Giunta alla sua terza edizione, dal titolo “Radicati e Radicali”, la rassegna ospite delle Serre dei Giardini Margherita del capoluogo emiliano è dedicata alle trasformazioni ambientali che stanno coinvolgendo, e sconvolgendo, il nostro pianeta. Sull’evento abbiamo sentito Nicoletta Tranquillo
La giovanissima svedese Greta Thunberg – il simbolo ormai per eccellenza della lotta al cambiamento climatico – è senza ombra di dubbio radicale: ha recentemente attraversato l’Atlantico in barca per raggiungere gli Usa, non utilizza aerei, è vegana. Ha fatto delle scelte nella sua vita quotidiana in modo da ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente e cercare di salvare il salvabile, mentre gli scienziati continuano a ripeterci che la Terra sta morendo.
Sarebbe auspicabile, forse utopistico, che tutti diventassimo come Greta; ma è anche vero che tutti possiamo agire nel nostro piccolo per cercare di limitare i danni. È questo l’obiettivo di Resilienze Festival, iniziativa a cura di Kilowatt giunta alla sua terza edizione, che si terrà dal 12 al 15 settembre a Bologna, presso Le Serre dei Giardini Margherita (via Castiglione 134). Un festival crossmediale – come lo definiscono i suoi ideatori – che, attraverso il linguaggio dell’arte in tutte le sue forme, vuole avvicinare al tema dell’ambiente un pubblico sempre più vasto e non limitato agli addetti ai lavori o alle nicchie di persone già sensibilizzate. Tra gli ospiti, il Collettivo Antonello Ghezzi, John De Leo, Alice Rohrwacher, Massimo Zamboni, oltre a un ricco programma di eventi. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Tranquillo, socia di Kilowatt, che ci ha raccontato origini e ambizioni dell’iniziativa.
Come e perché nasce Resilienze Festival?
«Il progetto è nato nel 2016 dall’incontro tra persone con percorsi professionali e interessi diversi (dalla sostenibilità al cinema e alla cultura fino ai diritti umani) che condividevano però un’attenzione per la salvaguardia del nostro ecosistema. Da qui l’idea di un festival crossmediale, cioè che utilizzi linguaggi, strumenti e canali diversi per scuotere un pubblico sempre più ampio sulla questione ambientale che è ormai urgente e non rimandabile. Abbiamo iniziato con proiezioni e iniziative dedicate ai cambiamenti climatici e piano piano abbiamo dato un ruolo più centrale alla cultura in tutte le sue forme: dal cinema alla musica, passando per l’arte contemporanea, concettuale, fino al teatro».
Si tratta di una strategia di comunicazione sicuramente innovativa…
«L’utilizzo di molteplici linguaggi creativi per parlare di un argomento che è generalmente affrontato da un punto di vista scientifico parte in primis dalla volontà di raggiungere un numero sempre più vasto di persone: coinvolgerle tramite un film o un concerto per far loro scoprire il resto. Nell’evoluzione della consapevolezza e della ricerca abbiamo capito poi come l’arte possa essere lo strumento e la chiave di lettura della complessità che è alla base del cambiamento climatico. Ancora oggi le sfere politiche e decisionali trattano il tema ambiente “spacchettandolo” in sottoinsiemi: mobilità, agricoltura, risorse, pensate come settori a sé stanti da affrontare singolarmente. In realtà, se davvero vogliamo salvare l’ambiente, dobbiamo concepire ognuno di tali ambiti interconnesso agli altri e gestirli come parte di un insieme più grande. Da vent’anni, inoltre, si parla di tipping point, cioè punto di non ritorno: la Terra è un sistema resiliente che nel corso dei millenni ha resistito ai cambiamenti, adattandosi alle variazioni. Ci stiamo però avvicinando sempre di più e sempre più velocemente a questo punto di rottura, oltre il quale non ci sarà possibilità di tornare indietro. Perciò, per evitare una simile catastrofe, dobbiamo agire in modo sistemico».
“Radicati e Radicali” è il tema dell’edizione 2019: ce lo spieghi?
«L’ho già detto; ormai è indubbio che come sistema Terra siamo al limite. I primi allarmanti report dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), l’apparato dell’Onu dedicato agli studi sul cambiamento climatico, risalgono agli inizi degli anni Novanta e oggi la situazione è ormai disperata. Arrivati qui, solo grazie a scelte radicali, cioè estreme e coraggiose, e contemporaneamente radicate sul territorio e all’interno delle comunità, abbiamo una qualche speranza di salvare la situazione. Durante questa edizione del festival abbiamo deciso di dare voce a tutte le esperienze che racchiudano simili dimensioni: raccontare le storie di coloro che, avendo la forza e il coraggio di fare scelte rivoluzionarie, contemplano una visione collettiva. Siamo convinti che la retorica del “è un problema più grande di me/noi” sia un blocco per le persone; diffondendo modelli, esperienze e storie positive è più facile che ciò sia di ispirazione per tutti».
Resilienze Festival tra cinque anni… come te lo immagini?
«Non abbiamo mai pensato a Resilienze soltanto come a un evento limitato a quattro giorni: la nostra idea era quella di costruire una comunità di sperimentazione e ricerca in materia di ambiente, sostenibilità, mutamenti climatici, al cui interno settori e professionalità diverse potessero incontrarsi e collaborare, uno spazio dove artisti, scienziati, sviluppatori, agricoltori e chi più ne ha più ne metta potessero confrontarsi e trovare delle soluzioni condivise e trasversali. Perciò, anche nel futuro, me lo immagino non soltanto come un festival limitato a pochi giorni, ma come un percorso continuo, che duri tutto l’anno e che coinvolga sempre più persone in questa sfida che è salvare il pianeta».
Per avere ulteriori informazioni e consultare il programma completo del festival, è possibile consultare il sito http://www.resilienzefestival.it/.
Per approfondire il tema del cambiamento climatico, qui sono elencati tutti i contributi realizzati da LucidaMente.
Le immagini: la locandina del Resilienze Festival 2019 intitolato Radicati e Radicali e alcune foto della precedente edizione del 2018.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, settembre 2019)