L’album “Transience” (trovarobato) spazia tra la psichedelia e il rock partendo da un unico punto di partenza, il jazz. Anche se questa è proprio la parola che il gruppo vorrebbe sfuggire
Sono stufi di essere definiti un gruppo jazz, si sentono altro e molto di più. E hanno ragione. Il loro sound è caldo e ammaliante, esclusivamente strumentale e ci riporta ad atmosfere da cinema. Gli studi che li hanno formati al conservatorio e che hanno fatto sì che iniziasse la fortunata collaborazione sono quelli del corso sperimentale di jazz del conservatorio di Bologna. Da lì sono partiti con la ferma intenzione di evolversi e cambiare. Transience, infatti, il titolo del loro disco d’esordio, significa proprio questo: mutevolezza, caducità e soprattutto transitorietà della musica stessa.
I Junkfood nel loro album “Transience” (trovarobato) giocano e forzano le regole che hanno imparato a menadito, e si sfidano, senza la necessità di raggiungere la perfezione: il risultato è un disco difficile, ma terribilmente orecchiabile. Il rock è molto più vicino a loro di quanto sembri, anzi uno spazio live per quel tipo di musica lo riempiono benissimo, dicono. La presenza della tromba è pervasiva, e la chitarra e il basso la fanno evadere dai canoni prescritti del jazz.
Ma chissenefrega delle definizioni, quello che conta è la musica, la sapiente scrittura compositiva che contraddistingue i brani di questo disco. E quella c’è, ha un’anima grande e riempie lo spazio, di qualunque genere sia, e si diffonde, come la colonna sonora di uno di quei film il cui ricordo non ti abbandona.
Per gentile concessione di www.radiocittafujiko.it. Per ascoltare l’intervista ai Junkfood posta in fondo all’articolo vai a: http://www.radiocittafujiko.it/musica/pandemonium/l-anti-jazz-dei-junkfood-a-radiocittafujiko.
Mariagrazia Salvador
(LM EXTRA n. 29, 20 luglio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 79, luglio 2012)
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