
  2. angela attianese says:
    9 anni ago

    Sin dai primi esordi prepotente l’associazione e la definizione sortami:
    ecco “l’aratro moderno”, con le stesse conseguenze del suo avo, produrre sudditi e non persone.

    Rispondi
  3. Gaetano Antonio says:
    9 anni ago

    Ci sono vari metodi di approccio alle novità tecnologiche nell’educazione (sappiamo che gli strumenti di cui si parla in questo articolo sono prescritti come obbligatori nelle scuole): vanno dal rifiuto “a muro” in nome dei vecchi valori all’accoglienza costruttiva al fine della creazione di nuovi valori.
    Operando teleologicamente, il rifiuto non serve a nulla (se non alla progressiva emarginazione di chi lo perpetra in modo sterile); l’accoglienza consente di indirizzare le novità al rispetto dei (vecchi, o meglio) consolidati valori, per la costruzione di nuovi modelli sociali.
    Le nuove tecnologie – belle o brutte che siano – ormai ci sono (e sono ben radicate nella nostra società): accogliamole!
    Hanno dato vita a un nuovo modo di interazione, che si deve aggiungere agli altri senza mai prevalere, nella costruzione di un diverso modello di comunicazione sociale che – non facciamo finta di niente! – stiamo valorizzando anche noi stessi adesso, mentre scriviamo “telematicamente” su un “sito internet” (!).
    Tutti devono comunicare oggi con internet. Del resto, visto che si tende a ergere a modello la propria esperienza di 40 anni fa, anche quando è nato il telefono tutti lo utilizzavano (all’inizio se ne faceva un abuso: non si pagava nulla per le telefonate!). Io preferisco un ragazzo che usi internet a uno che abusi del telefono: gli abusi vanno sempre evitati, come 40 anni fa anche adesso.
    Cordiali saluti e buon 2016

    Rispondi

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