La decisione di celebrare i funerali di Stato in onore del sindacalista socialista trucidato dalla mafia riaccende l’attenzione sulle lotte contadine del Secondo dopoguerra. E l’1 maggio ricorrerà il 65° anniversario della strage di Portella della Ginestra
Nel 1944, su proposta di Fausto Gullo, dirigente del Pci e ministro dell’Agricoltura del secondo governo Badoglio, furono approvati alcuni decreti leggi che riformavano i patti agrari e permettevano l’assegnazione a cooperative di contadini di terre incolte o mal coltivate. In particolare, l’articolo 1 del Decreto legislativo n. 77/1944 stabiliva quanto segue: «Le associazioni dei contadini, regolarmente costituite in cooperative o in altri enti, possono ottenere la concessione di terreni di proprietà privata o di enti pubblici che risultino non coltivati o insufficientemente coltivati in relazione alle loro qualità, alle condizioni agricole del luogo e alle esigenze culturali dell’azienda in relazione con le necessità della produzione agricola nazionale».
Si trattò di una misura per certi versi rivoluzionaria, che rompeva un secolo e mezzo di dominazione incontrastata nelle campagna da parte del ceto baronale, offrendo uno sbocco positivo alle richieste di riforma agraria provenienti dai braccianti più poveri. L’attuazione dei Decreti Gullo, tuttavia, fu ostacolata dalle scelte politiche compiute nell’immediato dopoguerra dai governi guidati da Alcide De Gasperi, soprattutto dopo la svolta che, nel giugno del 1947, portò alla fine dell’“unità nazionale” e al passaggio all’opposizione del Pci e del Psi. In quegli anni sorsero imponenti movimenti di lotta nelle campagne meridionali, in particolare in Calabria, Lucania e Sicilia, dove si registrarono occupazioni di terre incolte, che vennero però duramente represse dalla mafia o dalle forze dell’ordine.
Gli episodi più cruenti della repressione avvennero a Portella della Ginestra, a Melissa e a Melfi. L’1 maggio 1947, in una località montana situata nei paraggi di Piana degli Albanesi (Palermo), persero la vita – secondo le fonti ufficiali – undici persone e ventisette rimasero ferite, sotto i colpi sparati dalla banda di Salvatore Giuliano, ma forse anche da killer della mafia e da un commando di neofascisti (cfr. Umberto Santino, La strage di Portella della Ginestra, in www.centroimpastato.it). Gaspare Pisciotta, braccio destro di Giuliano, durante il processo di Viterbo del 1951 dichiarò che «furono Marchesano, il principe Alliata e Mattarella ad ordinare la strage di Portella» (cfr. Riccardo Castagneri, Salvatore Giuliano – Come la Cia comanda, in www.lavocedellevoci.it), accusando cioè tre importanti personaggi politici, legati alla Democrazia cristiana (Bernardo Mattarella), al Movimento indipendentista siciliano (Giovanni Alliata di Montereale) e al Partito nazionale monarchico (Tommaso Leone Marchesano), che però vennero poi prosciolti da ogni imputazione.
L’intera vicenda è stata ricostruita dettagliatamente nei film Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi e Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti, dai quali traspare che si trattò della prima “strage di Stato” perpetrata nel Belpaese, presumibilmente per porre fine al “vento del Nord” che nel biennio 1945-47 aveva determinato l’avanzata elettorale dei partiti di sinistra, mettendo in discussione la collocazione dell’Italia nel blocco occidentale. Il 29 ottobre 1949, nelle campagne circostanti Melissa, paese del Crotonese, nel corso dell’occupazione di un fondo agricolo incolto, vennero uccisi dalla polizia tre manifestanti e altri quindici furono feriti. Il 14 dicembre, a Melfi, i braccianti lucani, impegnati nella lotta per l’assegnazione delle terre, furono bersagliati dalle armi da fuoco dei poliziotti, che assassinarono una persona e provocarono diversi feriti.
Il 10 marzo 1948, nelle campagne vicino Corleone, fu ucciso Placido Rizzotto, ex partigiano delle Brigate Garibaldi e sindacalista della Cgil, iscritto al Psi. Rizzotto si era segnalato nel Secondo dopoguerra come uno dei maggiori dirigenti del movimento contadino siciliano, guidando varie occupazioni di terre incolte. Il mandante del suo assassinio fu il dottor Michele Navarra, capo del clan dei corleonesi, e tra gli esecutori materiali del delitto ci fu anche Luciano Liggio, allora luogotenente di Navarra, che aveva subito in precedenza un affronto proprio da Rizzotto, il quale lo aveva appeso, dopo una colluttazione, all’inferriata della Villa comunale di Corleone. Il cadavere del sindacalista socialista non fu mai rinvenuto, almeno fino al 2009, allorché i resti di un corpo sono stati ritrovati nelle foibe di Rocca Busambra. Grazie all’esame del dna (comparato con quello del padre) si è avuta la certezza che quei resti sono appartenuti a Placido Rizzotto.
Il Consiglio dei ministri ha deciso di celebrare i funerali di Stato in onore del sindacalista barbaramente trucidato nel 1948, accogliendo le proposte avanzate dal presidente degli europarlamentari del Pd, David Sassoli, dal capogruppo del Pd nella Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano, e da altri esponenti politici. In quei tremendi anni, tuttavia, Rizzotto non fu l’unico sindacalista a cadere sotto i colpi della mafia. La settimana precedente la sua morte, nelle Madonie, era stato ucciso Epifanio Li Puma, militante socialista iscritto alla Cgil. Un mese dopo, a Camporeale, verrà trucidato Calogero Cangelosi, segretario della Cgil locale, anch’egli iscritto al Psi.Rizzotto, Li Puma e Cangelosi sono i cognomi più famosi di un lungo elenco di circa cinquanta attivisti della Cgil, del Pci e del Psi assassinati in quegli anni dalla mafia.
Vittime, purtroppo dimenticate, di una vera e propria “mattanza” che servì a stroncare, con l’uso della forza bruta, le legittime rivendicazioni dei lavoratori siciliani. Il loro sacrificio, comunque, non fu vano: nel 1950, infatti, il Parlamento italiano varò la legge n. 230 (meglio nota come “Legge Sila”) e la legge n. 841 (meglio nota come “Legge stralcio”), che, tramite l’esproprio di parte dei latifondi dietro pagamento di un indennizzo, favorirono la distribuzione di appezzamenti di terreno tra i contadini più poveri, favorendo così la nascita in varie zone del Mezzogiorno di un ceto di piccoli proprietari agricoli.
Le immagini: le locandine dei film Salvatore Giuliano (1961) di Francesco Rosi, Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti e Placido Rizzotto (2000) di Pasquale Scimeca; le foto di Placido Rizzotto, Epifanio Li Puma e Calogero Cangelosi.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)