Un libro conteso, un’idea rubata, un gruppo di amici, tante serate trascorse a discutere, inventare, creare, dialogare come a un simposio d’altri tempi, la grandezza e la debolezza dell’animo umano, sono i temi trattati dal racconto inedito della scrittrice ferrarese Antonella Chinaglia
Visto il successo ottenuto su LucidaMente dai racconti La storia di Arancino e Al Rubicone, pubblichiamo ora Rivendico il mio autore, un altro breve testo della narratrice ferrarese Antonella Chinaglia. A parlarci in prima persona – con un espediente che abbiamo visto usare nello scorso numero della nostra rivista anche dallo scrittore Sergio Sozi (vedi Corri, caro!) – è un oggetto di solito muto, che decide di rivolgersi ai lettori nel tentativo di riparare un torto subito dal suo autore, ancora più ingiusto e odioso in quanto commesso da chi un tempo si professava amico, mentre in realtà si è rivelato un semplice “Esistente in vita”. Una volta che l’incanto di fiducia e di ammirazione reciproca del gruppo di confidenti si è spezzato, l’unico in grado di ristabilire la verità sarà proprio il manoscritto che è stato privato del suo legittimo possessore.
Per tutti non posso fare altro che starmene in silenzio. Confinato, nella risma di fogli. Dimenticato. Eppure vorrei intervenire. Ascoltando l’ennesima discussione, questa sera, non posso tacere. L’amico è tornato sull’argomento. Né avrebbe potuto fare diversamente, incalzato dalle domande di Antonio. Inesorabilmente il tempo è passato e le scelte non sembrano riproponibili, tuttavia, per questi due ingegneri cinquantenni ogni occasione d’incontro è un pretesto per riparlarne. E stasera voglio dire la mia. Se raccontassi che Antonio è balbuziente dalla nascita, tanto da essere la scrittura quella voce sicura senza intoppi che avrebbe voluto avere, potrei essere creduto facilmente offrendo una semplice giustificazione al suo indagarsi.
Invece, desidero che anche Voi sappiate. Antonio iniziò a soffrire di stentata articolazione proprio a causa del tradimento di un vecchio amico, che egli si ostina a chiamare, con un sardonico gioco di parole, l’“Esistente in vita”. In salotto, bevono altro caffè. Ne approfitterei per raccontarVi. Sarò breve. Non vi è molto da dire, se non i crudi fatti, nero su bianco. Quella persona faceva parte del gruppo di amici che si riuniva per trascorrere piacevoli e arricchenti serate di confronto. Si dice che ciò che è frutto d’intelletto sia umano e che, dunque, ogni essere umano possa o debba fruttare intellettualmente. Ognuno come può e riesce. Pensate a quel gruppo che sviscera un argomento. Per ore, giorni, settimane. Un insieme di persone che si spreme arrivando a cogliere l’impercettibile peso del particolare ritenuto insignificante. Ripensate a quell’unione come a una squadra di ricerca, di sperimentazione, di ingegneria genetica della parola nella sua intima essenza.
Un uomo produce pensieri, un altro uomo produce altri pensieri. Espressi pubblicamente sono pensieri mescolati, simili, sebbene uno differente dall’altro, intimamente diversi, pensieri che sono neologismi dell’anima. Ebbene, è accettabile nel calcolo delle probabilità che al momento della sintesi scritta due ricerche coincidano nei risultati, oppure che appaia analogo il percorso ragionato per arrivare all’esito. Antonio, nei panni della sua figura professionale, ne era consapevole. Ma, andando oltre, al di là delle certezze della matematica, pensava che il rispetto per la dignità personale, propria e altrui, ovviasse all’eventuale inconveniente. Non considerava che, partendo dai medesimi corollari relativi alle elucubrazioni personali e alle debolezze umane, qualcun altro arrivasse a tanto. Quando poi le coincidenze sono troppe, sorge un sospetto che può divenire certezza e che, se tale diviene, può fare molto male. Saprete anche Voi quanto.
Un pomeriggio, fine agosto di dieci anni fa, il gruppo si era riunito. Le idee, come fuochi d’artificio, esplosero. Ragionamenti, sfumature e atmosfere rare, esperienze di vita uniche pescate nella profondità dell’oceanico animo di ognuno. Unicità esposte ingenuamente. Ma dove sia il limite tra l’ingenuità e la malizia, dove sia il confine da scavalcare affinché dall’una si passi all’altra e viceversa senza farsi o fare male, neanche stasera riusciranno a scoprirlo. Sentore della risposta mai l’ebbe, peraltro, l’Esistente in vita, che allora lavorava presso un giornale locale, mentre Antonio e l’amico tenevano lezioni in università. Alcuni brani letti ad alta voce e frasi degne d’essere sottolineate divenivano patrimonio comune. Bibite e parole, salatini e commenti, caffè e polemiche, fumo di MS nell’atmosfera euforica di potere d’inventiva, d’esaltazione intellettuale che il gruppo, da quando si era costituito, riusciva a creare.
Allora Antonio avrebbe dovuto rivendicarmi, e Io avrei dovuto rivendicare il mio autore.Antonio rimase sconvolto nel ritrovare il suo scritto, così visceralmente suo, che si lasciava leggere sulle pagine stampate di un libro il cui autore, dal nome ben evidente in copertina, non era lui, ma l’Esistente in vita. Temendo o sperando che si trattasse di un maleficio, ne comprò due copie. Una la mise in tasca, l’altra continuò a sfogliarla. La bancarella dei libri cui si era appoggiato gli sembrò roteare come una girandola al vento. Sua moglie, a pochi metri, non si accorse del mancamento, né lui riuscì a chiamarla, afflosciandosi sul ripiano delle stampe. Rovinarono a terra, senza un lamento, Antonio e il suo entusiasmo di scrittore creativo. Nemmeno durante la convalescenza Antonio riuscì a parlarne. Parlò poco, l’indispensabile; invece lesse quel libro. Non una, ma due, tre volte. Dapprima, tutto d’un fiato, tuffandosi in esso come un assetato nel secchio d’acqua, poi pagina dopo pagina, evidenziandone i particolari sconosciuti. Dolorosamente stupefatto. Tale e quale a uno che all’obitorio riconosca dalle cicatrici il proprio familiare in un cadavere irriconoscibile. Poi ritornava su alcune pagine, leggendo le quali rimaneva in apnea. Erano le sue, seppure, a tratti, camuffate.
In quei pomeriggi di attonita tranquillità avrei dovuto farmi sentire. Gridare al mondo che ero ancora lì, suo, integro. L’inizio era diverso, il finale inverosimile: ciò che stava in mezzo, il significativo, era suo. La connotazione del personaggio, le descrizioni d’ambiente, il fatto, le sensazioni, i colori. Il quadro era una buona copia dell’originale. Ciò che Antonio non aveva confessato, l’Esistente in vita l’aveva inventato, le figure di contorno erano state ridefinite, manipolate, divenute altre, delle brutte copie. L’effetto, per Antonio, era stonato in quanto soltanto lui conosceva il vero spartito, avendolo creato e scritto. Ripresosi, Antonio si accorse di non riuscire più a esprimersi come prima. Padroneggia argomenti d’interesse generale con disinvoltura dialettica, sia per cultura sia per capacità oratoria, eppure, nel momento in cui desidera esternare uno stato d’animo, che sia in compagnia della moglie, di conoscenti o di amici, Antonio balbetta. Le lezioni e le videoconferenze non lo spaventano. Nei convegni la sua incisiva, fluida e chiara eloquenza viene lodata. Se tenta di esprimere ciò che sente, invece, il suo apparato fonatorio si ribella: l’intermittenza forzata, faticosa e stentata con cui escono le parole lo avvisa che sta buttando fuori qualcosa di interiore, di personale, di intimo.
Ecco perché stasera rivendico il mio autore. Stasera, ebbene sì, stasera. Una sera che sembra non avere alcunché di diverso da altre che sono tramontate, dopo tante parole, in nottate di rammarico. È molto che sento disquisire, in questa casa, sulla fiducia e sulla diffidenza nell’ambito del comunicare, nel senso di rendere più o meno partecipi altri di ciò che è proprio. Eppure, stasera, ho capito. L’amico, in questo momento seduto sul divano, rilassato, a gambe allungate, tiene le braccia incrociate con i palmi sotto le ascelle, sta processando il mio autore per ingenuità comunicativa. Si arroga il ruolo d’avvocato dell’accusa, sembra parlare per conto dell’Esistente in vita! Comunanza di interessi lavorativi e amicizia ventennale lo fanno sentire a casa propria. È quasi riuscito a far sentire colpevole il mio autore. Ecco perché è necessario ch’io parli! Il mio autore – lo posso testimoniare in prima persona – ha sempre ammesso di essere abituato a scrivere come a respirare, e ha spesso ripetuto di essere fermamente convinto dell’universalità della comunicazione. Il mio autore è riuscito veramente a comunicare qualcosa. Io, lo Scritto, ne sono la prova. Il mio autore non mi ha mai mantenuto a distanza, né dimenticato. Al contrario, mi ha sempre coccolato come se fosse stato lui stesso a ricevere affettuose attenzioni, mi ha fatto crescere ogni giorno insieme a lui, correggendomi per meglio valorizzarmi, portandomi con sé, facendomi capire di amarmi e crescendomi. Accettando il mio essere, giorno dopo giorno, il mio divenire. Io, parte di lui, seppure autonomo, proprio come un figlio.
Il mio autore continua ad ascoltarlo. La sua trasparenza d’animo, il suo entusiasmo comunicativo nei riguardi del mondo è tradotto in colpevole ingenuità… E lui tace. E sorride. Sorride all’intuizione geniale che l’amico tenta di spiegargli. Che si tratti, in fin dei conti, di una semplice seppur fascinosa bolla di sapone. È questa la metafora che l’amico, in vena di affabulazione, gli ha infine propinato. Le idee, quali piccole, grandi, enormi bolle, a seconda della quantità di sapone e di acqua, del diametro del cerchio che vi ingloba l’aria e, non ultimo, dell’abilità dell’artista. Il semplice tratteggio dell’immagine di due bambini che attorno al lavandino sciolgono una saponetta in poca acqua, mi trasmette candore, un’idea di tenera ingenuità infantile. E non si accontenta. Gli ripropone le trasparenze del centrotavola cui si dedicavano in attesa che arrivassero gli altri: «A pensarci bene, non avevi forse ideato quel gioco quale metafora dell’ispirazione?», gli sta chiedendo con tono ironico. La presenza di quella grande, rotonda e raffinata terrina di cristallo riempita d’acqua frizzante, sulla superficie della quale avrebbe galleggiato il personale apporto dei convenuti, non si doveva soltanto alla squisitezza dei gusti di sua moglie e alla ricercatezza con cui loro avevano l’abitudine di accogliere gli amici. Le due metà dei gusci vuoti delle noci disposti di fianco alla terrina, tanti quanti gli amici convenuti e uno o due in più nel caso all’ultimo minuto si fosse aggregato l’inaspettato, la mollica a disposizione, gli stuzzicadenti, qualche pagina di riviste e di quotidiani, aspettavano di divenire leggere navicelle.
Incontro dopo incontro era divenuta una piacevole consuetudine, apprezzata e attesa da tutti, quell’attivarsi immediato, dopo essersi accomodati, chi in poltrona, chi sul divano, chi su una sedia: per plasmare la mollica facendone una piccola pallina da spingere sul fondo del mezzo guscio scelto tra i tanti a disposizione e per scegliere il pezzo di carta, rigorosamente strappato con le dita dalla pagina affinché divenisse una vera vela di fortuna creata dalla diversa abilità d’ognuno. Poteva essere tondeggiante, triangolare, quadrata, oppure una strisciolina, contenente righe scritte di un articolo o colori d’una pubblicità, non importava. Una volta che il pezzo di carta fosse stato infilzato lungo lo stuzzicadenti, una volta che il bastoncino fosse stato piantato nella mollica e una volta che il guscio di noce fosse stato appoggiato sull’incantevole superficie d’acqua, la fantasia e la creatività di ognuno avrebbero avuto la prima spinta.
«Non era forse quello il gioco della scrittura?», sta chiedendo il subdolo ad Antonio. Lo obbliga a ricordare di quando il semplice gesto di porre la propria navicella sull’acqua facesse fremere la superficie e inducesse al movimento le altre già presenti in attesa che il soffio di qualcuno le facesse muovere. Era stato tra loro stabilito – e Io, lo Scritto, lo Scritto di Antonio, già vi ero dentro le pagine che teneva in mano – che prima di iniziare a leggere, a commentare, a sottolineare, a proporre, a criticare, a esporre, a declamare, a litigare, a fantasticare a voce alta, a fare qualsiasi cosa che tramite la parola si potesse fare, si dovessero alzare e impersonare il vento ispiratore del momento. «Non avevamo forse ideato quel gioco al fine di ricordare l’uno all’altro il potere dell’ispirazione sulla creazione?» – questo gli sta chiedendo a bruciapelo – «Qualcuno si è ispirato a un tuo scritto. E allora? Dovresti esserne orgoglioso!». È quella gioiosa disposizione d’animo che il gruppo aveva, quella creativa disposizione a esprimersi, fiduciosi, nel giocare alla vita, che non voglio vada perduta! Non voglio, non voglio che il mio autore si perda!
Questo è il motivo per cui non posso stare zitto, stasera. Come complice di un fatto ai confini del lecito, dico la mia. Anzi, rivendico, urlando da questa risma di fogli, il mio autore. Nemmeno Io, lo Scritto, riesco a capire dove è il confine, dove sia la linea di demarcazione tra ciò che sono nelle mani di Antonio e quello che sono diventato in quelle dell’altro. Posso soltanto dire, con calma e totale obiettività, ciò che segue. L’Esistente in vita avrebbe potuto, per correttezza, se non per amicizia, far partecipe Antonio della stesura o, dopo la pubblicazione, scrivergli due righe, invece di rendersi latitante. Per spiegare o giustificare, se non per ringraziare. Avrebbe potuto menzionarlo in una breve dedica, accennare all’idea altrui, almeno in occasione della seconda ristampa o di un’intervista. Antonio, ben conosco il suo cuore, avrebbe saputo perdonare.
È notte. Da circa un’ora l’amico se ne è andato. La moglie di Antonio sonnecchia davanti al televisore. E Antonio? Vi interessa davvero sapere che cosa stia facendo il mio autore? È qui, vicino a me. Il mio autore sta scrivendo. Sì, ne ha ancora voglia. Scrive qualcosa per qualcuno.
Le immagini: foto di libri e di una raccolta di appunti; immagini di navicelle costruite con gusci di noci, mollica di pane, stuzzicadenti e pezzetti di carta.
Antonella Chinaglia
(LucidaMente, anno XII, n. 133, gennaio 2017, editing e formattazione del testo a cura di Antonella Colella)
Complimenti, come sempre i tuoi racconti prendono fino alla fine.
Alessandra
Gentile Alessandra, sono lieta che i miei racconti ti piacciano; ti ringrazio per i complimenti e gioco con la tua bella espressione: ho studiato un finale da cui il raccontare riprenda!
A presto, Antonella Chinaglia.
Forte….all’inizio mi sono detta….ma di chi sta parlando…con chi parla…poi.prima che tu dicessi “lo scritto” ho detto…ma era lo scritto che parla in prima persona. Molto particolare e come sempre, degno della scrittrice. …i mie complimenti.
Aspetto il prossimo.
Gentile Rita, ti ringrazio per la fiducia dimostrata: mi sembra di capire che hai iniziato a leggere lasciandoti sorprendere dalle mie righe e continuando hai còlto l’effetto del punto di vista…Sì, in effetti, volutamente studiato e ricercato!
A presto, Antonella Chinaglia.
Devo dire che il racconto mi è piaciuto molto.
Curiosa la scelta di prendere degli ingegneri come protagonisti di salotti culturali, luoghi di scambi di idee. Non è un’associazione che mi sarebbe venuta in mente in modo immediato, però la trovo azzeccata.
La storia in sé prende molto, ma fa anche riflettere sulla vita, sui problemi delle persone, sui delitti nascosti ma in bella vista che sono ancora impuniti.
Ogni singolo elemento è stato pensato attentamente, niente è a caso, infatti si capisce che gli argomenti di cui si tratta sono stati ponderati profondamente.
Complimenti davvero.
Gentile Maria Elena, ringrazio per questo tuo felice feedback. Oltre un decennio fa la medesima considerazione -‘perché proprio gli ingegneri?’- fu al centro di varie domande che mi furono poste: adesso come allora, e con la stessa convinzione, mi viene da dare la colpa alla mia formazione scientifica e al mio voler intendere ‘ingegno’ quale intelligenza capace di creatività, di inventiva, di abilità nel trovare soluzione ai problemi. Alla base di ogni sofisticata ricerca tecnico-scientifica vi è un lavoro complementare di semplificazione e analisi, di conseguenza mi viene da dirti che in qualità di scrittrice (nel tentativo di spiegare e capire il mondo chiarisco sforzandomi di usare con ingegnosità un linguaggio semplice e al tempo stesso stimolante), mi capita di sentirmi tale e quale a uno scienziato.
Grazie di nuovo, e a rileggerci da Antonella Chinaglia.
Antonella… Ti sei superata!!! E’ il mio racconto preferito. Complimenti sei veramente brava!!! Non mollare mai!!!
Grazie Patrizia!!! Gentilissima. E…non immagini il resto!
Continua a leggermi!,è anche il sostegno dei Lettori a far sì che chi scrive non molli!!!
A presto,
Antonella Chinaglia
Complimenti, Antonella. Il racconto, secondo me, è interessante e ben scritto. Brava. Ne parleremo a voce appena ci vediamo. Ciao
Gentile Massimo, ti ringrazio per l’interessamento.
A presto,
Antonella Chinaglia
Bello, è un racconto molto particolare. Complimenti.
Grazie, Katia, per quel tuo ‘particolare’ in cui leggo moltissimo… sinonimo di ‘cittadino’ (Beccaria) e di ‘interesse’ (Guicciardini),tanto per citare al riguardo… sì, è fuori dal comune, stravagante dare parola a uno Scritto, come fosse un individuo, in modo che difenda l’interesse personale e morale di colui cui deve l’esistenza. In una situazione di ordinaria amministrazione in ambito artistico/creativo qualsiasi altro punto di vista sarebbe risultato banale…
Ti ringrazio per aver voluto dedicare un poco del tuo tempo alla lettura del mio testo!
A presto,
Antonella Chinaglia
Io non sono brava con le parole… comunque bello, interessante, creativo!!! Ciao Monica.
Gentile Monica, ti sono grata per il tuo apporto! Sono io a non riuscire a trovare le parole più appropriate per ringraziare i Lettori che, come Te, gentilissima Monica, oltre a leggere il testo mi regalano una riga di commento… mi emoziona questa opportunità di dialogo Autore-Lettore offerta da LucidaMente…
Ti ringrazio di cuore!
A presto
Antonella Chinaglia
Anto, questo mi ha conquistata!! Non vedo l’ora di leggere il prossimo. Su, su, al lavoro!!!
Gentilissima Simona, aver conseguito nel rapporto ‘amoroso’ tra Io/Scrittore e Tu/Lettore una tale conquista è davvero un grande successo…ti ringrazio! A presto, Antonella Chinaglia
Sempre particolari, chiari e dettagliati. Così amo definire i tuoi scritti.
Grazie, gentile Lidia, ti ringrazio, soprattutto perché confezionare testi, affinché risultino “particolari, chiari e dettagliati”, come hai definito i miei scritti, implica un grosso lavorìo da parte mia… proprio a favore del Lettore.
A presto,
Antonella Chinaglia
Bellissimo anche questo racconto non mi ha delusa!! Ogni volta leggerti significa rimanere con il dubbio e l’interesse fino alla fine!! Aspetto il prossimo!! Ce ne fossero di più di racconti e libri di questo genere!!!
Donna
Originale l’idea di animare un testo, riconoscergli emozioni e il finale mette di buon umore… brava.
Ed è la presenza dei vostri commenti in ‘Leave a Reply’ a mettermi di buon umore, gentile Manuela, grazie davvero!!!
Gentile Donna, grazie!, ne sono contenta. Quasi rocambolesco è il momento in cui si propone un testo a un editore, di conseguenza continuo a ringraziare sentitamente l’ospitalità offertami dalla rivista LucidaMente: ce ne fossero di più di Direttori e staff redazionali di questo genere!